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SONIA GENTILI, Novecento scritturale. La letteratura italiana e la Bibbia, Roma, Carocci Editore, 2016, pp. 264, € 24.

Il volume di Sonia Gentili soddisfa ciò che il titolo fa presagire. Si tratta infatti di una serie di studi sugli autori italiani che, nel Novecento, hanno trovato nella Bibbia un luogo di ispirazione, di scontro o semplicemente di confronto: i diversi saggi si soffermano su Giovanni Pascoli, Primo Levi, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Giovanni Testori e Vitaliano Brancati. Al gruppo di scrittori trattati si aggiungono gli autori affrontati negli studi che aprono il volume, Giacomo Leopardi e Hermann Melville, che acquisiscono un ruolo proficuo nei riferimenti dei capitoli successivi. La lettura di Gentili è resa omogenea dalla chiave interpretativa che trova la sua ragione di essere nella stessa natura del testo biblico, assumendone cioè le aporie non nella chiave logica della contraddizione, ma in quella filosofica di un «pensiero del limite […] come integrazione distorsiva o problematizzante di istanze culturali e letterarie tipiche del XX secolo» (p. 11). Ciò vuol dire che nel corso del Novecento gli scrittori hanno trovato nella tradizione biblica, sia veterotestamentaria sia neotestamentaria, i temi contemporanei allo stato irrisolto e oscuro del mito. La Bibbia ha allora funzionato nel corso dell’Ottocento e del Novecento come «mito vichiano», scrive Gentili, cioè «primum espressivo che precede ogni distinzione e reca in sé stesso anche il razionalismo che tende a scioglierlo: ha dunque la formidabile vitalità di ciò che è processo, significato nel suo farsi, immagine al bivio tra univocità e ambiguità» (p. 12). Caratteristica molto importante di questo volume, e che è conseguenza diretta anche della scelta degli autori trattati, è la proficua considerazione di due Bibbie nel corso del Novecento, quella ebraica e quella cristiana, importante perché mai come nello scorso secolo il Vecchio e il Nuovo Testamento si allontanano e divergono prima di riavvicinarsi nella riflessione su Dio generata dalla Shoah: a questo proposito, Gentili riprende le parole di Levinas in Difficile libertà, parole che aprono ad una simile analisi: «ritrovarsi ebreo dopo i massacri dei nazisti significa prendere posizione nei confronti del cristianesimo su un altro piano» (94). Il terzo capitolo infatti, intitolato Il destino ebraico fra terra desolata ed Eden, si concentra proprio sulle immagini, non solo letterarie ma anche pittoriche, del volto e delle funzioni di Dio in rapporto al destino ebraico. La lettura di Se questo è un uomo ad esempio, prende le mosse dalle citazioni o richiami alla Torah che affiorano nel testo, individuando nella rappresentazione del Lager il ribaltamento più tragico del tema del giardino dell’Eden. Sempre dall’immagine del giardino edenico nasce la riflessione su Il giardino dei Finzi-Contini: se è nota un’interpretazione che privilegi una visione del mondo ebraico durante le persecuzioni naziste come un chiuso Eden rivolto al passato e identificabile in un cimitero, Gentili svela anche come questo stesso processo, assecondando un confronto con le storie bibliche e le rappresentazioni pittoriche oggetto di studi di Roberto Longhi, esprima un’autoesaltazione del popolo ebraico rispetto alla storia. Nel volume si possono inoltre leggere le accurate note che Elsa Morante appose nella sua personale Bibbia e avere un punto di vista privilegiato sulla questione dell’opposizione paolina tra carità e scienza. Sono infatti le Epistole di Paolo ad aver influenzato in maniera precipua la sua opera; Morante «segue la frattura tra amore e scienza fino in fondo» (p. 128), ritrovando infine nell’amore l’unica e veritiera forma di conoscenza, a fronte di una «inconoscibilità e paradossalità di enigma senza risposta» (p. 131) che ha per lei il carattere di Dio. Chiudono il volume gli approfondimenti sul progetto pasoliniano di un lungometraggio su Paolo di Tarso (rifiutato dalla Sanpaolo film con conseguente grande dispiacere dell’autore) e su un caso della censura della pièce teatrale di Brancati, La governante del 1952, ad opera dell’ufficio della censura repubblicana.

(Matteo Moca)

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