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Poesia contemporanea. Ottavo quaderno italiano, a cura di FRANCO BUFFONI («Testi di Testo a Fronte»), Milano, Marcos y Marcos 2004, pp. 288, € 14,50.

Superata la soglia dei cinquanta poeti – con questo ottavo quaderno siamo esattamente a quota 51 – la fortunata formula dei quaderni italiani può essere a pieno titolo considerata la più adeguata a render conto del panorama poetico italiano contemporaneo (dal ’91 a oggi), e il suo inventore e gestore può affermare: «È stata una grande soddisfazione – in questi anni – constatare come molti tra i ‘giovani’ proposti continuassero poi con costanza lungo l’arduo tragitto della ricerca poetica originale e sapessero mettersi in luce con successive raccolte autonome di poesia. E come altri esordissero con successo anche come critici, saggisti e narratori » (Franco Buffoni, Premessa). Il successo naturalmente si misura con l’alta percentuale di poeti poi acquisiti da grandi case editrici (Stefano Dal Bianco, Antonio Riccardi, Alessandro Fo, Elisa Biagini...), ma anche, soprattutto, con la continuità della ricerca espressiva e, appunto, con la realizzazione di libri importanti (si citano almeno i casi di Claudio Damiani, Massimo Bocchiola, Edoardo Zuccato, Antonello Satta Centanin alias Aldo Nove). Ben vengano dunque sul mercato editoriale e nell’agone letterario questi sette nuovi poeti: Fabrizio Bajec, Vanni Bianconi, Nicola Bultrini, Andrea De Alberti, Tommaso Lisa, Annalisa Manstretta, Luigi Socci, accompagnati rispettivamente da Antonella Anedda, Fabio Pusterla, Claudio Damiani, Flavio Santi, Gabriele Frasca, Umberto Fiori e Aldo Nove. Il risultato anche stavolta sembra di alto livello – e si perdonerà il critico se si esprime con prudenza, ma si tratta pur sempre di sette libri autonomi da assimilare. Colpisce soprattutto la laica icasticità di Luigi Socci, anconetano del 1966, le cui ascendenze comico-gnomiche sono perfettamente individuate da Satta Centanin- Nove (Palazzeschi-Caproni-Buffoni): «Questa poesia non è / per te né per nessuno / non lascia alone / ha l’aut. min. ric. / non odora di chiuso / e poi / non si fa i fatti miei / ha tutte le carte in regola / è ochei. // Questa poesia è bielastica / può essere una esse / o volendo un’ixelle, / questa poesia si stende / come una parte del corpo, / una pelle. // Questa poesia non quadra / il cerchio casomai / si acumina in un rombo, / questa poesia non è / per te che sparirai / prima che tocchi il fondo». Analoghe e altrettanto apprezzabili doti aforistiche si riscontrano in Nicola Bultrini, marchigiano, quasi coetaneo di Socci ma gravitante intorno all’ambiente romano. Il prefatore Damiani (la cui poesia agisce direttamente su quella del prefato) sa individuare con sicurezza la lezione cardarelliana, soprattutto al livello del progetto ritmico-sintattico («Ama la mia sposa / bagnarsi di sole. / Poi si fa bella a sera, / e la sua ombra riluce / notturna. // Mio figlio gioca / invece, anche con l’aria...». Notevole, poi, la voce di Annalisa Manstretta (1968), che conduce uno splendido dialogo amoroso attraverso la lingua limpida del paesaggio (scrive Fiori: «A guidarci verso il fondo più segreto e più solido del nostro essere, allora, non sarà la psicologia; saranno la geologia, la storia», p. 210). La sua semplicità – ardua conquista – fa pensare al poeta-agronomo bassotedesco Peter Kuhweide tradotto da Giovanni Nadiani, o all’inglese Selima Hill. Siamo comunque, seppur dentro confini strettamente lombardi, a sud e a nord di Milano, in un’atmosfera poco italiana, ariosa e libera, discretamente ironica, leggibile, godibile: «La gente contadina ama le cose familiari / fa piani a lungo termine / non segue i sentieri polverosi dei nomadi / pensa per generazioni. / Tu sei stato lontano / in un’altra lingua per anni / e voli via con l’aeroplano / mentre sto seduta a leggere in cucina. / Sorridi, però, e gli occhi / si vedono rimesse accoglienti / per attrezzi e bestiame». Riprendendo l’ordine alfabetico del libro (e passando alla generazione dei ventenni), Fabrizio Bajec apre il libro con la difficile raccolta Corpo nemico (Anedda parla di un «itinerario aspro e raffinato»), ricca di asperità che sembrano mimare lo scontro con il corpo, la sua inospitalità. Vanni Bianconi, svizzero e cosmopolita, traduttore dall’inglese e dal gaelico, esordisce qui con Faura dei morti (faura, attestato anticamente sull’arco alpino – spiega Pusterla – significa ‘bosco sacro’, protezione vegetale dai pericoli della montagna). Si tratta – si cita ancora dalla limpida introduzione di Pusterla – di una «Poesia esistenziale, dunque, o frammento di Bildungsroman contemporaneo, in cui le vicende individuali non sono esibite, e neppure alluse: di tali vicende, inghiottite dal vortice, sopravvive appena un riflesso linguistico, un’esitazione sintattica, un precipitato lessicale». Con altrettanta chiarezza e generosità Flavio Santi (come sempre attento a giustificare anche teoricamente il proprio intervento critico) ci introduce alla raccolta di Andrea De Alberti, il quale «organizza i suoi testi con una compagine precisa e puntuale di dedicatari », come se ogni parola, ogni verso non dovessero andare sprecati, cadere nel vuoto dell’incomunicabilità: questa poesia e «trasmissione di saperi e di vite». Tommaso Lisa, infine, sembra proseguire con questo suo «microcanzoniere barocco » (la definizione è di Frasca) certo lavoro sulle forme e sulla lingua avviato da Scarpa Nove e Montanari in Covers, alla ricerca di una posizione originale nel panorama postmoderno (non senza argute strizzate d’occhio a Magrelli, a Sanguineti o allo stesso Frasca).
Simone Giusti

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