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GIOVANNA MOCHI e ROBERTO VENUTI (a cura di), Miti della modernità, Roma, Artemide, 2015, pp. 394, € 30.

Come, con estrema onestà intellettuale, i curatori dichiarano fin dalle prime righe dell’introduzione, «è sempre una forzatura […] presentare come fosse unitario e compatto un volume collettaneo». Ma la realtà dei fatti è ben diversa, poiché Miti della modernita raccoglie contributi che si articolano in maniera sorprendentemente coerente attorno a quattro nuclei, i quali presentano notevoli attrattive sia per gli studiosi della cultura modernista che per coloro che si interessano, ad esempio, di riscritture e adattamenti. La prima sezione, intitolata Il sogno americano: utopie, disillusioni, trasgressioni, presenta in rapida successione una serie di ritratti di scrittori e personaggi molto noti, ma trattati con abilità e trasporto non comuni. Difatti è proprio questo coinvolgimento personale nei confronti dell’argomento (e della dedicataria della collettanea) che permette ai contributors una più rilassata ma non per questo meno stimolante e criticamente arguta disamina di argomenti assai battuti, ma qui affrontati da angolature nuove. Si passa da William Carlos Williams e due dei suoi “Esercizi” a The Sun Also Rises, con le delicate strategie descrittive del suo narratore-flâneur Jake Barnes, a Fitzgerald e García Lorca, che preparano la strada a una riflessione sul motivo dell’apocalisse nella letteratura tedesca, a sua volta preludio (in una concatenazione di argomenti tutt’altro che incoerente) a due interventi ascrivibili alla ‘linea dell’ecocritica’, con analisi di testi poetici di cui Paola Loreto fornisce un’interessante carrellata antologica. Il secondo movimento, I miti nella modernita, accoppia Orfeo, Dafne, Antigone, Ulisse, Prometeo, Lilith, Moby Dick, Marilyn e il Giardino dell’Eden, generando una delle infinite selezioni di miti che sono declinati e riscritti in chiave moderna. Di notevole interesse l’intervento di Clemens-Carl Härle che, partendo dai racconti ‘mitologici’ che Kakfa compose tra il 1917 e il 1920, si interroga sul delicato concetto dell’anteriorita, ossia di quel «tempo remoto […] che non è mai stato presente, un passato ‘assoluto’, e quasi fuori dal tempo, che irrompe nel presente» (p. 192), e lo propone come categoria critica per l’interpretazione delle riscritture del mito. Degna di nota è pure la ricognizione che Marzia Pieri propone, non solo in un’ottica femminista, del mito dell’attrice come «creatura divina o infernale che danna o consola, sconvolge le menti o le illumina grazie alla sua capacità di maneggiare le passioni» (p. 210). Identita e alterita è il penultimo movimento di questa polifonia che, dopo l’illuminante esplorazione della Bete Humaine da parte di Pierluigi Pellini, si propone di seguire Rimbaud in Abissinia, spazio tanto significativo da essere paragonabile al «bisogno di quella “uscita dall’essere” al quale il filosofo Emmanuel Levinas riconduce negli anni trenta del Novecento la parte più significativa della letteratura contemporanea», dando uno sguardo su un mondo postcoloniale che tanto rassomiglia, nella sua condizione di alteritas rispetto al canone occidentale, a quell’America la cui scoperta e ‘comprensione’ in termini di alterità avevano costituito l’oggetto del celebre studio antropologico di un Todorov ancora teoricamente propositivo negli anni ’80. Particolarmente utile il contributo di Daniela Brogi su «L’interprete dei malanni», opera prima della scrittrice anglo-americo-indiana Jhumpa Lahiri, la cui lettura è affrontata nell’ottica di una sequenza di narrazioni brevi volte a dare un senso alla frammentarietà dell’esistenza migrante: «Sull’immagine di questa impossibilità di far arrivare a destinazione le parole, resta la memoria, comincia la scrittura: del singolo racconto come pure, en abyme, di tutti gli altri testi che compongono il libro l’Interprete dei malanni.» (p. 312). L’ultima sezione, Mythologies, palesa il soggetto che si nasconde dietro a molti (se non a tutti) i contributi, presentandosi come ispiratore teorico della raccolta: Roland Barthes, il cui centenario dalla nascita ha coinciso con la data di pubblicazione del volume, che nel suo Mythologies, aveva unito il consueto interesse per i processi linguistici ad una marcata volontà di demistificazione dei miti della società a lui contemporanea. Sulla scia di Barthes, che non trattava di Edipo ma di Caterina la Grande, Giovanna Mochi riflette su Peter Pan, Antonio Melis su Che Guevara e Alex R. Falzon su Bob Dylan. Antonio Prete conclude questo itinerario in chiave narrativa, immaginandosi un Chisciotte a Milano. Questo viaggio non poteva avere chiusa migliore, visto che la sua cifra risiede in una argomentazione a metà tra l’idiosincrasia critica e il ragionamento documentario, perseguita individualmente, ma all’interno di un armonico quadro d’insieme. L’epilogo narrativo si pone come terzo momento ‘letterario’ della raccolta, dopo il «Preludio» di Sergio Perosa e l’«Intermezzo» di Luigi Sanpietro. Una vera raccolta di saggi secondo l'esempio anglosassone, quindi, testi che si propongono di diventare pronunciamenti su un argomento “senza data di scadenza” e che possono costituire un valido aiuto per studiosi e accademici, studenti o semplici lettori curiosi.

(Paolo Bugliani)

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