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POESIA SLOVENA

a cura di Angelo Floramo

 

Introduzione (1)

 

Č difficile capire perché in Italia poco si conosca della cultura slovena, pochissimo della sua poesia, quasi nulla della sua poesia contemporanea. Č con ogni probabilitŕ un nostro limite culturale profondo, tenuto conto del fatto che per secoli la ricca e complessa storia della Slovenia e quella del confine nord orientale del nostro Paese si sono intrecciate in comuni destini di corrispondenza storico-antropologica, culturale, sociale, pur con drammatici episodi di rottura che, malgrado inaccettabili radicalismi da ambo le parti, non hanno mai compromesso veramente il desiderio di un confronto, di uno scambio, di un riconoscimento di identitŕ piů profonde di quelle che un confine avrebbe voluto negare(2). Le variabili da analizzare per mettere a fuoco tutti i motivi di questa grave lacuna sarebbero davvero troppe e richiederebbero una trattazione molto piů complessa di quanto non venga concesso al presente contributo; né questo č il luogo adatto per affrontare un simile approfondimento(3). Certo č che ancora nel 1983 la slavista Marija Pirievec sottolineava che: «il patrimonio letterario sloveno, relegato per lo piů a riviste poco diffuse, ben poca traccia ha lasciato in Italia»(4). Non si puň nemmeno sostenere che le traduzioni di autori sloveni siano state poche, o deficitarie. Anzi, dal secondo dopoguerra ad oggi molto č stato tradotto, e si č cercato da piů parti di proporre novitŕ interessanti che esulassero esulassero dal gotha della cultura slovena rappresentato dai classici e meglio noti Ivan Cankar, France Prešeren e Srečko Kosovel(5). Gli sforzi per far conoscere i nuovi fermenti culturali sloveni sono stati dunque molteplici e differenziati nel corso degli anni. Un ruolo decisivo in tal senso č stato svolto dalla casa editrice Edit di Fiume, fondata nel 1952, che ha avuto il merito di volgere in lingua italiana le liriche di molti giovani autori allora pressoché sconosciuti nel nostro Paese e che in seguito avrebbero acquisito notevole importanza anche a livello internazionale. Dall’organizzazione di un materiale tanto vasto e interessante nacque nel 1956 l’antologia Scrittori Jugoslavi(6) e poi «La Battana»(7), rivista che in poco piů di trent’anni di vita(8) ha pubblicato le opere maggiormente significative di tutti i piů importanti poeti sloveni contemporanei, svolgendo anche il delicato e fondamentale compito di intermediazione e dialogo tra le diverse etnie che convivono in terre di confine. Di rimando, da parte italiana, dal 1964 opera la rivista culturale bilingue «Most»(9), una delle cui anime, Jolka Milic, ha contribuito e tuttora contribuisce a far conoscere al pubblico italiano nomi della levatura di Srečko Kosovel, Kajetan Kovič e Boris A.Novak, ma ha pure stimolato giovani intellettuali italiani di nazionalitŕ slovena a riapprorpriarsi dei canoni espressivi della loro lingua madre. Nel 1966 Ciril Zlobec, poeta e traduttore, pubblica la fondamentale antologia Nuova poesia jugoslava(10) che introduce nelle accademie del realismo socialista una sensibilitŕ fortemente innovativa, legata all’intimismo introspettivo assieme ad altri interessanti filoni, come l’esistenzialismo, il realismo lirico, il Neosimbolismo(11), correnti che aprono la Slovenia degli anni settanta al piů ampio dibattito culturale europeo e internazionale. Sono anni molto importanti questi per alcuni gruppi di giovani intellettuali molto curiosi di novitŕ, bisognosi di confronto, alla ricerca di nuove forme espressive e di nuovi linguaggi per la comunicazione del sentire poetico. I contatti fra Ljubljana, Zagabria, Belgrado, Sarajevo sono in quegli anni freschi, vitali, fortissimi e arricchiscono i cenacoli piů progressisti, convinti del fatto che la ricchezza della diversitŕ possa fare dell’arte e della cultura Jugoslave un’esperienza unica e preziosa in tutta Europa. Cosě tra il ’69 e il ’70 nasce il gruppo di arte concettuale OHO. Vi fa parte, tra gli altri, un giovanissimo Tomaž Šalamun, la cui opera viene immediatamente notata da Kyneston McShine, allora curatore del MOMA a New York, il quale invita l’autore negli States. Inizia cosě una straordinaria avventura culturale destinata a creare uno strettissimo legame tra gli Stati Uniti e un gruppo di giovani poeti non convenzionali, assetati di esperienza in campo artistico e umano. L’anno successivo l’Universitŕ dello Iowa invita lo stesso Šalamun a tenere un corso di scrittura creativa per i suoi studenti del corso di letteratura. Un rapporto che perdura tuttora, grazie anche alla collaborazione con il direttore dell’International Writing Program, Christopher Merrill, traduttore in inglese di numerose opere di autori sloveni, tra cui gli stessi Tomaž Šalamun e Aleš Debeljak, che a buon diritto puň essere ritenuto oggi il maggiore responsabile della diffusione e della conoscenza della poesia slovena nel mondo. Si sviluppa cosě un legame molto forte, destinato ad evolversi in costanti scambi e in intensi rapporti culturali. Oggi, con il compenso che riceve grazie a quell’incarico, Šalamun affitta un appartamento a Williamsburg, periferia di Manhattan, divenuto ormai un centro per intellettuali e artisti, dove ogni anno ospita quattro giovani poeti sloveni per tre mesi, intessendo quella fittissima e incredibile rete di interconnessioni che ormai esiste tra l’America del Nord e la Slovenia, sempre piů considerata come un interessante crocevia, un osservatorio privilegiato per meglio comprendere quello che si sta muovendo in Europa, specialmente in Europa Centro-Orientale(12). A questo quadro, giŕ di per sé estremamente vitale e dinamico, si aggiungano gli incontri annuali di poesia di Vilenica(13) e di Medana, un villaggio quest’ultimo perduto nel verde delle colline slovene, a pochi passi da Nova Gorica e dal confine italiano. Medana in particolare č un’esperienza unica. A fine agosto si ritrovano qui i migliori poeti under trenta. Si danno convegno in questo borgo rurale da tutto il mondo. Ed č un’esplosione di voci, canti, colori. Sono giovanissimi e bravissimi. Aleš Šteger, il curatore-ideatore dell’evento, ha solo ventisette anni. E se il buon giorno si vede dal mattino...

 

 

 

NOTE

1 Desidero ringraziare, oltre agli autori che hanno messo a disposizione del presente lavoro le loro liriche dimostrandomi ampia e cortese disponibilitŕ, anche Tina Jurkovic, segretaria dell’Associazione dei Poeti Sloveni, per la collaborazione e le preziose indicazioni fornitemi.

2 In Friuli Venezia Giulia le comunitŕ slovene sono molto ben organizzate e i circoli culturali che ne tutelano e promuovono la cultura sono particolarmente attivi in campo culturale, sia per quanto concerne l’editoria in lingua che per la vivacitŕ con cui si fanno promotori di eventi di una certa rilevanza internazionale. Č questa un’importante opportunitŕ per mantenere aperto il dialogo, lo scambio, l’interrelazione fra le culture.

3 Per un quadro complessivo ed esauriente della letteratura Slovena contemporanea e di tutte le problematiche ad essa inerenti, rimando al recente studio di M. Košuta, Scritture parallele. Dialoghi di frontiera tra letteratura slovena e italiana, Trieste, Ed. Lint, 1997, pp.203.

4 M. Pirjevec, Saggi sulla letteratura slovena dal XVIII° al XX° secolo, Trieste, Editoriale stampa triestina, 1983, p. 99. Cfr. anche M.Košuta, Scritture parallele, cit., p.13.

5 Cfr. M. Košuta, Scritture parallele, cit., pp.43-61.

6 Cfr. M. Košuta, Scritture parallele, cit., p. 24.

7 Ibid.

8 La rivista č attivissima, e continua a rappresentare un importante elemento di vivacitŕ intelletuale per il gusto del nuovo e della ricerca che da sempre ne caratterizzano le linee editoriali.

9 Cfr. M. Košuta, Scritture parallele, cit., p. 24. 10 Idem, p.26.

10 Idem, p.26.

11 Idem, pp.25-26.

12 R. Jakson, dell’Universitŕ del Tennessee, invita ogni anno per un mese quindici dei suoi studenti migliori ad una scuola estiva in Slovenia, e l’Universitŕ del Vermont gestisce un campus estivo sul lago di Bled, per citare soltanto due delle piů interessanti esperienze di interculturalitŕ nell’ambito della poesia slovena contemporanea.

13 Fondamentale il ruolo svolto nell’ambito della manifestazione dalla casa editrice Multimedia di Salerno nonché dall’associazione culturale La Casa della Poesia per la qualificata linea editoriale che negli ultimi anni ha promosso gli incontri internazionali meglio noti con il nome di Sidaja (i tre modi di dire si nella lingua italiana, slovena e tedesca) contribuendo alla pubblicazione multilingue dei poeti piů interessanti della ex-Jugoslavia.

 

 

 

 

TOMAŽ ŠALAMUN

(Zagabria, 1941). Nel 1965 si laurea in Storia dell’Arte all’Univesritŕ di Ljubljana. Studia a Parigi, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, all’Universitŕ dell’Iowa e all’UNAM di Mexico City. Curatore della Galleria d’Arte Moderna a Ljubljana dal 1968 al 1969, aderisce nel 1970 al gruppo di arte concettuale OHO. Dal 1971 riveste incarichi prestigiosi in qualitŕ di docente incaricato presso diverse universitŕ americane, tra cui la Columbia University, l’Universitŕ del Tennessee, il Vermont College e recentemente l’Universitŕ del Massachussets. Dal 1996 al 1999 ha rappresentato ufficialmente la Cultura Slovena presso il Consolato della Repubblica a New York.. Ha vinto numerosi e prestigiosi premi letterari in tutto il mondo – tra i quali l’ambito Premio Prešeren nel 1999 – ed č stato recensito e intervistato dai maggiori organi di stampa internazionali. Tra le sue opere tradotte e pubblicate in Italia ricordiamo la raccolta di poesie Acquedotto, a cura di G. Donati, Novara 2001, e Il Ragazzo e il cervo, Multimedia Ed., Salerno 2003.

 

JELEN

Najstrašnejša skala, bela bela želja.

Voda, ki izviraš iz krvi.

Naj se mi oži oblika, naj bi zdrobi telo,

da bo vse v enem: žlindra, okostja, prgišče.

 

Piješ me, kot bi mi izdiral barvo duše.

Lokaš me, mušico v drobnem čolnu.

Razmazano glavo imam, čutim, kako so se

gore naredile, kako so se rodile zvezde.

 

Spodmaknil si mi svoje teme, tam stojim.

Poglej, v zraku, v tebi, ki si zdaj zlit in

moj. Zlate strehe se ukrivljajo pod nama,

 

pagodini listi. V ogromnih zelenih bonbonih

sem, nežen in trdoživ. Meglo ti potiskam v

sapo, sapo v božjo glavo v mojem vrtu, jelen.

 

 

IL CERVO(1)

Terrificante roccia, bianco bianco desiderio.

Acqua che sgorghi dal sangue.

Mi si contragga la forma, si sbricioli il corpo,

perché tutto sia uno: scoria, ossa, un pugnello.

 

Mi bevi, e quasi mi svelli dall’anima il colore.

Mi trangugi, moscerino in un minuscolo battello.

La mia testa informe dilaga, sento il formarsi

Delle montagne, sento il nascere degli astri.

 

Hai sfilato il tuo vertice sotto di me, che sto lě.

Guarda, su in aria. In te, che adesso sei effuso e

Mio. I tetti dorati s’inarcano sotto di noi,

 

foglie di pagoda. In enormi caramelle di seta,

sono – dolce e tenace. Spingo la nebbia nel tuo

fiato, il fiato nella divina testa nel mio giardino, cervo.

 

 

ŠTIRI VPRAŠANJA MELANHOLIJE

Vem. Na vojsko greš in stopal boš po rožah.

V ustih boš imel jabolka. Štel boš

korake. Zapomnil si boš vse kaplje, ki bodo

privrele izpod mahu. Sireno slišim. Kot roza

 

mašna pada čez goro, da vzkipi, razdraži tuja

hrepenenja in črna težka prgišča tvojih za

srajco zatlačenih svil. Kmetje bodo teptali

grozdje z nogami, prepevali in se družili.

 

Ti ležiš z glavo na brodzaku in strmiš v

svoj veliki krak. Voda obrise razlušči. Ob

jablani ležiš, ob metrih in metrih razsekanih

debel, zloženih za zimo. Kje je tvoj zajček?

 

Kaj imaš v brodzaku? Zakaj žvečiš bilke?

In zakaj si žalosten? Senca je že padla na

dolino, za Bohinj je že odsopihal zadnji

vlak. Naj te sosed Furlan zloži na traktor

 

in zapelje v goro. Na sedlu se spočijta

in primerjajta barve: že čisto črnega in

Ugašajoče modrine. Se še lušči koža s tvoje

kače, če te obsije pramen? Če strmiš v hosto?

 

 

QUATTRO DOMANDE ALLA MALINCONIA(2)

Lo so. Ora andrai in guerra e calpesterai i fiori.

Mangerai le mele dure. Conterai i passi.

Ti ricorderai di tutta l’acqua che

scorre sotto il muschio. Sento una sirena. Un arco rosa

 

Si disegna sulla montagna, mentre tornano le nostalgie,

le tue mani forti che stringevano la sua pelle liscia

sotto la camicia. I contadini faranno il vino calpestando

l’uva coi piedi, canteranno e festeggeranno.

 

Tu sei disteso con la testa sullo zaino e guardi

le tue gambe forti. L’acqua disegna i contorni. Sei disteso

sotto un melo, fra metri e metri di legna

tagliata, stivata per l’inverno. Dov’č il tuo coniglietto?

 

Cos’hai nello zaino? Perché mastichi i fili d’erba?

E perché sei triste? Il buio č giŕ sceso nella tua

valle e adesso sbuffa l’ultimo treno per Bohinj.

Il tuo vicino friulano ti carica sul trattore

 

e ti porta sulle montagne. In cima potete riposarvi

e osservare il colore del cielo: il nero con il blu

che si sta spegnendo. Cambia ancora la pelle il tuo serpente

quando un fascio di luce ti illumina? Guardi ancora nel

fitto del bosco?

 

 

NOTE

1 Il Ragazzo e il cervo, Multimedia 2003. Trad. Daria Bertocchi.

2 Interlinea, Novara, 2001. Trad. Giuliano Donati.

 

 

 

 

 

ALEŠ DEBELJAK

(Ljubljana, 1961). Si laurea in Filosofia e Letterature Comparate all’Universitŕ di Ljubljana. Nel 1993 acquisice il Ph.D. in Sociologia presso la Maxwell School dell’Universitŕ di Syracuse, nello Stato di New York. Pubblica per molte riviste e collane letterarie in diversi paesi del mondo. Le sue opere sono state tradotte in moltissimi stati, tra cui la Francia, la Spagna, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, la Croazia, la Finlandia, la Lituania, la Yuogoslavia, la Polonia, l’Inghilterra, gli U.S.A. e il Giappone. Per la sua attivitŕ di ricercatore e di poeta ha vinto numerosi premi letterari ed č stato insignito di illustri titoli onorifici e accademici in tutto il mondo, tra i quali ricordiamo la nomina ad Ambasciatore delle Scienze della Repubblica di Slovenia, l’incarico di Senior Fulbright Fellow all’Universitŕ Berkeley, nello Stato della California, e il premio letterario Chiqyu vinto a Tokyo, nel 2000. Dal 1999 riveste il ruolo di Professore Associato nella Scuola di Scienze Sociali dell’Universitŕ di Ljubljana. Č a buon diritto considerato una delle figure di punta dell’intelligentija slovena contemporanea. In Italia ha pubblicato Momenti d’angoscia (Minute strahu). Trad. di Tea Štoka, commento di Charles Simic, Napoli, Fulvio Pagano Ed., 1992.

 

MESTO IN OTROK

Noben stok, zares, ni brez namena. Le kadar arhangel

se nam prikaže kot v planini modri svišč, za bežen hip

morda spoznamo, kje stoji izbrana domovina. Ne bo zamrl

tvoj babilonski vrišč . Zato ne spijo pesniki. Naloga

 

zdaj se jasna zdi: to bo kronika in v njej bolečina.

Velika kot gruda ledenika, ki se topi. In preplavi

nasade maka in vasi, tarče v frizu vitkega portala in

razkošne gube turškega srebra: vsaka solza te poglobi.

 

Stojiš na skali, ki se ne premakne. Okrog tebe svet se

kruši v prepad. Ti piješ živo vodo. Črpaš jo iz ust

ljudi, ki s tabo dihajo. Zraven so kot dokaz, ko se

 

zjutraj spet rodiš. Kot tale pesem. Še malo in utišal jo bo

plaz. A tisoč odmevov se namesto nje pognalo bo v zrak.

Ker ljubezen, ki teče ti skoz žile, je seme, cvet in sad.

 

 

 

LA CITTŔ E IL BAMBINO(1)

Non piangere, davvero, non serve. Solo quando un arcangelo

appare, simile a genziana blu su scarpata di montagna, solo allora noi conosciamo,

anche se per un istante, la terra che ci ha generato. Il tuo lamento babilonese

non morirŕ lontano. Ecco perché i poeti non dormono mai. Il significato

 

appare chiaro adesso: sarŕ il racconto di una pena.

La grandezza di un ghiacciaio che si scioglie. Che allaga campi di papaveri

e villaggi, il segno dipinto sul fregio leggero di un portone,

la ricca filigrana dell’argento turchesco: ogni lacrima ti scava nel profondo.

 

Te ne stai su roccia immota. Il mondo tutt’intorno a te rovina

nell’abisso. Bevi l’acqua della vita, che scorre dalle labbra

di quelli che respirano con te. Ogni mattina vengono a testimoniare

 

la tua rinascita. Come questa poesia. Non manca molto a che una valanga

la renderŕ silente. Ma mille eco zampilleranno al suo posto.

Perchč l’amore che scorre attraverso le tue vene č il seme, il fiore e il frutto.

 

 

 

POSLEDNJA CIGARETA

Nad slemenom knjižnice, razsute, lebdi koprena dima.

Severnica, s kremenom ostro zarisana v zrak. Hlastno

vase vlečem. Poslušam, kako iz globočin antične ode

hrzne lipicanec. Prišel je brez napovedi, kot zima.

 

Odtis kopita razločno se pozna v žigu dednega volila.

Zdaj je tu. Vedno bolj se bliža. Raste, vzpenja se in

dviga. Galopira v moj prehitro padli mrak. Sava, Drava,

legionarji v dolini: nič ga ne ovira. Nad spokorjeno

 

karavano, ki plaho išče pot do križa in na goro, razlega

se topot. Morda res prhnijo preprosta sporočila. Zame ne.

Dogoreva Marlboro. Odpovedal sem se vsej lastnini. Čutim

 

njegov prihod in besedo, ki edina bo vselej z mano. Če se

bo usula toča, mi je res vseeno. Vem: preden strel me vrne

v naročje niča, s sedla bom ugledal oljko pod vznožjem

griča.

 

 

L’ULTIMA SIGARETTA(2)

Sopra la libreria senza tetto aleggia un velo di fumo.

La stella polare disegnata con una selce affilata. In fretta

tiro una boccata. Ascolto un lipizzano nitrire dalle profonditŕ

di un’ode antica. Arriva non annunciato, come l’inverno.

 

L’impronta dello zoccolo č netta nel sigillo genetico. Ora č qui.

Si avvicina sempre di piů. Cresce, si erge sulle zampe posteriori. E

si alza. Galoppa nel mio crepuscolo, che cade troppo veloce. La Sava,

la Drava, legionari nella vallata: nessuno lo puň fermare. Errando

 

risuona su di una carovana pentita che timidamente percorre la sua pista

verso la croce e la montagna. Messaggi semplici potrebbero ammuffire.

Non č il mio caso. Una Marlboro si consuma. Ho rinunciato a tutte le mie proprietŕ.

 

Avverto la sua venuta – e l’unica parola che resterŕ con me per sempre.

Non mi importa se la grandine si abbatte. Io lo so: prima che un colpo mi riconduca nelle braccia

del nulla io vedrň dalla mia sella un albero di ulivo ai piedi della collina.

 

  

NOTE

1 Otrok in mesto, Ljubljana 1996. Trad. Angelo Floramo.

2 Otrok in mesto, Ljubljana 1996. Trad. Angelo Floramo.

 

 

 

 

 

BORIS A. NOVAK

(Belgrado, 1953). Poeta, commediografo, traduttore e saggista, ha conseguito il dottorato in Letterature Comparate all’ Uuniversitŕ di Ljubljana discutendo una tesi sulle influenze delle forme della cultura romanica nella poesia slovena. Nel 1991 č stato visiting professor all’universitŕ del Tennesee, Chattanooga, negli U.S.A. Dopo aver lavorato per il Teatro Nazionale Sloveno e per diverse case editrici, dal 1996 č professore presso il Dipartimento di Letteratura Comparata e Teoria Letteraria alla Facoltŕ di Lettere dell’Universitŕ di Ljubljana. Dagli anni settanta Novak ha svolto un ruolo molto attivo nell’ambito dei movimenti libertari impegnandosi per lo sviluppo del progresso democratico nel suo Paese. Ha conseguito molti riconoscimenti letterari nazionali e internazionali, tra cui il premio della Fondazione Prešeren (1984) e il premio Jenko (1995), nonché il premio Sovre nel 1990 per la traduzione in sloveno dell’opera di Mallarmé. L’associazione degli Scrittori della Bosnia Herzegovina gli ha conferito nel 2000 il premio internazionale Bosanski Stecak per la sua opera letteraria. Il Catalogo Internazionale di libri per l’infanzia (IBBY) ha incluso il suo racconto di fate The Little and the Big Moon nella lista d’onore delle migliori storie per l’infanzia scritte nel 1998.

 

OČE

Dokler so starši živi, se s telesom

postavijo med smrt in nas, otroke:

usodo zremo kakor skoz zaveso.

 

Bolele so me tvoje suhe roke,

ko si umrl, o moj edini oče:

še tvoje, a že tuje, pregloboke,

 

so padle, kamor meni ni mogoče,

v zrak, a čisto blizu, sčm, k izviru

solzá, kjer padam na obraz in jočem.

 

V tistem strašnem, vélikem večeru,

ko smo umivali usahlo truplo,

da bi vrnili lep nemir vsemirju,

 

sem nase vzel, kristalno jasno in osuplo,

svojo človeško smrt: odslej sem oče

jaz, jaz sem gola rana, ki brezupno

 

ščiti otroka pred udarči toče

z edino smrtjo lastnega telesa,

ki raste iz spomina v bodoče

 

in poje, ritem plesa, sneg slovesa.

Na ono stran letim z zakonom jate

selivk, in jočem, ko se vračam nate,

 

moj oče.

 

(ob triletnici smrti,

30. dečembra 1994)

 

 

IL PADRE(1)

Finché vivono i genitori, si frappongono

con il corpo tra la morte e noi, i figli: e cosě

vediamo il destino come attraverso una cortina.

 

Mi rattristavano le tue mani scarne

quando sei morto, mio unico padre:

ancora tue, ma giŕ estranee e troppo profonde,

 

sono cadute lŕ dove non potevo seguirle,

in aria, ma molto vicino, accanto alla fonte

delle lacrime, e qua mi accascio sul viso e piango.

 

In quella terribile e grande serata,

mentre lavavamo la tua salma allampanata

per ridare all’universo il suo bel fermento,

 

ho preso su di me, in modo chiaro e sorprendente,

la mia morte umana: ormai sono io il padre

ed io sono una ferita nuda che disperatamente

 

protegge il figlio da botte e gragnole

con l’unica morte del proprio corpo

che cresce dalla memoria verso il futuro

 

e canta, il ritmo della danza, la neve dell’addio.

Volo dall’altra parte secondo il costume degli uccelli

migratori, e piango quando ritorno da te,

 

padre mio.

 

(per il terzo anniversario della morte,

il 30 dicembre 1994)

 

 

ALBA

Izven dosega rok zaspane zore,

v razmetani postelji polmraka,

boječ se jutra, ki bo z bele gore

prišlo med naju z mečem, ki ne čaka,

 

leživa, drug od drugega še topla,

in se slabo pretvarjava, da spiva,

medtem ko moja dlan, vse bolj zasopla,

še hoče zadržati voljnost tkiva,

 

ki se topi pod zvezdami dotika.

Vsak hip te bo posrkala daljava.

Ostala mi bo tvoja skrita slika.

 

Na moji rami tvoja topla glava

leži vso dolgo, vso prekratko noč.

In skrivam solze, čudežno nemoč .

 

 

ALBA(2)

Fuori di portata delle mani dell’alba sonnacchiosa,

nel letto disfatto della penombra, temendo

il mattino che scenderŕ della bianca montagna

tra noi due con una spada che non aspetta,

 

giaciamo, ancora caldi l’uno dell’altro,

fingendo malamente di dormire,

intanto la mia mano, sempre piů ansimante,

vuole trattenere ancora la morbidezza del tessuto

 

che si scioglie sotto le stelle del contatto fisico.

Fra poco ti assorbirŕ la lontananza.

A me rimarrŕ la tua immagine segreta.

 

Sulla mia spalla riposa la tua calda testa

tutta la lunga e troppo breve notte.

Nascondo le lacrime, incantevole impotenza.

 

 

 

NOTE

1 Trad. Jolka Milic.

2 Trad. Jolka Milic.

 

 

 

 

 

KAJETAN KOVIČ

(Maribor 1931). Poeta, scrittore e traduttore di poesia, si č laureato in Letterature Comparate all’Universitŕ di Ljubljana nel 1956. Ispiratore della fortunata raccolta poetica Pesmi Štirih (Poesie dei quattro) introduce nella Jugoslavia del realismo socialista una sensibilitŕ fortemente innovativa, legata all’intimismo introspettivo. Dal 1958 fino alla pensione, nel 1992 č stato editore di fiction e responsabile della casa editrice Državna založba Slovenije, con sede a Ljubljana. Ha trascorso intensi periodi di studio a Parigi e Praga, e piů volte č stato invitato a partecipare a diversi incontri letterari in tutta Europa. Dal 1991 č membro della Accademia Slovena di Scienze e Arti. Tra i numerosi premi letterari che ha conseguito ricordiamo il piů prestigioso riconoscimento letterario sloveno, il Premio Prešeren (1978) e il CET (Central Europe Time), di cui č stato insignito a Budapest nel 2002. In Italia ha pubblicato Le ore di sambuco, Campanotto Editore, Pasian di Prato (UD), 1999.

 

 

 DELAVNICA

Je soba, kjer neki pisar

polaga besede

drugo ob drugo

kot kamenčke v mozaiku.

Med mogočimi prispodobami

za ponazarjanje pesnjenja

je ta še najbolj pri roki,

čeprav se lahkó tudi zdi,

da se bolj kot na delo

ozira v izdelek.

Pisarjeva soba

je namreč polna podob,

ki bi se rade pririnile

v ustje zavesti,

da bi se ubesedile.

Besede pa čakajo.

Ne mudi se jim.

že od zdavnaj so tu

in že dolgo so tudi

na razpolago v slovarjih

kot vojaki v rezervi.

Podobe pa so

le zračne prikazni,

ki bodo šele morebiti

postale besede

in zato tako vztrajno

prosijo za ime

kot nerojeni otroci

iz zamujenih ljubezni.

Vendar ne prošnje

in ne podkupnine

tu ne pomagajo.

Le prave morajo biti

ob pravem času

na pravem mestu.

Dar usode je –

biti že rojen za to,

da boš izvoljen,

in kako grenko je v ustih

onim, ki so bili

zgolj poklicani.

 

PES

Sedél sem

na klopi ob zidu

v popotni gostilni

in rimal

starinsko razglednico

tujega kraja.

Dopoldan je bil

kot iz stare zaveze,

poln vonjev

po plevah, po slami,

po ilovnem gumnu,

po senu, po kuhani pesi,

po vlažnem ometu,

po sodih

iz volhkih kleti.

Na kockaste prte

je padalo sonce,

prah je poševno lebdel

in ljudje so bili

ob kruhu in vinu

videti

vedri in blagi.

Vse se je skladno

ujemalo,

vzorec s tkanino,

šipa, okvir,

bakrorez in pisava.

Tedaj je prišel

po zlizanem podu tocilnice

in mi naslonil

glavo h kolenu.

 

Nisem se zdrznil

iz stare bojazni pred psi.

Božal sem ga

in sem čutil,

da se je snel

z neke davne verige.

 

 

 

 IL LABORATORIO(1)

C’č una stanza dove uno scrivano

mette le parole

una accanto all’altra

come le tessere di un mosaico.

Tra le possibili similitudini

per illustrare la poesia,

questa č ancora la piů appropriata,

sebbene possa anche sembrare

che piů che all’opera

si riferisca al prodotto.

La stanza dello scrivano

infatti č piena di immagini

che vorrebbero spingersi

fino alla foce del cosciente

per trasfigurarsi in parole.

Ma le parole aspettano.

Non hanno fretta.

Son qui da tempo immemorabile

e giŕ da un pezzo anche

a disposizione nei vocabolari,

come soldati di riserva.

Le immagini invece sono

solo delle aeree visioni

che in seguito forse

diverranno parole

e perciň con tanta insistenza

chiedono il loro nome

come i bambini non nati

di amori mancati.

Ma qui non servono

né suppliche

né bustarelle.

Devono essere solo giuste

al momento giusto

e al posto giusto.

Č un dono della sorte –

essere giŕ nato

per venire eletto,

a quanto amaro c’č in bocca

di coloro che sono stati

soltanto chiamati.

 

IL CANE (2)

Sedevo

su una panca addossata al muro

in un’osteria per viandanti

e rimiravo

una vecchia cartolina illustrata

di quel luogo forestiero.

Sembrava una mattina

uscita dal Vecchio Testamento,

piena di odori

di pula, di paglia,

di aia d’argilla,

di fieno, di rape lesse,

di mucido intonaco,

di botti

da umide cantine.

Sulle tovaglie a quadri

cadeva il sole, il pulviscolo

atmosferico pendeva obliquo

e la gente

con il pane e il vino in tavola

pareva

serena e a suo agio.

Tutto si accordava

armoniosamente,

il disegno con la stoffa,

il vetro, la cornice,

l’incisione in rame e la scrittura.

Arrivň allora

attraverso il pavimento logoro

della mescita

e mi posň

la testa sul ginocchio.

Non sussultai

dalla vecchia paura dei cani.

Mentre lo stavo accarezzando

avevo la sensazione

che si fosse sciolto

da una antichissima catena.

NOTE

(1) Trad. Daria Bertocchi.

(2) Trad. Daria Bertocchi.

 

 


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