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STEFANO BRUGNOLO, DAVIDE COLUSSI, SERGIO ZATTI, EMANUELE ZINATO, La scrittura e il mondo. Teorie letterarie del Novecento, Roma, Carocci, 2016, pp. 416, € 36,00.

Il libro di Brugnolo, Colussi, Zatti e Zinato inizia con una serie di domande da ‘far tremar le vene e i polsi’: da dove viene la letteratura? È un gioco o uno studio del mondo? Si può razionalizzare il suo messaggio, e si può farlo sempre? Esistono criteri storici o teorici che ne favoriscano l’interpretazione? Domande, è ovvio, a cui è impossibile dare una e una sola risposta esaustiva, e a cui, forse, sono invece possibili pressoché infinite risposte, tante quante sono i soggetti-lettori chiamati in causa, anche perché tali domande altro non sono che la suddivisione, in un certo senso la distensione di un’unica grande domanda, quella che coraggiosamente Sartre avocò a se stesso nel 1948: ‘che cos’è la letteratura?’ E altro non si può fare oggi in effetti, se ci si propone, come gli autori si propongono, non solo di aggiornare un quadro teorico e interpretativo fermo, almeno in Italia, al libro di Corti e Segre del 1970, ma anche di tornare a parlare di un ‘senso condiviso’ – io direi anche ‘senso comune’ – di ciò che è letteratura: altro non si può fare se non riappropriarsi della stessa domanda di Sartre, e, più modestamente, ma anche più utilmente, scomporla prima nelle minori domande che la compongono, e poi cercare una griglia, il più possibile appunto condivisa, in cui possano essere inserite tutte le possibili risposte, o, meglio, tutte le risposte che sono apparse fin qui possibili. E dove trovare una griglia così sicura se non nell’insuperato modello di analisi della comunicazione verbale offertoci da Jakobson nel 1960? Sei erano per il linguista russo i fattori di ogni comunicazione: mittente, messaggio, destinatario, contatto, codice, contesto, e sei sono ancora, per chiunque si occupi di teoria linguistica e letteraria, nonostante successive aggiunte e varianti che, per ora, assomigliano a quegli ipotetici quadri di fisica teorica che talvolta si leggono in articoli divulgativi, ma che non sembrano ancora in grado di aggiornare una condivisibile ‘teoria del tutto’. Da qui dunque si può ripartire, ricordando che è testo letterario quel testo che chiede attenzione prevalentemente sul ‘messaggio’, e che quindi esalta una propria ‘funzione poetica’; e ovviamente riconoscendo che anche nel testo così definitosi si mantenga l’importanza agli altri elementi, in vario grado: ne consegue che tutte le teorie di interpretazione letteraria che sono state nel tempo proposte possono caratterizzarsi a seconda che abbiano dato maggiore o minore importanza a ciascuno dei sei elementi di Jakobson. Qui l’’Introduzione’ al volume diventa in realtà un piccolo ma esaustivo saggio autonomo, in cui si passano rapidamente in rassegna, ricordando per ciascuno di essi fautori ed oppositori, l’approccio biografistico e quello ricezionista, dove ci si muove, in sostanza, fra autore e lettore; poi si ricorda chi si è particolarmente dedicato al ‘contatto’, cioè alla trasmissione dei testi, e quindi all’apporto degli studi filologici alla più generale interpretazione del testo; infine il ‘codice’, cioè la lingua ma anche il genere, e quindi l’intertestualità, e il ‘contesto’, forse l’elemento jakobsoniano che ha assunto maggiore peso per tutti quelli che, a qualsiasi livello, si occupano di letteratura per la passione di insegnarla: nella scuola, dalle medie all’università, la ‘letteratura’ è, ancora e sempre, corso istituzionale, ‘storia della letteratura’, e che ciò sia un bene o un male non è certo qui luogo di discussione, ma uno dei meriti di questo libro è anche, a mio parere, intervenire implicitamente nella suddetta questione, e vi tornerò brevemente più avanti. La nostra ‘Introduzione’, intanto, lascia per ultima, giustamente, la funzione delle funzioni, quella ‘poetica’ senza la quale difficilmente si può parlare di testo letterario. Qui non si parla di ‘approcci’, ma solo di ‘centralità del testo’, ed è la parte più ardua, meno definibile, ma anche più affascinante: si possono qualificare i modi con cui e per cui un testo ci appassiona, ci entra nella memoria, ci parla direttamente da qualsiasi luogo o epoca provenga? Si tratta di ‘stile’? di ‘dimensione figurale’? Di livelli metaforici? Oppure anche di ‘inventio’ e ‘dispositio’? Di tutto questo ovviamente si tratta, in varia misura, e alla fine, abbandonando progressivamente nomi di grandi interpreti e teorici, il discorso si fa autonomo, nell’auspicio che, qualsiasi sia il tipo di metodo scelto per interpretare un testo, non si dimentichi mai che, alla fine, ‘solo il testo può spiegare se stesso’. Dato con tale chiarezza nelle prime pagine il quadro tassonomico e in qualche modo sincronico della questione, il libro poi di nuovo scompone e distende, nei suoi dodici capitoli, il percorso cronologico di tutte le teorie che, fin qui, si sono confrontate intorno al fatto letterario: si parte infatti da Croce e dai formalisti russi, per poi elencare la critica stilistica, le interpretazioni più calamitate dalla forma romanzo, i marxisti, gli strutturalisti, fino a giungere al decostruzionismo e all’ampio spazio dedicato, giustamente, all’’universo degli Studies’, cioè gli studi di genere, quelli postcoloniali, quelli più estensivamente ‘culturali’, in sostanza tutto ciò che si è posto al di là di una sorta di ‘cesura’ disciplinare, in cui da un lato si rifiutano le vecchie norme interpretative, ma dall’altro si rischia continuamente di ricadere in una critica dei materiali e dei temi interni all’opera: uno studio che voglia portare il quadro fino all’oggi, o almeno all’ieri, certo non può tralasciare le ultime tendenze, ciò che per tanti anni ha fatto ‘moda’, nella consapevolezza, però, che è ancora forse troppo presto per darne un’immagine razionalmente esaustiva. Anche per il coraggio di tale completezza del percorso cronologico, La scrittura e il mondo si presenta come la trattazione di taglio manualistico più esauriente oggi disponibile sull’avvicendarsi e il confrontarsi delle teorie letterarie. Inutile ovviamente dare conto di ogni capitolo e di ogni passaggio, un manuale si apprezza per l’impostazione e la chiarezza, posso solo dire che, a mio giudizio, è particolarmente apprezzabile l’incisività del capitolo secondo, sulla critica stilistica, e degli ultimi, quelli appunto sui ‘Cultural Studies’. Ma colpisce soprattutto la coerenza del progetto e l’omogeneità dell’impostazione, soprattutto di fronte alla collaborazione di quattro autori diversi. Nasce, questa coerenza, io credo, dalla comune volontà di produrre sia il necessario aggiornamento su questi temi che in Italia mancava da tempo, sia, come dicevo, uno strumento che ogni insegnante di letteratura dovrebbe utilizzare con i suoi studenti: servirebbe dietro la cattedra a smorzare l’ossessione dei pure imprescindibili programmi ministeriali, e davanti alla cattedra svecchierebbe il sia pur irrinunciabile ‘chi viene dopo o prima di chi’, e il molto meno irrinunciabile connubio scolastico di ‘vita e opere’ che imperversa in ogni antologia. Centralità del testo, insomma, e ben vengano libri come questo a ricordarcela, anche perché, e concludo con quello che mi sembra il suo merito maggiore, il necessario accoglimento nel percorso di tutti i nomi e di tutte le teorie che abbiano dato testimonianza di sé non produce in queste pagine la piatta imparzialità dell’elenco, né, d’altra parte, induce gli autori a schierarsi esplicitamente e partigianamente per l’uno o per l’altro, attribuendo ad alcune di tali teorie un maggior valore ‘scientifico’: ogni affermazione viene invece vagliata nell’ottica di una auspicabile universalità di lettori, e quando si vogliono indicare i limiti di una certa interpretazione si dice ad esempio che vi si sostengono posizioni ‘antitetiche a ogni senso comune’; oppure si stigmatizzano certe esagerazioni dell’intertestualità perché ‘il buon lettore non legge in questo modo l’ultimo romanzo che tiene tra le mani e che pagina dopo pagina gli diventa un mondo a parte’. Il pregio di questo libro è insomma quello di avere affrontato aspetti anche complessi dell’interpretazione letteraria con un taglio pianamente divulgativo, il che lo rende utile non solo agli ‘addetti ai lavori’ come aggiornamento, o come dicevo agli insegnanti come manuale a cui riferirsi, ma anche al lettore comune, anzi, al ‘buon lettore’, cioè a chiunque voglia fortificare la propria passione per la lettura; e questo taglio divulgativo non è raggiunto attraverso un abbassamento del linguaggio, o il rifiuto di termini tecnici o specifici – valga per tutti il confronto fra una filologia ‘esoterica’ e una ‘essoterica’ – ma appunto attraverso lo spostamento dell’ottica su una comunità di lettori, che è l’unica via per arrivare a ‘dare alla scrittura un senso condiviso’. Un solo appunto, per finire: i riferimenti bibliografici non dovevano a mio parere essere lasciati alla fine di ogni capitolo, ma interamente rimescolati alla fine del libro, per ottenere un ulteriore strumento generale di più agile consultazione.

(Andrea Matucci)


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