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Elena Švarc (Leningrado, 1948), affermatasi negli anni Settanta nelle edizioni letterarie del samizdat e dell’emigrazione, ha pubblicato i primi libri di poesia all’estero (1984, 1987, 1988). In Russia ha poi pubblicato numerosi libri poetici. La più completa raccolta delle opere, Socinenija, in due volumi, è del 2002. L’anno successivo ha pubblicato un lodatissimo volume di prose Vidimaja storona žizni (‘Il lato visibile della vita’). Ha vinto numerosi premi poetici tra cui, in Italia, il Premio «Sibilla Aleramo». Nel 2005 è uscito in Italia il volume di liriche San Pietroburgo e l’oscurità soave.


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1997

GRANDE ELEGIA PER IL QUINTO PUNTO CARDINALE

 

Come in una corrente, tutti i punti cardinali sono confluiti

Verso un unico punto, da dove all’alba sono svaniti.

Addio, ritorna indietro da Oriente e da Occidente.

È tempo. Ritorna sui tuoi passi – ormai non hai più da vagare.

Da Nord, da Sud – inverti la rotta col remo.

Lo sai, non è una novità, che il nostro mondo è una croce,

Quattro animali attorno la proteggevano.

All’improvviso si sono sollevati dai posti abituali –

Come se qualcosa li chiamasse verso il punto centrale,

E là, nella terra di nessuno, s’è aperto un abisso-cratere.

 

Dal sud del lauroceraso in groppa a un nero leone addensato

Ho viaggiato tra la crudele erba magnetica.

Là, a sud, c’è l’ardore della voluttà e il delirio,

Là in alambicchi trasparenti coltivano una fiamma purpurea.

D’improvviso un tintinnio e un fragore – è apparsa una cascata.

 

Cingendomi, essa m’ha attirato in profondità, dove attira non tutti,

Ma quanti si lanciano a occhi chiusi dal tetto per sempre.

Ma, facendo uno sforzo, sono balzata a sinistra e in alto.

Ed era l’Occidente – dov’è il freddo, la stanchezza e il peccato.

Con questo balzo ho perso la memoria delle notti,

I rubini e le stelle, il rossore e il mazzo di chiavi.

Ma il mulino delle ali ruotava, ecco ormai sono

Al Nord in una tenda, dove una testa regna tra le nevi.

Ma scivolo di nuovo sullo stesso tavolo d’acqua

Con la tovaglia incontenibile, e i libri precipitano con me.

Allora mi sono lanciata a Oriente con l’ultima speranza,

Dove sono i monti, la quiete, là gli dei hanno vesti color zafferano.

Ma per quanto tu possa ruotare nel mulino dei punti cardinali,

Ci sono solo due soluzioni, la prima: cadere svoltando,

L’altra – precipitare nell’oscurità esteriore,

La rigetterò, lì l’Intelletto non ha di che nutrirsi,

Lì non ci sono né rifugi, né pietre miliari, né recinti.

Oh no! Rimane solo la cascata.

 

Quel punto spaventoso è il centro della Croce,

Dov’è il cuore, come carbone, dov’è il dolore, il vuoto.

Ma questo stesso cuore – lì rimbomba il sangue –

Genera la speranza che nell’ira sia celato l’amore.

 

Addio, mio mulino, ruota dei punti cardinali!

Sono ormai attratta e trascinata, vi ricordo, come un sogno.

Nessuno ormai mi restituirà né le chiavi, né le pietre,

Né i nomi, né le ossa.

Con una scintilla di luce in mano volo in un acquazzone di ombre.

Oh, acquazzone, oh, mulino, oh, cascata!

Siamo ridotti in cenere, e come spoglie ci depositeremo sul fondo.

Il leone, l’angelo, l’aquila e il vitello si sono dissolti in me.

Ma se riesci ancora a guardare in alto, alla fonte –

Là i punti cardinali roteano, come un fiore nero,

E se inghiottirò la scintilla dalla mia mano –

Accadrà un miracolo – volo in alto, verso il centro.

 

Ormai mi attrae la corrente ascensionale inversa.

Quasi fosse un’elica, e nel suo centro c’è un grammofono

(E la musica si sente da entrambi i lati).

Ecco mi precipito verso la gioia dell’alba, l’Oriente dei cocomeri.

Ricordo subito che il mondo è una Croce,

Quattro animali attorno la proteggono,

E là, nel centro, c’è il cuore, palpita sempre più spaventoso.

Ho ricordato la memoria, ho trovato chiavi dorate.

 

I quattro animali si sono precipitati ai margini dei propri punti.

Per rincorrerli tutti subito, dovevo all’inizio essere crocefissa.

L’angelo sopra la testa, il leone col petto rosso ai piedi,

Gli altri due sui fianchi, a guardia.

Luca, Giovanni, Marco e Matteo

Sono convenuti nel crepuscolo roseo del cuore con pile di libri.

Cuore, cuore, intuisci presto!

Il cuore con un occhietto li guarda di sbieco.

 

Il pensiero ha le ali, volerà in alto,

La parola ha le unghie, le trafiggerà in profondità.

Oh, la zampa dell’ira, oh, il becco della frenesia luminosa!

Ma l’angelo e il Vitellino ci hanno insegnato la pietà, l’umiltà.

Li compatisco tutti. Non l’avevo notato – d’un tratto –

La testa vola a Nord, e le gambe si sono precipitate a Sud.

 

Ecco così m’hanno lacerata. Dov’è la fonte gorgogliante del cuore –

Là si dimena un cespuglio, è rosso, pungente.

E là siamo tutti pesti, distrutti, tutti squarciati,

Ma affinché non lo notassimo – ci è dato il tempo e una casa.

Scendendo in volo, librandoci in un fumo sanguigno e dorato,

Voliamo sopra l’abisso e giriamo nella ruota.

 

Nella notte dell’epifania lupi feroci siedono a un foro sul ghiaccio.

Le loro code sono gelate, ma i lupi seguono lo scintillio del gioco

Di stelle fluttuanti dal basso, vedono mondi profondi.

Misere creature perspicaci – non belve regali.

I lupi sono come noi, e fanno un cenno: parla.

Con la zampa intorbidano l’acqua, in cui i loro occhi avvampano

Di gelida fiamma. Se è una stella, l’ha deformata una lacrima.

Soltanto in essa c’è la salvezza, guardala,

Mentre la Croce, dilatandosi, ti strazia da dentro.

 

1997

(Traduzione di Paolo Galvagni)

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1995



PROFEZIA PER LUCIFERO


Signor Lucifero, se io divinassi per voi, ecco

il vostro destino – prima del tempo e quando

il tempo non ci esisterà più.

 

Nel torso dell’oscuro abisso

Volteggiava gelida una Croce,

Rozza, d’un sol pezzo, verde,

Come spaccata da un’accetta.

 

Nel crocicchio trafitto,

Nella ferita dilatata,

Entrarono uccelli luminosi,

Ma ne uscirono – mosche.

 

Strappandosi di colpo

I vestiti bianchissimi,

Volavano piangendo a dirotto

Col disgustoso corpo nero,

 

E il loro massimo condottiero,

Archistratega e vendicatore,

Irato storceva gli occhi verso l’alto.

 

Lo sapeva – sarebbe iniziato il Tempo,

Sarebbe sorta la Terra.

Sarebbe quindi venuto il Salvatore,

L’avrebbe compianta,

 

Poi il Tempo si sarebbe contratto,

E la croce-martello avrebbe spaccato

La putrida noce della Terra.

 

Lo sapeva, anche prima di cadere,

Lui, il più malefico dei malefici,

Il canuto padre del peccato,

Che un sole gelido

 

Sarebbe caduto sulle spalle

E, spaccandosi, sarebbe diventato

Una rozza croce ghiacciata,

L’avrebbe piegato verso di sé.

 

L’avrebbe pervaso l’orrore,

E un gelo estraneo avrebbe

Riarso l’anima glaciale.

 

E con la testa sospesa

Dalla Croce di neve

Sarebbe precipitato nell’abisso

Verso la sorgente del Fuoco.

 

Attraverso la Croce sarebbe

Penetrato nella cruna dell’ago

E, con le spalle scorticate,

Sarebbe caduto umilmente

 

Davanti allo scranno Divino

E il Fuoco nero avrebbe

Stilato di bianco la condanna.

 

1995

(Traduzione di Paolo Galvagni)

 

 

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«E caddi come l’uom cui sonno piglia».

(Dante, Inferno, canto III, v. 136)

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«O animal grazioso e benigno»

(Il fine della poesia)

 

«E caddi come l’uom cui sonno piglia».

(Dante, Inferno, canto III, v. 136)

 

Non è forse il fine della poesia, il senso del fare poetico

(del singolo poeta, in proporzione al suo talento, e di tutta la

poesia), la rigenerazione dell’uomo. Del suo doppio celeste.

Uno immortala il cuore dell’assoluto, un altro lo sguardo, e

così via, conformemente alla propria creatività ed alle proprie

inclinazioni.

Basti riconsiderare da questo punto di vista la prima e la

più grandiosa creazione del genio poetico.

All’inizio della sua delirante impresa, non si sa come, né

perché, Dante si ritrova per una piaggia deserta. Non conosce

la strada. Le bestie del peccato, la lince e il leone, gli impediscono

la risalita. Per fortuna compare Virgilio, in permesso

d’uscita dall’Inferno, annunciandogli che ancora non è giunto

il tempo di salire, che per adesso è necessario scendere. Ed è

qui che Dante perde i sensi per la prima volta e magicamente

si trasporta sulla riva dell’Acheronte; qui Caronte, riconosciuta

in lui un’anima viva, non vuole traghettarlo, e Dante ancora

perde coscienza e, con un salto onirico, attraversa l’orrendo

fiume. Ed è così, come trapassando in sonno da un sogno ad

un altro, che Dante percorre tutto l’Inferno. Quasi in ogni canto

egli perde coscienza. Ciononostante è tanto vivo che France-

sca, subodorata in lui la vita, gli si rivolge dicendo «o animal

grazioso e benigno». E Dante, proprio come un animale, secondo

le spire di una serpe, striscia giù per l’Inferno.

L’Inferno si dispiega innanzi a lui come una botte rinforzata

da anelli (a cerchi), una bocca straboccante di lacrime.

Mi pare che il fine ultimo di questo viaggio sia la rigenerazione

diAdamo Cadmo, delmicrocosmo. Ed effettivamente

l’Inferno risponde alle parti basse del corpo, il Purgatorio al

torso, il Paradiso alle spalle ed alla testa. Queste ultime due

com’è naturale per l’uomo sono dritte, rivolte all’insù.Mentre

la parte inferiore, ribaltata coi piedi all’aria, ha le sue parti più

basse, le vergogne, ben sotterrate in profondità. È necessario

riassemblare questo corpo umano disgregato, e non importa

se sarà attraversato per due volte, nei punti di giuntura fra le

sue tre parti, da un’orribile cicatrice. Fa lo stesso.

Il viaggio è cominciato con una discesa da capogiro attraverso

lo spazio anatomico,ma quando con Dante ci spingiamo

fino in fondo alla corsa, alla testa, catapultati assieme a lui attraverso

la scucitura in fondo all’Inferno, come un granello di

sabbia in una clessidra rivoltata, comprendiamo che scendendo

egli sale. Se dal punto di vista degli infelici abitanti del

Limbo stava scendendo, per le anime del Purgatorio e del Paradiso

egli saliva. Dante ci insegna che ci eleviamo, sprofondando

nei recessi dell’anima e dello spirito.

Le vertigini insorgono dalla percezione di questo rovesciamento,

destabilizzano e rimescolano l’anima.

Ammettiamo pure che in Russia Dante sia stato letto correttamente

solo nel XIX secolo.Ma con ‘l’incombere degli ultimi

tempi’ la sua lettura diviene sempre più attuale.

 

(Traduzione di Caterina Garzonio)


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