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IN SEMICERCHIO, RIVISTA DI POESIA COMPARATA LXV (2021/2) pp. 102-103 (scarica il pdf)

FRANCO BUFFONI, Betelegeuse e altre poesie scientifiche, Milano, Mondadori 2021, pp. 160, € 20.00.


Betelegeuse e altre poesie scientifiche è il nuovo libro di Franco Buffoni, nuovo non solo in quanto successivo a La linea del cielo (2018), in cui l’autore rimarcava il suo posizionamento poetico tra la «linea lombarda» di anceschiana memoria per il modus operandi e una «linea appenninica» di originale conio per l’ethos (Saba, Penna, Pasolini, Bellezza), sempre tenendo conto di varie tradizioni linguistico-culturali, anglosassone in primis. Nuovo libro, dunque, stricto sensu, poiché in grado di segnare una svolta nel proprio iter poetico, oltreché di offrire un rinnovato impulso alla poesia italiana in apertura dei nuovi anni Venti, proprio a cento anni dall’uscita del primo Canzoniere di Umberto Saba.
La novità non è da intendersi ingenuamente in senso assoluto, tantoché lo stesso autore si mostra ben consapevole di una tradizione poetica, che definirei laico-scientifica, la quale troverebbe il più valido rappresentante italiano in Giacomo Leopardi, echeggiato in diversi passaggi del nuovo libro, ed il suo antesignano nel latino Lucrezio, poeta per eccellenza della fisica del mondo, dalle particelle ai corpi celesti, oltreché denunciatore manifesto degli effetti negativi di una certa religio. Certamente, l’interesse scientifico e astronomico è presente in numerosi altri poeti dall’antichità al Novecento, seppure non eleggibili come emblemi di una poesia laica, di cui Buffoni si fa più esplicito portavoce. Per limitarci a due casi, citati dallo stesso autore, il libro si apre con i primi due versi e mezzo del frammento 11 (14 Mo.) del poeta del I a. C. Varrone Atacino , posti in epigrafe e poi così tradotti: «E vide il mondo girare intorno all’asse / Celeste, e sette cerchi – l’uno nell’altro – / Emettere in accordo eterno un suono…». Particolarmente interessanti poiché già il retore latino Gaio Mario Vittorino (ca 290 – ca 364), tramite cui ci sono giunti, li utilizzò per affermare come il canto corale fosse sorto a imitazione dell’armonia prodotta dai moti degli astri (Aphton. GLK VI 60). Già in apertura, dunque, Buffoni sembra volere esprimere non soltanto una volontà di congiungere poesia e mondo scientifico-astronomico, ma anche la possibilità di rintracciare l’origine della poesia proprio in un tentativo (impossibile) di mimesi di un suono remoto dell’universo, indagato dalla scienza con strumentazioni progressivamente sempre più raffinate. Un altro poeta citato a proposito «delle simmetrie e delle regolarità» (p. 27) è Dante: «Come i beati del cielo della Luna / Rispetto a quelli del cielo di Saturno», così è accostata la dualità tra materia e antimateria e neutrini e antineutrini. 
A proposito del secolo da poco concluso, Piero Bigongiari definì la poesia come «scienza nutrita di stupori», dicitura che a mio avviso perfettamente si addice a questo nuovo libro di Buffoni. Quella che si può individuare come caratteristica precipua della silloge, ovvero la connessione tra esperienza della poesia e indagine della scienza, è denunciata anche dal compatto impianto macrostrutturale e dai sei titoli di sezione: «Noi forse un glitch», «Betelgeuse», «Crinoline di criolite», «La scuola grande di Chicxulub», «Erbio e Disprosio», «TOI-700 D». Potremmo chiederci: in che senso una poesia può essere definita scientifica? Non penso che – almeno in questo caso – la risposta sia da limitarsi a un mero aspetto tematico-contenutistico. Infatti, la maggior parte delle poesie del liber novus di Buffoni sono scientifiche per la tensione alla spinta conoscitiva; e lo stile asciutto e rigoroso tipico della scientia naturalis si accende improvvisamente proprio per quell’ansia di conoscenza delle cose della natura, a partire da microcosmi chimico-biologici per arrivare a estensioni macroscopiche di corpi celesti, stelle, galassie, superammassi. L’impulso della poesia può andare a coincidere con la ricerca della scienza, proprio perché per Buffoni la poesia è innanzi tutto un’esperienza conoscitiva, di sé e del mondo, e la scienza è l’ambito che per eccellenza tende a coincidere con il sapere a partire dall’etimologia (dal verbo scio, ovvero ‘so’).  
Addestrato alle connessioni di mondi e culture per la sua formazione da comparatista, il fare poetico di Buffoni intende riavvicinare universi di diversa scala e tempi distanti per farli risuonare con l’esperienza umana, ricondurre con stupore l’apparentemente estraneo all’appartenente al proprio, l’alieno extraterrestre al comune quotidiano. Ed è così che Betelgeuse (p. 22), stella rossa della costellazione di Orione «A soli seicento anni luce da noi», è associata dal poeta a «una madre senza più ritegno» che «Va sempre più ingrandendosi / E perdendo intensità / Fagocita i suoi figli»: come farà il nostro sole (femminilizzato attraverso il ricorso al tedesco Die Sonne). Con un procedimento simile i due recenti elementi della tavola periodica Erbio e Disprosio sono associati a «due ragazzi / Con un magnetismo molto forte» (pp. 105-6), «La galassia NGC 3256» è accostata per la forma a un «ciottolo del Sesia / Disceso dal ghiacciaio del Rosa» (p. 118), il vento e le grotte di Marte ricordano il vento e la casa della nativa Gallarate (p. 120). Molti altri potrebbero essere gli esempi, poiché la giustapposizione tra mondi è qui una costante, un motore generatore del testo poetico.
Ritroviamo, poi, anche in questo libro uno dei filtri attraverso cui è elaborata la poesia di Buffoni a partire dalla sua prima fase – basti pensare al titolo della silloge Scuola di Atene (1991) – ovvero la pittura, che va a intrecciarsi con la scienza. Per questo le «Raffiche di ferro fuso» che «Piovono di notte sull’esopianeta / Wasp-76 b» (p. 100) richiamano i colori urlanti di Munch, si citano Antonio da Sangallo e Brunelleschi le cui cappelle potrebbero essere ormai riprodotte da un robot (pp. 129-30), o ancora Michelangelo che scolpì la giugulare di David in tensione prima che la scienza ne scoprisse il funzionamento (p. 131).
Il libro si chiude all’insegna del futuro con un altro esopianeta, Toi-700 D, distante solo cento anni luce, scoperto recentemente dalla Nasa e molto rassomigliante alla Terra, a cui il poeta augura una preservazione ecologica più attenta rispetto al pianeta natale. Eppure, il libro allo stesso modo resta vigile sul presente – con riferimenti oltreché a scoperte scientifiche recenti, alla cronaca e alla situazione stessa di pandemia – ed ama raccogliere tracce da un passato remotissimo, immaginandosi episodi di vita in altre epoche, dall’Ottocento al Medioevo, dall’Antichità Latina ai tempi del Neanderthal, fino ad arrivare all’universo prima del Big Bang. Al di là di speculazioni su stelle e antistelle, l’interesse di Buffoni tenta di uscire da una prospettiva antropocentrica con numerosi testi incentrati sull’universo zoologico e microbiologico, consapevole che «Il nostro antenato più antico» – come recita il titolo della poesia di apertura – «È l’Ikaria wariootia / […] / Ritrovato tra i fossili australiani». Ovvero un verme, e noi umani – il poeta conclude – siamo «forse, un glitch» (p. 11): termine in uso soprattutto in ambiente videoludico da parte delle generazioni Millenials e Z, indicante un errore del software, capace di creare uno sfasamento non previsto dagli sviluppatori, che può essere utilizzato a proprio vantaggio nel gioco . Pertanto, in un impianto laico-scientifico permane la grande domanda sul senso dell’esistenza, a cui Buffoni risponde con una brillante ironia, amaro-giocosa, già presente nella sua opera fin dagli esordi. A tale riguardo, la lingua della poesia di Buffoni, dotta e stratificata, risulta arricchita ulteriormente, dal lessico scientifico e da quello dell’informatica, da gergalismi e latinismi, che convivono con un lessico dell’italiano medio e della più alta tradizione lirica nostrana.
In definitiva, Betelgeuse e altre poesie scientifiche è un libro acutissimo, inserito criticamente nel contemporaneo, con un senso profondo e moderno del tempo e dello spazio, in grado di accogliere con originalità in poesia le innovazioni scientifiche e vari mondi. Produce uno scarto ulteriore rispetto alla produzione poetica precedente di Buffoni: se La linea del cielo (Garzanti 2018) aveva una funzione di summa, di ricapitolazione del percorso e di riposizionamento critico, questo libro invece può provocare un nuovo squarcio nella storia della poesia italiana.


di Francesco Ottonello 

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