« indietro ANTONIO RICCARDI, Aquarama e altre poesie d’amore, Milano, Garzanti, 2009, pp. 200, € 19,00.
Forse meno in vista che negli Impianti del dovere e della guerra, in Aquarama ritroviamo la spinta strutturale che era cresciuta fra il primo e il secondo libro di Riccardi. L’esigenza di un impianto circolare e speculare, un po’ come negli Impianti, è a tema fin dall’ultimo verso di Ex voto, la sezione di apertura: «Poi hai chiuso l’inizio con la fine». Ex voto e Orbis celestis typus – le sezioni estreme – bloccano la raccolta in una cornice. E d’altra parte, Bestiario d’amore e Nel sabato celeste i draghi in amore cantano, con i rispettivi sottotitoli, «cronache dal Museo di Scienze Naturali», a Milano, ed «esercizi a Chinatown», in cui si ha il sospetto di trovarci nella stessa città, malgrado l’esotismo, costituiscono un dittico legatissimo. Il discorso poetico vi è strettamente intrecciato; le ambiguità di Bestiario d’amore – «Né profitto / né perdita a baciarti nella giungla» (Improvvisamente dal tuo corpo) – sono sciolte Nel sabato celeste: «So che alla fine sarà un altro / a baciarti nella giungla australe / avendo trafitto il drago» (So che alla fine sarà un altro). Nel sabato celeste conclude il Bestiario d’amore con un congedo. La vicenda d’amore si esaurisce con una larghissima campata tra due diverse mitologie, le sirene di Argonauta con sirena e i draghi di Nel sabato celeste: in ogni caso tra illusorietà e separazione. Il tu della poesia d’amore è destinato a un ‘altro’ e soprattutto a un altrove, che come per Montale, rappresenta il vero dramma. In Aquarama, paradossalmente, il soggetto parla dell’altrove, ma per lui l’altrove non è possibilità reale. Nello spazio onirico e illusorio fissato da Ex voto, Argonauta con sirena e Aquarama – seconda e terza sezione – impostano la chiave di volta del libro, l’azzerarsi dello spazio-tempo: la Brasilia di Argonauta con sirena è anche (o forse solo) l’Idroscalo e Segrate. Passato e futuro sono indistintamente memoria. La molteplicità dei luoghi e dei tempi finisce per collassare in una Milano compendio dell’esistere assediato dalla forma e dalla coazione a ripetere, in cui non esiste più nulla di naturale. Persino la cometa dell’ultima sezione è assunta nella geografia milanese, «tra corso Garibaldi e corso Como» (Ho visto la cometa salire). «Salvami da questa città» (Sono nel ventre dell’animale) risponde con una nuova ansiosa richiesta ad una inquietante domanda retorica: «Pensavi davvero di scappare / dalla forma della nostra vita?» (In alto, la balena). Per contraccolpo nella raccolta ristagna il senso di irrealtà: il libro si apre con il dormiveglia e si prosegue con la sua riedizione semitecnologica, il diorama, presente già negli Impianti e qui ossessivamente ribattuto (forse persino dal titolo). In questo scenario artificiale l’intero universo si riduce ad un palcoscenico illusionistico e posticcio, dove regna la «cartapesta»: «fondale da melodramma», «artico da camera», «falsa profondità del verde». Al centro della raccolta il Bestiario d’amore si materializza in un museo: impossibile sottrarsi all’impressione di una fissazione mortuaria, di una sorta di teatro o meglio di apparato funerario barocco, ancorché privo di fasto. La condizione è quella di chi si trova nel ventre della balena («Sono nel ventre dell’animale»), escluso però il ricorso al tragico, dal momento che la balena è una «bestia di cartapesta» (In alto, la balena). L’imbalsamazione svuota il bestiario di ogni residua inarcatura di senso. Persino il sottotesto biblico e apocalittico – in continuità con i libri che precedono –, più che incrementare, anche cristologicamente, le proprietà simboliche del bestiario, è deprivato di tensione significante. Semmai oggetto di parodia. E del resto su un fondale del genere si installa un linguaggio non meno immobile, postumo: la letteratura e la poesia non garantiscono risorse. Forse è meno esile di quello che può apparire il rinvio a Bertolucci. Senz’altro il riporto montaliano (e sereniano) è ampio. La figura del padre, con cui si apre la raccolta, si inserisce nella traccia dalla Bufera, seguita poi da Sereni, Raboni. In ogni caso misure endecasillabiche, rime e rimalmezzo, assonanze fissano una scrittura che dialoga con le procedure montaliane (e con Montale affiorano Dante, Eliot, ecc.). La derubricazione è tuttavia sistematica. L’attacco è nella zona degli Xenia e di Satura, e dopo Satura. Se la «ragazza che si tuffa» con cui si apre Ex voto condensa la memoria di Esterina, è su un registro minore, in cui ogni accensione si scarica nell’irrilevanza del quotidiano (il térital, il terilene). L’accettazione di un limite invalicabile – benché nelle ultime due sezioni emerga la volontà di riaprire la partita –, che riguarda orizzonte poetico e lingua, pone qualche interrogativo. In primo luogo sulle prospettive di una lingua che si àncora a Montale (o alla costellazione montaliana) ed è attratta in uno spazio museificato, posticcio. Per quanto riattinga all’asse portante della tradizione novecentesca, Aquarama non riesce a liberare il lettore dalla sensazione che questa sia giunta al proprio limite di inattualità, forse di esaurimento.
(Stefano Giovannuzzi)
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