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SIMONE GIORGINO, Poeti in rivolta. Lavoro e industria nella poesia italiana contemporanea, Avellino, Edizioni Sinestesie 2018, pp. 175, € 15.
Poeti in rivolta di Simone Giorgino si propone di colmare una lacuna negli studi sulle rappresentazioni letterarie del lavoro, da alcuni anni molto in voga, ma dedicati in prevalenza alla narrativa. Il vo­lume è strutturato in due parti. La prima si presenta come un corposo saggio in­troduttivo che restituisce profondità sto­rica all’emergenza del tema del lavoro operaio nella poesia italiana tra XIX e XX secolo, sondando le reazioni alla tardiva industrializzazione ottocentesca rinvenibili nei versi di autori quali Leopardi, Carduc­ci, D’Annunzio; affronta poi il fenomeno peculiare degli intellettuali detti da Gior­gino «integrati-apocalittici», perché inse­riti con varie qualifiche nelle aziende del boom economico ma in modo critico; e si spinge infine sino agli anni Duemila e a una contemporaneità sempre più post-industriale. La seconda raccoglie invece cinque capitoli, focalizzati su altrettanti poeti attivi nel cuore del Novecento: Vit­torio Sereni, Giovanni Giudici, Elio Paglia­rani, Pier Paolo Pasolini e Luigi Di Ruscio.
La prima parte non è unicamente un preludio alla successiva ma si rivela un compendio utile sia a ricostruire la storia delle relazioni tra i letterati italiani e il mon­do delle fabbriche sia soprattutto a valutare come esse si sono articolate nell’ambito di una più generale critica al neocapitalismo e all’industria culturale con cui tanti scrit­tori del secolo scorso si sono confrontati personalmente. Difatti, la serie di riferimen­ti convocati da Giorgino (con saggi noti di Zolla, Venè, Asor Rosa, Tessari, Camon, Piccone Stella, Ferretti, seguiti dagli atti del convegno Letteratura e industria tenutosi a Torino nel maggio 1994 e dai più recenti studi di Giuseppe Lupo) riassume bene in particolare le posizioni critiche in campo negli anni Sessanta e Settanta, a partire dal dibattito avviato da Vittorini sul «mena­bò» – che coinvolse direttamente alcuni dei poeti poi analizzati più distesamente nella seconda sezione del libro – e dalla comune esperienza olivettiana di molti di quegli au­tori. Le composizioni in versi di questi ulti­mi vengono oggi ricordate assai meno che le loro prose, eppure la poesia era forse il mezzo di espressione più intima e cogente per Fortini, Bigiaretti, Volponi e Ottieri, per non dire del quasi dimenticato Noventa. Se dunque in tale rassegna si può rileva­re una presenza scarsa di studi rivolti in modo specifico alla poesia – che perdura ancora oggi, con poche eccezioni notevoli tra cui il «Semicerchio» 48-49 (2013/1- 2) dedicato per l’appunto alla Poesia del lavoro – Giorgino ci ricorda come l’uno e l’altro aspetto della produzione degli autori citati vadano studiati congiuntamente, at­tribuendo semmai ai loro versi la capacità di illuminarne anche le prose più di quanto non valga il viceversa.
Poeti in rivolta conferma altresì l’esi­guità di una letteratura italiana autentica­mente operaia. In Francia, per esempio, la medesima storia si sarebbe potuta com­pilare citando in maggioranza autori di estrazione proletaria, mentre per avere un corpus consistente di testi firmati da poeti operai italiani bisogna scavare nelle riviste, nelle pubblicazioni estemporanee o nell’i­nedito. A tale rammarico – non mitigato da figure come quelle di Ada Negri per cui l’a­nelito rivoluzionario è definito da Giorgino un «pretesto artistico» (p. 21) – si deve la scelta nient’affatto casuale di concludere il volume con il saggio su Di Ruscio: dopo il prezioso capitolo su Sereni – che tra l’al­tro riporta per intero Una visita in fabbrica con un puntuale commento autoesegetico dell’autore tratto da una lettera a Mario Bo­selli del 1961 – e dopo le «impiegatizie fru­strazioni» di Giudici, l’«estetica dell’opposi­zione» di Pagliarani e la «rivoluzione come sentimento» di Pasolini, l’«io reso furioso dal mondo» del poeta-operaio marchigia­no pone proprio l’antagonismo come chia­ve per frantumare il topos dell’«industria inespressiva» di cui scriveva Ottieri in un appunto del novembre 1954 poi raccolto in La linea Gotica. Giorgino conferma così l’«importante funzione di presidio civile e libertario» e di «radicale antagonismo nei confronti dell’ordine neocapitalistico» (p. 10) che assegna ai poeti da lui selezionati fin dalla premessa del proprio volume, giu­stificandone pienamente il titolo.
 
(Claudio Panella)

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