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« indietro ODISSEAS ELITIS, La materia leggera. Pittura e purezza nell’arte contemporanea, a cura di Paola Maria Minucci, introduzione di Antonella Anedda, Roma, Donzelli Editore, 2005, pp. 159, 23,90.
È un mondo segnato dalle ambivalenze quello di Odisseas Elitis, poeta greco – premio Nobel nel 1979 – i cui versi, così figurativi, tradiscono una seconda anima da pittore. E proprio alla pittura, passione esercitata lungo tutta la vita, sono dedicati questi suoi saggi, raccolti da Paola Maria Minucci. A patire dalla riflessione critica sull’arte, essi tratteggiano il profilo dell’autore.
Se in Elitis esistono due anime - una da poeta e una da pittore - in lui vivono anche due mondi: quello della sensuosa Lesbo, dove ha radici familiari, e la Parigi dei Surrealisti, da cui è catturato tra gli anni Trenta e Quaranta. Ciò vale a dire che in lui convivono la sensazione profonda della natura greca e la tendenza all’astrattismo europeo. Tali ambivalenze individuano e caratterizzano il suo discorso critico: con stile fortemente poetico, esso vede nelle opere artistiche una sintesi tra materia e astrazione, tra sensualità e verginità; l’arte è il luogo «in cui le cose naturali e quelle pensate si confondono e coesistono in una terza dimensione» (p. 51).
Da questa prospettiva, il volume si apre sull’ellenico Theofilos, pittore naif isolato e inteso, il cui ritratto ha per sfondo il suggestivo paesaggio di Lesbo. Insieme di grecità – terrestre e luminosa – e stilizzazioni cubiste, Theofilos esprime la natura, ma con forme vicine a quelle contemporanee. La sua composizione pittorica non smaterializza il mondo, ma semplicemente ne fa risaltare i lati vergini ovvero non ancora svelati. Verginità: l’arte scava così la sua purezza, ma da dentro la materia.
E’ da questa fondamentale idea che partono poi gli altri saggi del volume, in cui l’autore esplora diversi pittori contemporanei. Elitis studia la sopravvivenza della natura ellenica nelle forme della pittura cubista di Gkikas, interpretato alla luce di Cézanne, colui che «reagisce all’instabilità dei suoi contemporanei» (p. 83). Si sofferma sulla luminosità dei dipinti di John Veltri e su Picasso, le cui linee «ci insegnano l’avventura e la scoperta incantata del mondo, ci chiedono di far emergere il loro potenziale poetico senza pregiudizio» (p. 95).
In generale, queste analisi ritrovano nei pittori l’espressione del mondo in forma: una trasparenza dell’arte che evita la copia, ma attraverso cui è possibile percepire la natura.
Ed è con il nome di chiarezza, che Elitis chiama tale trasparenza, associata in modo poetico all’acqua e al cielo greco, alla classicità. E’ questa una purezza dell’arte non smaterializzata, ma che, nell’esercizio della forma, restituisce i sensi ed insieme il senso di vivere.
Con tale significato, in uno dei saggi, la chiarezza è usata da Elitis come discrimine con cui comporre - in barba alle scuole canonizzate - il suo personale museo immaginario: luogo di senso e di trasparenze in cui convivono Cézanne, Van Gogh, Picasso, Bo.
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