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SANDRO GROS-PIETRO, Liliana Ugolini. Poesia teatro e raffigurazione del mondo, Torino, Genesi Editrice, 2005.
Una memoria e una formazione intrise di quella fiorentinità che si affranca dal campanilismo e piuttosto si offre come bagaglio culturale da portare con sé in un’esplorazione a tutto campo del mondo e dell’esperienza. È così che Sandro Gros-Pietro si accosta al repertorio poetico e teatrale di Liliana Ugolini, ripercorsa in un’attenta selezione di testi che va dal suo debutto in poesia con la raccolta Punto (1980) fino ai lavori più recenti di Spettacolo e palcoscenico (2003), sintesi di quei versanti creativi che hanno impegnato per più di un ventennio l’autrice, alla ricerca di quella modalità espressiva ideale per la quale ha coniato la definizione di "teatro poetico". L’eclettismo della Ugolini è pari solo al suo uso ardito della parola, vogliosa di catturare tutte le sfumature della realtà e pronta ad assalire l’intero spettro dei registri espressivi, muovendosi su una sorta di asse ideale ascendente e discendente. La plurispazialità della parola ugoliniana, ci dice Gros-Pietro, è il risultato di una scelta aprioristica e, come ci lascia intuire la sua lettura, qualcosa che trae i suoi motivi da questioni ben più profonde del semplice gioco formale: "A chi scrive sembra che il linguaggio della Ugolini si proponga un esito di pluriespressività denotativa del reale, come se la poetessa cercasse il modo di tradurre la complessità del mondo in formule poetiche esatte ed esaustive […] con l’intento di farci stare dentro le contraddizioni del reale che debordano ed esondano da ogni schema linguistico immaginabile". Una volta entrati nella sezione antologica, corredata da indicazioni puntuali sul contesto creativo dal quale ha tratto le mosse ciascuna raccolta, siamo letteralmente assaliti dalle prodezze linguistiche di un’autrice che riesce a forzare il piano della realtà oltre la dimensione del prosaico, e muovendosi sull’onda della suggestione o della libera associazione tra parole e immagini arriva a far parlare il mondo da una prospettiva inedita, fino a scompaginarlo con suggestivi neologismi. Dall’incipit di Giacinta (1980): "Spezza ghiglie la luna /e complice l’inghiotte / un mare di cristallo". Al di là dei richiami alla polidirezionalità della parola nella quale sono state lette influenze più o meno consapevoli del surrealismo o della pluridirezionalità dantesca e infine poundiana del’espressione poetica, fino ad arrivare agli echi dei calligrammi di Apollinaire, si può dire che la Ugolini riesce a conquistare una riconoscibilità assoluta del detto poetico, la quale non esita ad uscire dalla cerchia degli affetti familiari per liberare l’espressione di un fiore, di un muscolo, della piccola fiammiferaia, sino a dare ancora parola in Imperdonate (2002) a un mondo di miti al femminile. Sherazade, Anna Karenina, e altre immagini di donne "colpevoli" rivelano l’utilità del loro torto per il mondo, e come Gros-Pietro sottolinea, rimandano alla problematica dell’abuso dei diritti non più soltanto femminili, ma dell’umanità. Il teatro entra in punta di piedi, introdotto idealmente dalla raccolta Celluloide (1994) dedicata al cinema e si presenta come un genere liminale, uno scambio tra voci poetanti guidate da una modalità espressiva che ormai abbiamo imparato a conoscere e liberata dal vincolo della sceneggiatura. Ma lo scambio è bidirezionale, perché a sua volta la poesia entra nel teatro traducendo in versi tutto ciò che ruota attorno alla messa in scena, l’attesa, le prove, gli attori in fase di preparazione (La Passione 2001). Alla luce dello stretto legame tra scena e verso, la prosa satirica de La Pissera (2003), dove intervengono anche le firme di Rosaria Lo Russo e Maria Pia Meschini, risulta tanto più un elemento estraneo ma commisuratamente piacevole proprio per la possibilità di affidarsi a un linguaggio nel quale riecheggia la fresca scorrevolezza del vernacolo fiorentino, il quale emerge quasi per caso, in un contesto confidenziale in grado di toccare con estrema delicatezza il quotidiano, intatto nella sua semplicità. Alla fine del viaggio nell’universo della Ugolini l’impressione è che il congedo si possa affidare a quei versi dove finalmente tutto il senso dello sforzo di rappresentare la totalità dell’esperienza si apre, legando insieme tutte le sue opere e anticipando la prospettiva di una pienezza di linguaggio futura. Da Piazza Duomo (2001): "Mistero è persino quello / che ancora non sappiamo. / Verrà il momento dove all’infinito/ sapremo svelare l’ineffabile." (Annalisa De Donatis) ¬ top of page |
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