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« indietro CARMEN GALLO, Stanze per una fuga (Poesie 2014-2024), Milano, La vita felice, 2025, pp. 140, euro 14,00. Lo svolgimento circa decennale dell’esperienza poetica di Carmen Gallo si recupera oggi, per meritoria iniziativa di Tommaso di Dio, Vincenzo Frungillo e Ivan Schiavone, in un unico volume, che a ritroso raccoglie le tre sillogi finora edite della poetessa napoletana: Le fuggitive (2020), Paura degli occhi (2014), Appartamenti o stanze (2017). Il titolo del libro apre a più possibilità di lettura: stanze per una fuga evoca la natura intrinsecamente escapista della poetica di Gallo, e insieme gioca sull’ambiguità polisemica del lemma “stanza”, da intendersi sia nel senso domestico – e si veda ora sul tema il fine saggio Stanze. Abitare il desiderio di Luca Molinari – sia in senso tecnico-poetico. L’eco implicita delle polizianesche Stanze per la giostra evidenzia le serissime potenzialità ludiche della scrittura, recentemente esplorate dall’autrice anche in quel brillante manuale di sparizione, o asparizione, a dirla con l’ultimo Caproni, che èil fototesto Tecniche di nascondimento per adulti (recensito da chi scrive in «Semicerchio» 73-74, 2025). Ci sono alcuni aspetti di questo libro che vorrei qui segnalare. Il primo è di natura antropologica. Come esseri viventi dobbiamo non poco alla paura, meccanismo di intelligenza del mondo e insieme di sottrazione alle sue insidie. L’intestazione Uscirne vivi, che abbraccia circa trenta disegni in prosa,è parlante circa la natura persecutoria della natura, della società, della nostra stessa psiche. Il ricorrere ossessivo, di testo in testo e fin nei titoli, dell’ambito semantico del campare/scampare adombra le fragilità di un’umanità sperduta in un habitat opaco, indecifrabile, ostile, mentre la voce autoriale cerca nella nettezza del linguaggio l’argine a un vissuto che non sta nei bordi, e continuamente smargina, pasticcia, imbratta. Gallo eccelle nell’arte di restituire quella sensazione di estraneità nel familiare che è la grande inquietudine del moderno, allestendo un campionario assortito di strategie di sopravvivenza, più o meno destinate al successo. In tal senso il suo discorso creativo porta più in là la riflessione sul domestico come cattività, rito coartato e perturbante che da Anedda a Biagini innerva, e snerva, la poesia italiana contemporanea. Il secondo aspetto è compositivo: sia i versi sia le prose procedono entro forme ben perimetrate, ma costrittive e gelide, ove per poco l’occhio non si spaura. Ora gli spazi evocati sono illuminati da una luce zenitale, sovra-umana e geometricamente ordinata, che ravviva tutti gli angoli, ora lo sguardo s’insinua nei recessi e sgrana le percezioni per scarso chiarore, avvolgendo i luoghi in una penombra emotiva favorevole al manifestarsi di spettri e ombre. Quasi inavvertitamente chi legge si trova catapultato dalla concreta materialità del vivere d’ogni giorno verso una qualche altra soggiacente civiltà di significati, intravista per vie segrete e sghembe “al di là dello specchio”. L’uso insistito dei deittici, del tempo presente, del verbo essere nel suo valore pienamente predicativo di posizionamento (il tambureggiare laconico dei siamo), oltre che degli avverbi di tempo (il reiterato, incalzante adesso), tratteggiano una straniante duplicità fenomenologica e coscienziale, abissalmente verticale, mai orizzontale, come in tanta meno avvertita letteratura di oggi: a restituire non già il nulla ma, nota con finezza Andrea Cortellessa, uno «smalto sul nulla». Gallo scrive poesia lirica ma elude ogni interiorità effusa, scarta le insidie dell’io e (si) manca in modo attivo; la sua postura creativa è uno stare in disparte, fuori scena, senza escludere allusivi ritorni al sé – la «donna dai capelli neri» di p. 76 potrebbe essere una sua controfigura – ma perlopiù scucendo, non senza un pizzico di autolesionismo, il filo del principio di individuazione. Nella seconda anta del trittico, dove più evidenti sono le interferenze con la scrittura teatrale, la parola viaggia nel fiato veloce di molti respiri, convocando alcuni “personaggi” e al contempo i molteplici punti di fuga delle loro presenze. Ma dove il nodo dell’identità meglio si esprime è nell’ultima (in senso cronologico) e prima (nell’ordine del libro) raccolta, Le fuggitive. Qui, giocando a rimpiattino col dato autobiografico («chi parla usa i pronomi per nascondersi»: p. 136), il soggetto lirico si presenta duplicato in specularità gemellare, delineando «due realtà che insieme vivono più che divise», a dirla con Godard, ma che allo stesso tempo si completano, e alterano, a vicenda. La sezione proemiale La corsa è, per chi scrive, il miglior risultato a oggi conseguito dall’autrice, suite in cinque tempi dove si respira un senso non per forza disforico di oppressione, il fiato corto di chi annaspa in un’aria di cristallo ma serba la lena, e resiste, non cede all’asfissia. L’ultimo aspetto da evidenziare è di natura stilistica. La scrittura di Gallo, assai colta e consapevole ma di non esibita sapienza, è connotata da un’implacabile intelligenza algebrica nella costruzione della pagina: sintassi semplice, lessico misurato, ritmo percussivo del verso gestito in economia di mezzi, come osserva Bernardo De Luca recensendo Appartamenti o stanze (in «Semicerchio» 56, 2017/1). Il frasario poetico essenziale, il periodare rintoccante, le immagini vetrificate trafilano esperienze alte della poesia mondiale, soprattutto del mondo metafisico anglosassone (barocco e novecentesco, fino al massimalismo minimale, o viceversa, delle fughe/cadute beckettiane), e la ricchezza d’invenzione ravviva la calibratura a freddo della pagina con soluzioni brillanti, alternando gelo e disgelo, forme di ghiaccio e goccianti umori da darkhumor: pensoalla pointe macabro-umoristica, ma pure umanamente empatica e compassionevole, della già citata sezione Uscirne vivi, ravvisabile sin dai titoli (Morire organizzati, Certi scherzi, Ti vedo bene). Stanze per una fuga sistema la prima fase del lavoro di Gallo, e per certi versi può dirsi un congedo dal suo periodo di apprendistato. Ma, soprattutto, è uno di quei libri che lascia indovinare risorse segrete ancora non attinte, promesse di ulteriori sviluppi che vale la pena attendere con fiducia.
(Riccardo Donati) ¬ top of page |
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