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« indietro NICCOLÒ SCAFFAI, Il poeta e il suo libro. Retorica e storia del libro di poesia nel Novecento, Firenze, Le Monnier, 2005, 270 pp.
L’impressione, una volta conclusa la lettura della monografia di Scaffai, è di avere a che fare con un libro multiplo, con una ricca indagine che sottende una pluralità di percorsi, di direzioni metodologiche. Se si riesaminano gli snodi fondamentali del lavoro, l’impressione perdura, si fanno più certe alcune linee di compartimentazione volte a tracciare le guide dei diversi libri nel libro.
In prima istanza, la presentazione teorica: da subito vengono enucleate le costanti di coerenza e discontinuità le quali, lette alla base del genere «libro di poesia», verranno scrutinate attentamente lungo le analisi conclusive. Ben presto, poi, si precisa il senso di una «retorica allargata» che, contrapposta alla «rhétorique restreinte» di un Genette, possa avallare una valorizzazione dell’inventio tra le parti della retorica, e di una retorica dell’organizzazione che si serva delle quattro grandi province metafigurali (metafora, metonimia, sineddoche, negazione/rovesciamento, sulla scorta di Retorica. L’intelligenza figurale nell’arte e nella filosofia di Giovanni Bottiroli) per allestire una topica e retorica del libro di poesia. In questa luce, appaiono i diversi modi macrotestuali (le intenzioni significanti, le direzioni impresse dall’autore che riconfigura e collaziona i materiali a sua disposizione, agendo primariamente nell’ambito della dispositio) nei quali si manifestano e organizzano le più incisive raccolte poetiche della modernità italiana ed euroamericana. Ne viene un effetto di variegata sincronia: il precipuo genere di composizione del libro poetico riorienta la nostra percezione dell’opera nel contesto delle progettualità autoriali e dei contesti, delle condizioni extratestuali che consentono un determinato modo d’essere del liber (e qui, la tradizione strutturalista viene ben temperata ricorrendo a un aggiornato codice di interpretazione tematica, a partire dalle notazioni paratestuali comprese in titolo e sottotitolo): forse, nella speculazione di Scaffai, l’esempio più unitario ed eloquente al proposito è costituito dalla Bufera e altro montaliana, ma non mancano, tra gli altri, riferimenti ricorsivi e illuminanti a proposito della Spoon River Anthology di Masters, libro-exemplum contraddistinto dalla capacità di rifrangere e moltiplicare la voce di altri autori e altri testi, frammenti di una intera cultura, trasponendola su di un coro comunitario di personaggi.
Sono solo alcune tra le tante aperture a sguardi stilistico-retorico-tematici sulla poesia; la sezione conclusiva, accennata in precedenza, si serve di considerazioni più minute e per così dire tecniche, serrate, intese a ricostruire le suture tra le parti, le (rivelatrici) successioni nella dispositio spesso discordanti rispetto a quelle cui la cronologia indurrebbe: è un metodo di lettura ravvicinata che coglie le intime sonorità, le irruzioni del tempo e dell’extratesto, la vita, nei passaggi-spazi bianchi tra un componimento o una sezione e il seguito, in Trieste e una donna di Saba come nella già ricordata Bufera; nel finale, un’attenta ricostruzione delle rigorose simmetrie metriche, formali, delle rispondenze tra i lessemi, i motivi e i personaggi di Gente di corsa di Tiziano Rossi immette la comprovata tenuta del metodo – la coerenza del discorso di Scaffai – nello studio di una niente affatto scontata contemporaneità poetica.
Giulio Iacoli ¬ top of page |
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