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Rapporti di errore. Sedici voci nuove della poesia ceca contemporanea, a cura di Petr Král, traduzione di Antonio Parente, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2010.

 

La breve antologia Rapporti di errore, tradotta magistralmente da Antonio Parente, presenta per la prima volta al pubblico italiano le voci di sedici poeti cechi contemporanei.

Come spiega il curatore Petr Král, nella scelta degli autori non hanno giocato un ruolo fondamentale l’età o l’appartenenza a poetiche o programmi, bensì l’esplorazione poetica, l’affermazione di una visione personale. La raccolta appare infatti eterogenea, sia dal punto di vista formale che da quello tematico. Dai testi sperimentali di Ondej Buddeus e Gabriel Pleska, che sembrano navigare nella rete dei generi, intervallando poesie in prosa a previsioni del tempo, filastrocche, ricette, istruzioni per l’uso, monologhi, dialoghi, passiamo alle eleganti, composte poesie di Wanda Heinrichová, che ricordano a tratti le liriche di Montale, per scoprire le pagine del diario in prosa lirica di Ondej Macura o le poesie in rima, dal metro regolare di Jií Koten.

Gli universi poetici degli autori, filtrati da questa ampia varietà di forme, sembrano accomunati da uno sguardo disincantato sul mondo, percepito come un luogo assurdo, banale e ostile dove non c’è più spazio per l’uomo. In molte poesie emerge infatti un rifiuto per il mondo moderno, per la vita metropolitana, con i suoi ritmi fagocitanti, i suoi spazi affollati dove regna una profonda solitudine, per le azioni meccaniche e alienanti che esige da ognuno, un mondo in cui le emozioni sono bandite come errori, debolezze e in cui l’uomo stesso è ormai un ospite indesiderato.

Nella bellissima poesia Falsa partenza, Ladislav Selepko tematizza l’ansia della partenza, il dissidio interiore tra il dover partire e il voler restare, contrapponendo i simboli del freddo mondo (vaglia da compilare, moduli con parametri corporei) a quelli del desiderio (libri aperti che galleggiano nell’aria):

[...] / alla porta una valigia, il libro aperto galleggia nell’aria / la maniglia s’abbassa da sola, ma non c’è nessuno alla porta / forse il fulgore del meriggi incassa l’abbonamen- to / Il cibo perde sapore, fischia già il treno / [...] / Il treno parte, guardi impaurito dal finestrino / Non lo si può fermare, devi andare devo restare / inizia il terremoto / tiro fuori dalla valigetta il modulo coi parametri corporei / [...]

(da Falsa partenza di Ladislav Selepko, p. 33)

I treni che arrivano e partono, le banchine, luoghi sospesi dove ognuno aspet- ta di poter salire sul proprio destino, le stazioni e le fermate dei tram, luoghi dove si affiancano senza incontrarsi i destini del genere umano, sono al centro di molte poesie della raccolta. Ecco ad esempio Jií Koten nella poesia Ústí nad Labem, stazione centrale (18.31):

[...] / Sulla banchina deserta solo un uomo passeggia. / Agita le mani. Spiega qualcosa a se stesso. / È confuso. Lo sento grattarsi la nuca. / Poi si siede. Si mette la birra vicino. / Il grido dell’altoparlante il silenzio buca: / Děčín, Bad Schandau, Dresda centrale e Berlino.

(da Ústí nad Labem, stazione centrale (18.31) di Jií Koten, p. 81)

E ancora Ondej Buddeus in (Bianco nero):

[...] / Lati di fondo Schiene di cap- potti / giubbe zaini sederi nei pan- taloni / tacchi Nella propria collottola / una strana sensazione una piccolissima sensazione / & / in quel buco nero / l’uomo nero in attesa / spaurito animale vero / [...] (da (Bianco nero) di Ondej Buddeus, pp. 100-101)

L’incontro e la condivisione sembrano banditi dal mondo moderno dove, paradossalmente, le barriere che proteggono lo spazio intimo di ciascuno si fanno sempre più sottili, evanescenti. A Kateina Bolechová sembra di percepire i sogni degli altri attraverso i sottili pannelli dei prefabbricati di periferia:

Qualcuno si è di nuovo trasferito qui/ senti/ filtrare i sogni/attraverso la certezza dello schermo senza segnale/ così come noi/guardare la notte/ con la coscienza di una libellula (da Mentre il cavolo di Kateina Bolechová, p. 11).

Nella folle corsa che caratterizza l’esistenza moderna, piena di doveri impellenti, è il tempo la dimensione che sembra essere ormai sfuggita al controllo dell’uomo. L’uomo moderno, in perenne fuga da se stesso, è indotto ad occupare il tempo, a riempirlo di attività, impegni, per evitare di pensare, di considerare la propria condizione:

Tra tre minuti Vado / fino alla fine Così / almeno passo il tempo (da (Bianco nero) di Ondej Buddeus, p. 100)

Ma negli spazi di vuoto c’è tempo, un tempo non previsto, non organizzato e che spiazza l’uomo. Emergono allora il suo dolore, la sua solitudine:

È peggio del vuoto è / peggio di nulla è il vuoto / che abbandonarono tutti quelli che fecero in tempo / che non lo persero è / la banchina che ha appena perso / il treno e la banchina come se impassibile almeno / dovrà riconoscere la solitudine [...] (da Interval 12.rtf di Ondej Buddeus, p. 99)

Questo vuoto, a prima vista doloroso, è l’unico spazio che l’uomo ha per riflettere, per trascendere la folle corsa quotidiana, per scoprirsi ancora uomo.

Diversi gli ambienti e i ritmi delle poesie ambientate in spazi rurali, nella natura, dove il tempo è lento. Ecco gli spazi aperti di Petr Španger, dove giorno dopo giorno va in scena lo spettacolo della natura:

La neve ha aperto spazi. / È una tersa notte sfrenata. / I cavalli bianchi liberi delle nubi / volano nei finimenti multicolori / degli sguardi dei bambini. [...] (da Spazi di Petr Španger, p. 19)

Un’ombra cupa si allunga però anche su questi spazi incontaminati, appesantendo la vita dei suoi abitanti: dai testi di Španger emerge un mondo di vecchi, avidi di carezze, un mondo appesantito da liti e lamenti, un mondo in cui:


[...]
L’uomo si alza / e non s’accorge / che l’orizzonte non c’è più. [...] (da L’orizzonte non c’è più, di Petr Španger, p. 19)

In questo universo immobile perché privo ormai di prospettiva, il tempo sembra essersi fermato in un presente eterno e l’uomo sembra recitare un copione antico, scritto da chissà chi:

[...] / Nelle tasche cartine, quote / di musei estinti. / Siamo solo maschere/ per un unico gesto. / Nulla da fare. (da Laggiù di Jakub ehák, p. 74).

In questo mondo cupo e vuoto, la poesia emerge come unica valvola di sfogo, rapporto di errore, grido di libertà dell’uomo che urla di essere nonostante tutto ancora uomo, fragile, vulnerabile e pieno di emozioni.

Le sedici voci poetiche che compongono la bella antologia Rapporti di errore fermano per un attimo la folle corsa delle nostre esistenze per offrirci un’oasi di riflessione e di respiro.

(Anna-Maria Perissutti)


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