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RAFFAELLO BALDINI, Intercity, Torino, Einaudi 2003, pp. 146, € 13,00.

 

«What if there’s no God and you only go around once and that’s it?». La questione di fondo che Woody Allen ammannisce di continuo e nei modi più impensati nei suoi film attraverso gli apparenti tic e le fisime dei suoi personaggi agli spettatori, suscitandone le risa, è la stessa di Raffaello Baldini. Nel grande poeta in romagnolo però la domanda fondamentale sul senso ultimo dell’esistenza, pur avvalendosi della stessa ‘subdola’ strategia del cineasta newyorkese, cioè ammantare di comicità e ilarità l’irrefrenabile logorrea dei protagonisti ovvero dell’io lirico e incidere e segnare permanentemente e in profondità la carne dei riceventi con l’anestetico del riso, raramente viene espressa così pacchianamente – è il medium stesso della letteratura a impedirlo, evitando la stucchevolezza. Ma cosa si può dire ancora del lavoro di Raffaello Baldini che non suoni come una ripetizione? Recente è la pubblicazione a cura di Giuseppe Bellosi e Manuela Ricci del densissimo volume Lei capisce il dialetto? (Longo Editore, Ravenna), che ha raccolto quanto di meglio la grande critica ha prodotto sul poeta di Santarcangelo in occasione del conferimento a questi della cittadinanza onoraria di Ravenna. Eppure si può dire che nella sua ultima raccolta Intercity Baldini si confronti in quasi ogni componimento ancora più pressantemente che in passato con quella radicale e impellente questione di fondo, spesso spezzando il caratteristico e naturale endecasillabo in versi brevissimi, con domande improvvise senza risposte: «chi è ch’u m’avrà ciamè » (‘chi è che m’avrà chiamato’), «cs’èll ch’a i arspònd?» (‘cosa gli rispondo’); constatazioni angoscianti che rimangono in sospeso: «quèsta, t’ si da par tè» (‘questa, sei da solo’), «l’è un’élta roba, mè» (‘è un’altra cosa, io’); o con la supplica intimante allo scopo di ascoltare per capire/ carpire un eventuale senso: «sta un pó zetta» (‘sta’ un po’ zitta’). Ma la risposta alla questione non può essere che quella di sempre («mo niséun u m’arspònd, / e’ Signòur e’ sta zett, a zcòrr sno mè», ‘ma nessuno mi risponde, / il Signore sta zitto, parlo solo io’; «mo a n tróv», ‘non trovo’; «u ngn’è gnénca l’inféran, u n gn’è gnént», ‘non c’è neanche l’inferno, non c’è niente’), ma più insistita e con un’angoscia elevata all’ennesima potenza del tragicomico e di un assurdo giocoso: proposte di allungare la vita trasformando i ricordi e il passato, l’unica cosa che si possiede in quanto uomini, nel pensiero del futuro e delle cose da farsi; ribaltando il pensiero della morte sugli altri già morti; aumentandosi l’età invece di diminuirsela in una sorta di prenotazione di possibili anni da vivere; trastullandosi col pensiero di quanto sarebbe potuto essere e non è stato. Dunque solo un riso ‘incosciente’ si può opporre al nichilismo che si sommerge bloccato in immagini e farfugliamenti memorabili («ve’, l’è un campsènt ad melarènzi tòcchi», ‘ve’, è un camposanto di arance toccate’; «basta, a n ví savài gnént», ‘basta, non voglio saper niente’)? Forse no. Baldini sembra voler offrire ai suoi simili, oltre il partecipato com-patimento che da sempre lo contraddistingue, una sorta di consolazione anti-leopardiana, seppur transeunte, col poemetto Ignurènt [ignorante], dai rari e intensi toni lirici, in cui la sera della natura attraverso l’aria estiva del bosco sembra riempirsi di compassione per tutto l’essere: «la è tl’aria, l’è una roba, ècco, l’è / dla cumpasiòun, sé, l’è cmè che la sàira / la apa cumpasiòun, / li, la sàira, / ad chè? ad chéi? ad tótt» (‘è nell’aria, è una cosa, ecco, è / della compassione, sì, è come se la sera / abbia compassione, / lei, la sera, / di che? di chi? di tutto’). E se la dimensione naturalmente orale e teatrale della scrittura di Baldini, che ha contribuito a riconciliare non solo in Romagna il grande pubblico con la poesia (piazze e teatri esauriti a ogni lettura-spettacolo del poeta o del suo istrione, l’attore Ivano Marescotti), forse andrebbe sottolineata anche quella potenzialmente cinematografica. Certi poemetti con il loro rutilante succedersi di flash-backs e di cambi di scena sono storie e drammi che scorrono visivamente, ‘a pellicola’, davanti al lettore/ ascoltatore: sceneggiature in nuce per film universali.

 

Giovanni Nadiani


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