« indietro GABRIELA FANTATO, Il tempo dovuto, poesie (1996-2005), Roma, Editoria & Spettacolo 2005, pp. 184, €10,00.
Il ‘tempo dovuto’ di Gabriela Fantato (n. 1960) è l’arco dell’esperienza poetica finora disegnato dalla direttrice della rivista letteraria «La mosca di Milano». Configurata come un’antologia-macrotesto, l’opera si apre con l’accurata riproposizione di poesie (e relative note critiche) da libri pubblicati tra il 1996 e il 2002 (Fugando, Enigma – ventidue invocazioni, Moltitudine – poche storie certe e numerate e la bilingue Northern Geography) e si chiude con una scelta di inediti com posti tra il 2001 e il 2005. Come la stessa autrice afferma nella premessa, i testi si offrono alla duplice lettura dell’«estraneità» rispetto alle «scelte espressive del passato», ma anche della «continuità» di temi e toni, nel passaggio di trasformazione (che vediamo come un’evoluzione maturata e naturale) da un linguaggio contratto, allusivo ed elusivo, implicito e segnato da forti cesure, a un anda mento più dialogato ed ampio, disteso, lento fino all’adozione del «poemetto», con interessanti incursioni nel campo della scrittura in versi per musica e teatro. Un arco, quindi, che si estende da una dimensione in cui sono narrate storie di singoli, a una prospettiva corale, impegnata e civile, dall’ambientazione in spazi chiusi e domestici (seppur metaforici), all’apertura delle reali strade e piazze di una metropoli tutta da osservare: percorso segnato da una ricerca di «attenzione alle cose» tutta lombarda, ma anche da un uso difficile e fedele della lingua poetica. In un lavoro continuo di aderenza per una voce che, dalla bella definizione in un brano di Fugando («afferrata ad una crepa / s’insinua, segue richiami / perduti i legami / nella grotta di echi / [...] si mostra, lentissima, la voce») ci porta, quasi dopo aver girato tra le stanze di casa della sezione Dedica, e girando gli arcani dei «Tarocchi» di Enigma, ad una più recente voce poesia-rumore che soffia tra le case e nel le cose (Il sibilo che sale): «Forse il peso che sento nelle spalle / è questo mugolare – la materia / parla ostinata, a sottintesi / è un ronzio che striscia / dal metrò alle case (al piatto, al tavolo da pranzo, / alla narice abituata al senno). / Nemmeno i balconi sanno tenere / il sibilo che sale dai tombini / e non si ferma».
Caterina Bigazzi
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