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 Bernard Noël: le corps du verbe. Colloque de Cerisy, sous la direction de Fabio Scotto, Lyon, ENS Éditions, 2008, pp. 348.

Che una scrittura di contestazione come quella di Noël

abbia goduto di un riconoscimento nell’ambito di uno

degli storici luoghi d’incontro della critica letteraria

francese, il Castello di Cerisy-la Salle, in Normandia, ha

certamente un qualche significato. La critica, per lo più

di tradizione accademica, si è, da un lato,

innegabilmente rinnovata negli ultimi decenni; o,

altrimenti, si è ‘decostruita’ – si ami o non si ami

Derrida – mettendo in discussione i suoi schemi. Di

questo rinnovamento è testimone questa edizione,

coordinata e curata da Fabio Scotto, uno dei maggiori

studiosi della produzione noëliana. Ma è vero anche che

l’opera di Noël, segnata dalla vicenda giudiziaria che lo

vide, nel 1973, colpevole di oltraggio al pudore a

seguito della pubblicazione del romanzo Le Chateau de

Cène (di cui qui rende conto un ricco dossier titolato

«L’outrage» e curato da J. Frémon) ha maturato a

partire dagli anni Ottanta, come ben osservano in

diversi contesti M. Collot (p. 53) e S. Martin (p. 69),

un’etica ed un’estetica della «relation», oltre che dell’

«engagement». Superato il rinnegamento contestatario

della referenza e del senso, proprio della

contemporaneità minimalista, testualista e negativista

oramai a corto di alternative, egli ha convintamente

sposato la causa di un «retour au monde» – causa

peraltro mai totalmente abbandonata – che si traduce

in un ritorno alla comunicazione. Si tratta infatti, come

ben scrive Collot, di «redonner au monde un sens qui

ne soit ni fixé ni imposé par la doxa ou par une

orthodoxie, mais proposé à partir d’une expérience

chaque fois singulière». In questo, come recita

l’ambivalente titolo dell’intervento che Collot mutua dal

poeta, «le monde n’est pas fini». Illuminante, per

comprendere l’opera eclettica di Noël – che si muove tra

teatro, poesia, romanzo, critica – l’introduzione del

curatore, che ha un complemento altrettanto ricco nella

conclusione, dal titolo: «De la représentation à

l’irréprésentable» (p. 269). Scotto mette in evidenza il

tratto più significativo del percorso intellettuale e

letterario di Noël, allorché scrive ch’esso può intendersi

come «une interrogation infinie du sens qu’acquiert

l’acte de voir dans la physiologie du regard». Centrale,

in questa investigazione, il ruolo degli Extraits du

corps, che, come ben chiarisce A. Malaprade (p. 55),

istituiscono una stretta relazione tra corpo e

linguaggio: tra etica del frammento e smembramento

dell’essere come percetto. L’intento che li caratterizza è

senz’altro in certa parte tributario della fenomenologia

della percezione di Merleau-Ponty, ma, ancor prima, e

in ambito poetico, dell’esperienza cenestesica ed

autoscopica di Baudelaire, cui fa riferimento, seppur

evasivamente, S. Martin (p.75). Esperienza segnata da

una crudeltà autosacrificale che, non lontana da certa

mistica, testimonia – lo vide bene Bataille, pioniere,

nell’Expérience intérieure, di un misticismo del corpo

inteso come «voyage au bout du possible de l’homme»

– di una forma di conoscenza nuda, senza velami

ideologico-concettuali: la lettera, infatti, uccide, e solo

così restituisce la vita vivente, e l’immanenza salvifica,

all’uomo, irretito in una paralizzante trascendentalità.

In quest’ultima infatti si legge oramai la sclerosi dello

spirito, tradotto in istanze morali e materiali. Se il

linguaggio dell’ordine e del potere, nelle nostre

‘democrazie’ occidentali, «ne nous prive pas de parole –

il ne nous censure pas – mais de sens», come scrive J.

Ancet citando Noël (p. 87), si rivela necessario dare

voce alla sensure, ossia, «aux activités organiques

refoulées par l’aristocratie spirituelle». In quest’ottica

insieme sensualista e metafisica, il derma, come

paradigma dell’esperienza del mondo esterno e barriera

del corpo (aspetto già presente ancora una volta in

Baudelaire e finemente studiato da Starobinski) diviene

l’emblema dell’esperienza stessa della sensure: intesa,

quest’ultima, come speranza di veder scaturire, dal

silenzio del linguaggio e del corpo, la verità fenomenica

dell’essere al mondo. Le arti visive hanno, in questa

fenomenologia, un ruolo fondante; esse rappresentano,

per Noël, non uno specchio del mondo, non la

testimonianza di uno sguardo viziato dai complessi

culturali, bensì, come scrive ancora Ancet citandolo (p.

89), «l’empreinte de l’inconscience organique du peintre

au moment où il peint». Potremmo forse parlare, con la

psicoanalisi, di un «engramma»? In ogni caso, il quadro

– M. Bishop parla di «faire plastique, lieu/non-lieu de

mouvance et de musique» (p. 185) e A. Rothwell di

«corps aéré» (p. 213) – è il luogo di presenza, di

coincidenza, di «schiarita» (l’ «éclaircie») in cui dedans

e dehors, i termini dell’antico dualismo, si annullano; e

l’arte diviene, per così dire, il ponte dello sguardo, nella

quête identitaria che si volge, a ritroso, verso il «vert

paradis» dell’infanzia. Non è infatti da questa rottura

con la lettera, con il corpo, che nasce la «maladie du

sens», per citare un’altra opera di Noël?. «Je crois –

scrive quest’ultimo – qu’en se retirant de nous l’enfance

nous laisse un corps meurtri» (p. 91). Ed è a buon

diritto che M. Brophy parla, a proposito del nostro

autore, di «ange du négatif» (p. 171), senza metterlo in

relazione con una componente propriamente luciferina,

ma considerandolo piuttosto come espressione della

necessità di decostruire quel percorso di «castration

mentale» che ha condotto, con un itinerario forzato e

degradante, il corpo mistico verso la sua trasfigurazione

in corpo economico e mediatico. Ed è viva, allora, nella

poetica noëliana, la necessità di quella che la

psicoanalisi definirebbe «riparazione», come

testimoniano i tre scritti inediti presentati in apertura

al volume («Les mots recousus», «Le jardin d’encre»,

«Une rupture en soi»). Una citazione valga, per tutte,

dall’explicit del terzo di questi, in prosa poetica, che

rivisita un famoso passo mistico della corrispondenza

mallarmeana (p. 34 nn.): «Ce qui a le pouvoir de tuer

est également ce qui peut secourir dans un mouvement

où la fatalité s’inverse et ramène vers la vie l’excès qui

allait en séparer. C’est dans cette déchirure

brusquement recousue que la Destruction devient la

Béatrice.»

Michela Landi

 





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