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MERJA VIROLAINEN, Olen tyttö,ihanaa! (Sono ragazza, che bello!), Helsinki, Tammi 2003.

La quarta raccolta di poesie di Merja Virolainen, Sono ragazza, che bello!, sviluppa i temi già presenti nelle raccolte precedenti, vale a dire l’amore carnale, i ricordi d’infanzia, l’esistenza senza amore e la problematica dell’identità. Le contraddizioni e l’ambivalente irresolutezza sono tipiche per la Virolainen: le poesie sembrano sfidare il lettore in un modo che potrebbe anche importunarlo. Da queste poesie non c’è da aspettarsi un equilibrato compimento o una sofisticata catarsi. La bellezza di essere ragazza è da considerarsi tra virgolette, in quanto la corrente di fondo delle poesie sembra essere piuttosto la «rapacità». Anche se il titolo della raccolta sembrerebbe indicare la fresca energia di una ragazza, si tratta piuttosto di voci, grida e domande di una donna adulta. La credenza in un amore romantico, da batticuore, si giustappone in modo parodico al dogma del cristianesimo, nel quale viene provata e ritualmente ripetuta la credenza in un uomo o un dio unico e giusto. Essenziale è l’impetuosa presa ritmica e anche l’incisivo uso strategico della simbolica fonetica, testimonianza della gioia e dell’amore per la lingua. L’accorto uso ritmico, già presente nell’opera d’esordio dell’autrice dove veniva elaborata anche la tradizione della poesia metrica, indica qui una fortissima voglia di vivere, una dimensione ‘fisica’ della poesia, si arricchisce di vortici e correnti di fonemi, di assonanze e ciclicità e mostra anche collegamenti alla sessualità. Anche il sesso è oscurato dall’inevitabile solitudine, ma, da questo punto di vista, le poesie cercano di aggiungere anche qualcosa di verosimile: un caos senza fine, una multipla contemporaneità e forse anche assurdità. Sono forse parte dell’essere ragazza le varie esperienze di stravaganza e di non esistenza? La raccolta pone, oltre a queste, anche altre domande, ad esempio come la donna potrebbe trovare opportuni punti di appoggio a cui ancorarsi. Il passato non offre molti attracchi e neanche il presente fornisce spazi adatti per le donne che chiedono qualcos’altro che il riuscire sempre in tutto col massimo dei voti. «Non sarò mai quello che vuoi» afferma l’io lirico verso la fine della raccolta. Questo non significa, però, la fine del mondo ma piuttosto l’inizio di un mondo tipicamente proprio, tipico come la poesia stessa della Virolainen.

Sono ragazza, che bello
appena ascesa in terra
coi capelli sabbiosi di sparto,

c’è un porticciolo cosciente della propria essenzialità
che sogna di me,

le alghe si ergono incantate,
l’erba storna sorride,
gli occhi dei fiori si aprono,

uno spiffero scrupoloso dimentica
di soffiare sulla bua del pino sulla riva,

arrivo incespicando,
l’inciampo fa sobbalzare cavolaie,
ballerine, sacchi di vermi,
sorvolo al galoppo la rocambola,

sprizza la gioia, punzecchia
in ogni graffio:
no, questo è davvero
troppo, che bello!

Tutto si è raccolto in rosso
per ricevere me, proprio me:

l’acetosa fa spazio
nella sua marsina, s’inchina,
il canneto sussurra di me, bruisce,
le maestà in altoparlanti fogliose
frangono l’infinito discorso ufficiale,
le lepri ondose si precipitano dal mare
per far danzare le ragazze!

(Traduzione di Antonio Parente)
Siru Kainulainen

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