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FULVIO SENARDI, Aldo Nove, Collana «Scritture in corso», Edizioni Cadmo, Fiesole 2005, pp. 166.
 
 Dopo altre monografie focalizzate su autori contemporanei, la collana «Scritture in corso» dedica ora un saggio di Fulvio Senardi ad Aldo Nove. L’aspetto centrale intorno a cui si snoda il volume è il modo in cui questo scrittore dalla «creatività innata e prorompente», sulla scena letteraria italiana da dieci anni – da quando, nel 1996, esce la sua prima raccolta, Woobinda – «su un terreno di confine tra metafora e ricordi, critica socio-culturale e nostalgia, si dimostra capace di mettere in rilievo le più inquietanti sfaccettature del presente».
Sotto questo punto di vista Aldo Nove– già come poeta (ancora con il vero nome di Antonello Satta Centanin) in Tornando sul tuo sangue e Musica per streghe, e poi come autore della raccolta di racconti Superwoobinda e di romanzi tra i quali Puerto Plata Market, Bio, Amore mio infinito, La più grande balena morta della Lombardia, di una riscrittura teatrale del Candido di Voltaire – si confronta con una produzione letteraria vastissima, europea e americana, incentrata su quei fenomeni di alienazione, violenza e volgarità, mercificazione e consumo tipici della società contemporanea, e con gli incubi, le rappresentazioni grottesche, i canoni estetici che la caratterizzano e che rischiano, però, di comporre un orizzonte d’attesa ormai scontato e ripetitivo. Superfluo, seppure ovviamente citato, è anche il confronto con le categorie di ‘romanzo cannibale’ e di ‘postmoderno’. Nel presente saggio, invece, viene piuttosto messo in evidenza come Nove sappia trasmetterci qualcosa di più originale, pur divertendosi a inglobare – come altri – storie di ordinaria fascinazione per Beautiful e per il bagnoschiuma Vidal. Proprio per questo, nella prima parte del libro Senardi ha ritenuto necessario soffermarsi sulla «cifra ideologico-stilistica» trasmessa dallo scrittore, nonostante, a priori, possa sembrare paradossale riuscire a inquadrare tutto il diffuso, dinamico e multiforme materiale che Nove riversa nei romanzi in una «forma» e in un’«ideologia» precise che lo definiscano. Si tratta, infatti, di un contenuto in gran parte autobiografico, ma sempre trasfigurato da immagini simbolico allegoriche riferite alla società d’oggi in tutti i suoi aspetti più materiali, brutali e metamorfici.
Laureato con una tesi su Antonio La briola, «studioso di Marx e delle sue teo rie dell’alienazione e della merce intesa come oggetto-feticcio», e da Senardi accostato a Marcuse e al Günter Anders dell’Uomo è antiquato, ma anche al l’Orwell di 1984, lo scrittore riesce a sottendere alle storie una costante analisi antropologica ed ermeneutica, pur perfettamente ‘mascherata’ e implicita sotto le forme di una «cupa allegoria». Così si spiegano il senso e la riuscita delle sue storie, che risultano libere sia da ogni palpabile appesantimento dottrinale e moralistico, sia da un noioso e scontato ‘realismo’. L’inchiesta sulla realtà e all’interno di essa, insomma, viene condotta tramite un’affabulazione dai toni fantastici e trasfigurati sì, ma che non rinuncia alla funzione interpretativa della parola, alla sua coraggiosa catabasi orfica. In questo senso anche la poesia, dai primi versi alla raccolta del 2003 Fuoco su Babilonia Poesie 1984-1996, «sfiora, salvandosi con una piroetta, una condizione di azzeramento funzionale»: non si accontenta di farsi specchio di quello stesso mondo, ma di scende «nel frastuono della comunicazione globale» per riemergere con una partecipazione e un rifiuto che si scambiano labilmente i loro confini, tra ironia e gioco, amarezza e perplessità (come in Mondo perfetto: «La nostra passione del linguaggio / ha già fatto un coperchio / che va alle feste senza capire»).
Nella più precisa analisi dei romanzi condotta dall’autore della monografia, infine, la posizione di Nove viene ulteriormente a definirsi e a trasformarsi, poiché si mette in evidenza come egli riesca a porsi da punti di vista differenti e mai dogmatici che passano dall’antipatia/estraneità per i fantocci a cui dà la parola a una più partecipata analisi delle passioni, siano esse quelle per l’Ikea e il Toblerone, oppure l’amore per «quella troia di Marina», anche lei ‘impastata’ – «in una specie di joyciano “caosmos”» – dentro «merengue, saridon, zanzare», oppure le ossessioni e i ricordi grotteschi di Amore mio infinito. D’altronde, come conclude con provocatoria ironia lo stesso Aldo Nove nell’intervista di Senardi posta alla fine del saggio, citando Enrico Ghezzi: «Nella comunicazione, tutto ciò che non è amore è pubblicità».
 
Chiara Lombardi

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