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« indietro ERICH AUERBACH, Philologie der Weltliteratur/Filologia della letteratura mondiale, nuova traduzione con testo a fronte di Regina Engelmann, introduzione di Enrica Salvaneschi e Silvio Endrighi, Bologna, Book Editore 2006, pp. 76, ISBN 88- 7232-557-9
Se la conoscenza è in gran parte il darsi di un’«occasione felice», come ci ricorda William Wolfgang Holdheim nella sua analisi dei concetti di «Ansatz» (la disposizione non dogmatica, l’abbrivio) e di «Ansatzpunkt» (il punto di partenza) in Auerbach (apparso in «New Literary History», n. 3, 1985, p. 628), non si può fare a meno di riconoscere nella lettura di questa nuova traduzione del saggio auerbachiano del 1952 l’occasione giusta per riappropriarsi di un classico del pensiero umanistico del Novecento, animato da quell’autentico «amor di ricerca» tante volte ricordato da un suo altrettanto famoso estimatore contemporaneo, il comparatista arabo-americano Edward W. Said, e che portava Auerbach a interessarsi del senso e del futuro dello studio filologico e critico della letteratura in un’epoca ormai già globalizzata.
La sostanza di ciò che ancora può insegnarci questo prezioso testo è forse la capacità di comprensione mostrata da Auerbach nei confronti della sua epoca e del ruolo che avrebbe potuto ancora rivestire il sapere umanistico nel contatto con testi, civiltà e lingue diversi a cui «fare posto dentro di sé», come diceva ancora Said a proposito della mente e della missione dell’interprete che sostanziano il modo di pensare di Auerbach («Internazionale», n. 503, 28 agosto 2003). Com’è noto, il filologo tedesco era immigrato negli Stati Uniti dopo la seconda Guerra Mondiale, rinunciando ad un definitivo ritorno in patria dopo il lungo esilio a Istanbul determinato dalla persecuzione razziale. Sostanzialmente si potrebbe dire che Auerbach nel ’52 continua a scegliere di scrivere e più in generale di operare quale intellettuale europeo stante in esilio, e se il suo capolavoro Mimesis (1946) può essere riclassificato come un vero e proprio «exile’s book», come ci insegna a fare ancora Said (Humanism and Democratic Criticism, New York, 2004, p. 97), scritta a partire dalla fertile condizione della diaspora è tutta la sua produzione posteriore.
Stupisce quanto ancora oggi, così come quasi quaranta anni fa quando Said lo tradusse in inglese (Philologie der Weltliteratur, trans. by Maire and Edward W. Said, Centenial Review 13, 1969) aprendosi al contempo ad una continua rimeditazione del testo auerbachiano, tradurre Auerbach e in particolare questo saggio della sua maturità significhi offrire nuove piste dell’interpretazione intorno alle condizioni di possibilità della mondialità letteraria e del suo studio. Ce lo mostrano i curatori di questa nuova traduzione – la prima uscì nel 1970, a cura di Vittoria Ruberl, in un volume dell’editore De Donato – che ha il pregio di ripubblicare il testo originale a fronte della traduzione italiana, i quali si soffermano molto opportunamente anche sul meditato e sofferto rapporto tra «Weltkrieg» (guerra mondiale), «Weltliteratur» (letteratura mondiale) e «Weltgeschichte» (storia mondiale) che sottende il discorso di Auerbach (Introduzione, pp. 19- 20). La questione della «mondialità» è infatti da loro sentita come talmente centrale ai fini di una riattualizzazione del testo auerbachiano da costituire una tappa fondamentale sul piano della esegesi filologica del testo e della sua traducibilità nella lingua italiana. E ciò è vero sin dal suo stesso titolo, che traducendo integralmente il corrispettivo tedesco esemplifica l’intenzione appunto esegetica, interpretativa e non sostitutiva della traduzione di Regina Engelmann (ivi, p. 15). Questa scelta se da un lato si differenzia dalle precedenti traduzioni già citate in italiano e in inglese, si accompagna alla quasi contemporanea prima traduzione francese («Philologie de la littérature mondiale», traduzione a cura di Diane Meur apparsa nel volume Où est la littérature mondiale?, sous la dir. De Christophe Pradeau et Tiphaine Samoyault, PUV, Saint-Denis 2005), che ha il pregio a sua volta di riproporre Auerbach come figura chiave della comprensione storica del «passage en regime mondiale de la littérature» (ivi, p. 9).
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