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ARMANDO GNISCI, Via della Transculturazione e della Gentilezza, Roma, Edizioni Ensemble, 2013, pp. 180, € 16,00.

«Il cammino più giusto è quello che ci porta a renderci aperti e attivi ad accettare l’idea di una civiltà nuova che possiamo costruire solo se costruiamo una mente decolonizzata e mondializzata» (p. 33). Poiché i mali dell’Occidente derivano dall’Occidente stesso, porre rimedio all’antico peccato del colonialismo si propone come il primo passo che l’ex docente di Letterature comparate Armando Gnisci (1946) indica per la nascita di una società globale più giusta, approfondendo e ampliando quel suo Manifesto transculturale apparso per la prima volta nel maggio 2011. Questo intenso saggio a metà tra la storia, la filosofia, la sociologia e l’analisi letteraria, è solo l’ultima delle molte opere di Gnisci dedicate ai temi a lui cari: in un’intervista in rete si legge che l’interesse per la letteratura di migrazione inizia nel ’91, quando, invitato a tenere una conferenza a Tunisi, preferì a Dante autori africani immigrati in Italia. Da quel momento l’attenzione verso una cultura meno convenzionale rispetto a quella accademica lo porta a pubblicare saggi come Creoli, meticci, migranti, clandestini e ribelli (1998) o Scrittori della creolizzazione europea (2006), che andranno a teorizzarsi definitivamente in quest’ultimo volume.
Dalle scoperte geografiche del ’500, l’uomo europeo si è macchiato di un’innumerevole quantità di colpe, facendo valere «al mondo intero la sua imponente e gravosa presenza, interferendo e devastando le vie autonome della storia proprie di tutte le nazioni sconfitte» (p. 51). I colonizzatori europei hanno preferito l’acculturazione – ossia l’adozione, talvolta forzata, di «costumi, lingua, leggi, stereotipi, arti, prosodia, calchi, motti» (p. 30) da parte dei popoli sottomessi – alla transculturazione (concetto impiegato per la prima volta dall’antropologo cubano Fernando Ortiz nella sua opera Contrappunto cubano del tabacco e dello zucchero del 1940), che prevede «la tendenza propria di ogni cultura a ibridarsi con altre culture a generare nuove forme ‘creole’ e imprevedibili» (p. 90).
Una volta individuato e ammesso questo errore, sarà possibile per la civiltà occidentale porre le basi di una società fondata su valori radicalmente diversi e migliori, uno su tutti la gentilezza: un buon punto di partenza sarebbe infatti guardare alla mobilità dei popoli, che ogni giorno approdano al vecchio continente, non come a un’invasione mirata a togliere diritti e lavoro agli indigeni, bensì come un’opportunità di «vitalità e futuro, speranza e benevolenza» (p. 42), che serva a creare «una civiltà umana generale, non globalizzata, senza più conquistatori, civilizzatori e superiori né dèi unici e chiese e ideologie e affari globali che parlano al mondo attraverso la menzogna e la rapina» (p. 43). L’ultima parte dell’opera è dedicata a tre concetti fondamentali della poetica dell’autore quali le Domande Antropiche Cosmologiche (DAC), il Principio Antropico Cosmologico (PAC) e la ‘gilania’. I primi due argomenti sono strettamente legati perché per rispondere alle DAC – chi siamo? da dove veniamo? dove stiamo andando? –, occorre il secondo acronimo; la gilania è un termine coniato dall’archeologa Marija Gimbutas che indica una società meravigliosa esistita in Europa nel Neolitico, basata sull’uguaglianza dei sessi e sull’assenza di gerarchie. Tale civiltà sarebbe stata poi soppiantata dall’invasione dei popoli kurgan, che adottavano una forma di organizzazione fortemente maschilista e patriarcale. Gnisci raccomanda dunque a noi europei di metterci «al servizio dell’umanità che abbiamo riunito indegnamente, per imparare a produrre tutti insieme e stabilire sulla Terra una civiltà umana generale dei diversi» (p. 60), proprio attraverso le qualità elencate.
L’opera di Gnisci è il primo numero della collana Transculturazione da lui curata per Edizioni Ensemble. Nel corso del 2014 sono stati pubblicati altri due volumi (Vergogna tra le due sponde di Ezzat Kamhawi e La poesia nelle piazze di Hussein Mahmoud) che approfondiscono alcuni dei temi fondamentali nello studio dell’autore, quali i cosiddetti ‘viaggi della morte’ nelle rotte del Mediterraneo e la poesia della ‘primavera araba’, impiegati entrambi per parlare di quel fermento culturale che gli europei non dovrebbero respingere, ma accogliere.

(Iacopo Cigolini)

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