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RENATO JOB, Doctor Coppelius, ritorno e ricostituzione fisica del Faust, Verona, Anterem Edizioni, 2007.

 

 

 

La riscrittura di due capisaldi della letteratura tedesca, il fantastico orroroso di Hoffmann e l’opera della vita per Goethe, il Faust, per Renato Job si svolge sul piano di una sottile dialettica tra la parola e l’immagine. Come dichiara lo stesso autore nella premessa al volume, la riproposizione del Sandmann trae le sue mosse da una serie di quadri creati dal fratello Enrico, i quali mescolano alla rappresentazione delle tappe della vita umana come nascita, infanzia, e decomposizione, anche virtù astratte e orientamenti filosofici. L’insieme dei tableaux mira a riprodurre quello scambio epistolare che ha alimentato la materia narrativa di Hoffmann, laddove il punto di contatto più esplicito con la fonte è una lettera indirizzata a Coppelius, tramutato dalla penna di Job in psichiatra. L’autore delle lettere, come delle opere che accompagnano il carteggio, è destinato a rimanere un ignoto cittadino svizzero, tanto lascia intendere la lettera scritta di suo pugno, al di là della ricca nota di corredo che consente a Job di ripercorrere le suggestioni del falso filologico. Nataniele, protagonista assoluto nella fantasmagorica e ossessiva caccia al perfido alchimista Coppelius di Hoffmann, sopravvive come breve accenno, un bimbo senza nemmeno un nome, da istruire, si spera, proprio sotto la guida dello psichiatra. Qui si interrompono i paragoni con la fonte tedesca per proseguire verso un immaginario dove la scrittura agisce da cassa di risonanza per il complesso legame tra la rigidità imperturbabile della lastra metallica, attorno alla quale il filo di ferro si attorciglia, inaugurando di volta in volta una dicotomia di fondo che orienta la lettura non solo della grammatica dell’opera ma anche del testo che essa ispira. Il "grido di un rapace notturno" che segue a breve la morte di un caro amico in "Scienza" dà corpo alla "tormentata lastra. Ciò che vi si insinua, serpeggiando come nei fori di un teschio, è il gambo dell’eterna energia creatrice della natura." Energia che può volgersi in "spirali di fuoco amoroso e sazietà" del seno materno, diventare "voluttà demoniaca" ma anche "la tormentosa castità […] il fondamento della giustizia e della pace, ovvero della santità", come se quel filo adombrasse nella diversità dei significati che riveste il continuum di un desiderio divorante, di un eterno movimento dello spirito in grado di vincere sulla necessità dell’esistenza per la quale "saldo è il ferro. Incorruttibile è il destino." La seconda parte del volume raccoglie per immagini un allestimento del Faust mai andato in scena per vicende avverse, alle quali è affiancato un testo, secondo quella modalità espressiva che abbiamo conosciuto nel Doctor Coppelius e che tuttavia qui si pone in modo specifico a metà strada tra l’indicazione didascalica della sceneggiatura e la lettura interpretativa. La sovrapposizione dello sviluppo dell’allestimento alla progressione della vicenda faustiana consente una riproposizione inedita della tragedia, la quale, quasi memore delle "lacrimae rerum" virgiliano, filtra attraverso i suoi oggetti, al punto da conquistare un’eloquenza che la strappa, per quanto è possibile, al mutismo di una messa in scena mancata. Il congedo dal lettore spetta alla voce di Margherita, impegnata in un monologo ancora allo stato embrionale di appunto, una modalità estranea alle forme espressive della raccolta, ma non al suo significato più profondo. Quel dolore dell’abbandono espresso per mezzo di quadretti, immagini conchiuse, ci parla ancora e sempre della sensibilità di Job, quasi si trattasse di una chiave di accesso per realizzare quella speranza di condivisione che chiude la premessa: "Ma se oggi sotto le nuvole che si addensano qualcuno dotato di un barlume di rispetto per la verità e la bellezza provasse a oltrepassare la soglia dell’Arca sia materiale che spirituale in cui ho trovato rifugio, potrebbe forse capire […] come avrebbe potuto essere il corso della sua esistenza se avesse diffidato della felicità che gli era stata promessa".

 

(Annalisa De Donatis)


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