« indietro LUIGI SOCCI, Freddo da Palco, Napoli, Edizioni d’If, 2009 («i miosotìs» 38), pp. 29, € 7,00.
Con mezzi espressivi fondamentalmente bloccati sul Caproni ‘scenico’ (Il Franco cacciatore, Il conte di Kevenhüller) e una sola metafora di base, risaputa e ribattuta, quella del teatro e del mondo come teatro, Luigi Socci (Ancona, 1966) riesce a tirare fuori due delle poesie più belle dell’anno. Deve essere proprio perché per la sua prevalente attività di performer ‘sente’ la scena in maniera così forte che un po’ di questa energia e la geometria di movimenti che la accompagna passano sulla carta. Al di là del professare un tipo di teatro che si confonde con la vita e «che va oltre il suo orario» («Finiscono le prove / iniziano gli indizi. // Piuttosto che crepe / meglio dire interstizi»), per esempio prendendo l’opzione dimessa della riscrittura dei Limoni di Montale («tocca anche a noi la nostra / visione su un dettaglio / del povero teatro dei cortili»), la giunzione stimolante tra piano metaforico e il reale si realizza quando l’erotismo si fa oggetto plastico (nella serie barocca delle Berniniane): «Santa Teresa d’Avila trafitta da una freccia / un po’ ne vuole ancora / non vuole sopportare che si smetta. / È vestita di scogli / sfaccettaure angoli / è becchime per angeli». Ed è ancora dall’immagine di un cadavere, quello «della giovane terrorista addormentata morta in poltronissima», che nasce la bellissima «lunga didascalia in versi» di Ultima prima al Na Dubrovka, ovvero sulla strage nel omonimo teatro moscovita, quando il 23 ottobre 2002 le forze speciali russe intervennero per liberare gli spettatori ostaggi di un gruppo di militanti ceceni provocando una strage. Il testo si apre anni luce lontano dal massacro, con la valutazione, quasi pettegola, di una serie di stagioni teatrali, finché la strozzatura di una cifra ci gela e innesca il racconto: «Il teatro russo degli anni ottanta / mi stanca. / Il teatro russo degli anni novanta / invece incanta. / Ma il teatro russo degli anni zero / è vero». Tutto quello che succede è un film visto e raccontato, ma Socci ci mette i dettagli, o meglio, la regia impazzita dei dettagli: «Una cappa di fumo scendeva dal soffitto / come un effetto speciale reale», o ancora: «L’emissione vocale del morire / non arriva alle ultime file». Freddo intenso che cala dal palcoscenico alla platea, appunto.
(Fabio Zinelli)
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