« indietro Mila Haugová e Jirina Hauková di Libuše Heczková
«Con la stretta maschera di donna: tormentarsi, torturarsi, morire, rinsavire? La donna che ci riesce in parte si salva…»[1].
Strana ‘coincidenza’ quella dei nomi delle due scrittrici e traduttrici Jirina Hauková e Mila Haugová, l’una ceca e l’altra slovacca. Lingue materne non cosě diverse ma, allo stesso tempo, un linguaggio poetico diametralmente opposto e diverse etŕ. Entrambe pubblicano le loro opere principali nello stesso periodo (ovvero a cavallo tra il XX e il XXI secolo) e senza dubbio si prestano al confronto. Lasciandomi guidare dunque dal gioco allitterativo, tento qui di presentare insieme queste due grandi personalitŕ coeve del panorama letterario ceco e slovacco, nella veste di poetesse del corpo «con la stretta maschera di donna».
Mila Haugová (Budapest, 14/06/1942)
Mila Haugová scrisse di Ingeborg Bachmann: «Ferita, tradita, nonostante la tragedia emblematica della sua fine (brucerŕ letteralmente nelle fiamme da lei cosě spesso evocate nella sua opera), rimane il simbolo della donna-artista che spianň la via dell’arte a coloro che vennero dopo di lei. Affrontň il suo destino che fu sino alla fine molto duro e senza amore, ciononostante credendo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui la gente si sarebbe ‘accordata con l’amore’… TERRA NOVA… ULTIMA SPERANZA»[2]. Da questo punto di vista Mila Haugová č di certo l’erede di Ingeborg Bachmann. Infatti, se la Bachmann č definita il «simbolo della donna-artista», ciň vale anche e soprattutto per la poetessa sua traduttrice che considerava tema fondamentale per la Bachmann quello delle situazioni limite della donna, vissute nella quotidianitŕ. La stessa maturazione poetica di Mila Haugová č paradigmatica, come ricerca di una concezione artistica al femminile che non consista in una mera lotta ma in un riallacciarsi alla tradizione[3]. La Haugová esordě isolata e relativamente tardi. In origine faceva l’insegnante e la sua prima raccolta Rezavá hlína (‘L’argilla tagliente’) uscě solo nel 1980 sotto pseudonimo. Dalla metŕ degli anni Ottanta iniziň a collaborare con la prestigiosa rivista slovacca «Romboid», che pubblicava i poeti slovacchi piů importanti dell’epoca, come Milan Rúfus, Vojtech Mihálik, Miroslav Válek. In realtŕ le prime raccolte non si distinguevano dai tanti tentativi delle donne dell’epoca di scrivere poesia: versi lirico-sentimentali sull’amore e sul rapporto uomo-donna, che da un lato ribadivano la concezione ‘sublime’ che l’uomo attribuisce alla donna, dall’altro confermavano il profondo timore che questa idea si traducesse in una lingua poetica inconsistente. Tuttavia la Haugová nella sua evoluzione poetica intraprese una lunga riflessione iniziatica, sia sulla propria femminilitŕ, sia sulla ‘femminilitŕ’ in poesia. In questo percorso razionale e intellettuale incontrň le poetesse Else Lasker-Schüler, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath, Anne Sexton, Friederike Mayröcker e le teoriche francesi Hélčne Cixous, Julia Kristeva, Luce Irigaray, che avevano posto al centro della loro riflessione proprio il problema della scrittura e dell’esperienza femminile. Nelle raccolte degli anni Novanta i suoi componimenti si fanno sempre piů ossessionati dal concetto di donna come madre, amante, figlia, artefice. Quando la Haugová parla delle radici e dei legami della sua poesia, cita poeti e poetesse da lei tradotti e la presunta, asistematica linea femminile nella tradizione poetica slovacca che inizia da Lydie V. Gavorníková. «Sono madre di una figlia. / Figlia di una madre. / Ricordo di un ricordo, / che non conosciamo» (da Pradávna [‘Antichissima’] in Alfa Centauri). La poesia di Mila Haugová cambia radicalmente nel corso degli anni. Concentra la propria attenzione sul significato di parole come donna, corpo, amore; non fa uso di facili definizioni sentimentali, non si immerge in metafore naturali e nella sua poesia fa ingresso la razionalitŕ. La ricerca di un archetipo femminile, la sua «Alfa», proto-donna, proto-amante, proto-madre (nelle raccolte Alfa Centauri e Genotext), giunge quasi alla soglia del silenzio, in cui il linguaggio puň lasciare spazio al corpo – seppur non ancora del tutto. «Alfa vuole la poesia che muore di continuo e probabilmente anche lei. La poesia resiste, la poesia č acqua. Vuole avere le sue tavole di pietra. Le parole. Vuole essere piů precisa della morte». Dei suoi principali modelli poetici, di coloro che l’aiutarono a trovare la strada della lingua e dell’esperienza femminile, scrisse: «La lingua di entrambe č precisa, nonostante l’approccio sia differente. Mentre Ingeborg Bachmann incide i suoi testi nella pietra dove esistevano giŕ da tempo, Friederike Mayröcker dipinge con tutti i colori possibili, vuole afferrare tutto, scorre in ogni istante»[4]. La poesia di Mila Haugová sintetizza entrambi gli approcci. Come tributo alle due poetesse utilizza a volte anche un tedesco-slovacco ‘maccheronico’:
Letím nad tvojím domovom. Dotýkam sa jedním krídlom a rozpustenými vlasy. Der Garten ist das Refugium der Liebe. Begegenugsort der Geschlechter. Záhrada je refugiom lásky. Miesto spotkania pohlavia. Garten. Erdoberfläche zart und verschvommen.
ERSCHEINUNG skoro ako tehdy – fast wie vorher ZJAVENIE[5].
Le raccolte forse piů vicine alla poesia di Ingeborg Bachmann sono Atlas piesku (‘Atlante di sabbia’, 2001) e Archívy tela (‘Gli archivi del corpo’, 2004), scritte approssimativamente negli anni in cui lavorava alla traduzione di poesie della Bachmann dal libro Ich weiss keine bessere Welt (‘Non conosco mondo migliore’). In queste raccolte la Haugová inquadra il mutevole paesaggio delle sue esperienze e delsuo passato: «Sto imparando di nuovo a sentire, di nuovo in questa nebbia di ottobre / di poli magnetici distesi all’infinito / ritornano le voci degli uccelli, il sarmento dei sogni d’infanzia, / i loro steli striscianti mutati in foresta vergine»[6]. I componimenti sono piuttosto testimonianze, tracce, orme. Diventano scatole piene di reperti, si accumulano, si compenetrano, illuminano per caso l’intimitŕ della vita, non generano l’unitŕ, ma ne commentano la ricerca. Ne Gli archivi del corpo questa lettura viene ribadita grazie all’aggiunta di fotografie anonime, manoscritti imprecisati. Le relazioni nascono da un’altra nuova esperienza del lettore, la poesia funge esclusivamente da progetto possibile, per quanto brutalmente aperta alla vita privata della poetessa.
NEURCITÁ REC
Ide ako Anjel s chladným hlasom. Myslí si: že niekoho chápe: že ju niekto chápe: že sa teší že k nemu ide v myšlienkach? Že nie je sama (na chvíl’u): že je viac odpovedí ako otázok: že dostane aj to co si nepýtala: že sa chce vdýchnut’do jeho hlasu: privinút’ho k sebe aby si oddýchol: že jeho hlas siahne do jej spánku: alebo pohladkat’ jeho chrbticu: vidiet’ nahého: milovat’sa (ale to už nepatrí na tento breh: neodehráva sa to tu) že preco? lebo: je priepast’: ešte z objatia miznut’: netreba si zvykat’na dlho: ale boli sme: lebo zabudneš na smrt’: hovorí: zabudla som ako na smrt’: Na teba
PAROLE INDEFINITE
Incede come l’Angelo dalla voce fredda. Pensa: che qualcuno comprende, che qualcuno la comprende: che gioisce per il pensiero di lui? Che non č sola (per un attimo): che vi sono piů risposte che domande: che otterrŕ anche ciň che non ha chiesto: che vuole respirare nella voce di lui: stringerlo a sé perché possa riposare: che la voce di lui la tenta nel sonno: accarezzargli la spina dorsale: vederlo nudo: fare l’amore (ma ciň non appartiene piů ai nostri lidi: non accade qui) perché? Perché: c’č l’abisso: e ancora sparire dall’abbraccio: meglio non farci l’abitudine: eppure č successo: perché dimentichiamo la morte: dice: come ho fatto con la morte ho dimenticato: Te
Nella sua opera la Haugová mette in scena, drammatizza la parola che scuote e intacca il mondo nelle certezze dell’esperienza comune. Ed č proprio attraverso la parola che vuole afferrare l’‘immediata’ esperienza del corpo nell’amore, nella malattia e nella prigione della sessualitŕ, ma anche nel piacere che essa regala.
KÝM
Celá rec je o mlcaní V lone zátvoriek (vo vlhkom svetle) V tkanive sliznice sa Píšeme vytvárame Tvoj jazyk opretý o Moje podnebie: Tvoje pohlavie zobúdza Nebezbecné slabiky Zatvára ma drží Podpiera: vycnieva Ako osamotený kartáginský Stlp v hromade kamenov Nehovorím Prestávam sa pýtat’ Kto som Kým si
CHI
Il linguaggio parla del silenzio Nel grembo delle parentesi (nella luce umida) Nel tessuto della mucosa ci Scriviamo ci creiamo La tua lingua congiunta Al mio palato: Il tuo sesso risveglia Rischiose sillabe Mi chiude mi tiene Sostiene: si staglia Come una solitaria Colonna cartaginese in una petraia Non parlo Smetto di chiedermi Chi sono Chi sei
L’esperienza personale della donna nella nostra cultura resta vincolata all’eterogeneitŕ con cui il significato della parola donna č fissato nella lingua. Per le scrittrici questo č ancora uno dei principali ostacoli dell’arte. Nell’istante in cui la Haugová si sottomette alle metafore vegetative ‘femminili’, in cui ‘l’io’ diventa nebbia, animale, foglie, come in una delle raccolte Rastlina so snom: Vertikála (La pianta dei sogni: Verticale), non sfugge alla nostra attenzione il confine sottile tra la possibilitŕ per l’artista di trovare una lingua originale per l’esperienza fisica e un suo riscontro nella lingua, giŕ pronta con le sue rappresentazioni a vincolare tale esperienza, soprattutto per quanto concerne il corpo femminile. La contraddizione pragmatica insita nella scrittura femminile tra il silenzio del corpo e la possibilitŕ di una sua rappresentazione perde in parte la sua capacitŕ evocativa. L’immediatezza brutale della raccolta Gli archivi del corpo purtroppo si armonizza e il silenzio del corpo si smarrisce nelle parole. Tuttavia la poesia di Mila Haugová č sempre intensa per la forza dell’esperienza fisica, che non deve essere necessariamente erotica. Rispetto a Mila Haugová, Jirina Hauková lascia parlare in altro modo il suo corpo e la realtŕ vissuta nell’immediato. Nemmeno il suo percorso poetico verso l’esperienza femminile fu cosě costante e intelligibile. In un dato momento, al contrario, la sua poesia giunse a un inaspettato punto di rottura: da serrata e centripeta, essa subě una radicale apertura.
Jirina Hauková (27/01/1919 – 15/12/2005)
La poetessa Jirina Hauková fece parte del Gruppo 42. Creato durante la Seconda guerra mondiale, rappresentň uno dei principali movimenti della cultura ceca nel XX secolo. I suoi membri gli diedero l’aspetto di una scabra periferia cittadina, voce insieme cruda e intima degli outsider, un aspetto polimorfo importato dal lontano e ‘plebeo’ continente americano che risuonava al ritmo del jazz di periferia. Nel 1945 la Hauková sposň Jindrich Chalupecký, teorico del gruppo, e strinse amicizia con il piů famoso degli autori del Gruppo 42, Jirí Kolár, poeta e artista figurativo. Del gruppo facevano parte anche i pittori Kamil Lhoták e František Hudecek, i poeti Josef Kainar e Jan Hanc, il fotografo Miroslav Hák e altri artisti. Se da una parte il Gruppo 42 ebbe un’influenza fondamentale nella cultura ceca, dall’altra le vicende storiche dello stato cecoslovacco condizionarono pesantemente il destino dei pittori, fotografi e poeti suoi membri. Alcuni di loro scelsero l’emigrazione, rassegnandosi alla perdita della propria lingua, come il poeta Ivan Blatný, le cui poesie dell’emigrazione scritte durante il ricovero in una clinica psichiatrica inglese si sono conservate solo fortuitamente. Altri, al contrario, trovarono all’estero un nuovo percorso verso la parola tramite le arti figurative, come avvenne per Jirí Kolár durante l’esilio a Parigi. Altri ancora, come il pittore e illustratore Kamil Lhoták o il poeta Josef Kainar, si rassegnarono o si conformarono alla nuova realtŕ socialista. La cruda autenticitŕ del mondo moderno fu relegata alla clandestinitŕ, le loro opere iniziarono a rappresentare un rifugio per i lettori. L’attivitŕ pubblica del Gruppo 42 fu assai limitata. Molte opere fondamentali, come ad esempio le riflessioni di Jindrich Chalupecký sull’arte moderna e lo status dell’artista, raggiunsero il pubblico solo dopo il 1989. Jirina Hauková, l’unica donna del Gruppo 42[7], rimase in ombra rispetto ai suoi piů ‘importanti’ compagni. Nel 2000 uscě a cura di Michael Špirit l’antologia Básne (Poesie), che comprendeva tutte le raccolte edite fino al 1993[8]. Dopo la pubblicazione fu evidente che, nonostante le molte perplessitŕ, era esistita ed esisteva una donna-poeta, una voce originale dell’esperienza femminile sullo sfondo della poetica del Gruppo 42. Jirina Hauková iniziň a occuparsi della specificitŕ della scrittura femminile giŕ nel 1968 con un’inchiesta sulle donne autrici. Pubblicata sulla rivista «Sešity pro literaturu», provocň tra le scrittrici e poetesse intervistate reazioni alquanto controverse. Era al tempo una delle poche scrittrici per cui la definizione di donna-autrice non era importante se non come spinta a una piů profonda riflessione sulla possibilitŕ di trovare un’espressione femminile. La Hauková, poetessa e traduttrice, totalmente dedita alla letteratura, proclamando con la sua concezione estetica la purezza e la persistenza della forma poetica, l’autonomia dell’artista e l’indipendenza dell’immaginazione, accennň nell’indagine ad alcune questioni che da tempo immemorabile accompagnano la donna-artista. Anche in questo caso la Hauková si concentra sulla forma, sperimentazione e volontŕ individuale in un mondo che riduce l’umanitŕ a massa – postulati tra l’altro della generazione del Gruppo 42. Ma proprio perché si occupň come traduttrice delle opere dei principali esponenti del modernismo mondiale, da una parte Emily Dickinson, Anaďs Nin, Gertrude Stein e Sylvia Plath, dall’altra Dylan Thomas, T. S. Eliot, Hermann Melville, si rese conto delle differenze tra l’arte maschile e femminile, non in senso deterministico, bensě come risultato di scelte personali, di un altro orizzonte di esperienza e di responsabilitŕ nell’atto ‘creativo’ della generazione biologica e simbolica. «Sebbene la buona poesia sia una sola, penso che la poesia femminile si sia differenziata da tempo da quella maschile e che forse se ne distanzierŕ sempre. Ha dovuto innanzitutto affermare la sua indipendenza emotiva e la libera espressione amorosa». Nel 1998 aggiunse: «Oggi le donne sono indipendenti e la loro poesia alla pari di quella degli uomini».
DÍVENKA, KTERÁ CEKÁ PRVNÍ MESÍCKY
Je sama jarem, dva rozpuky prsícek, sukýnku nad kolenem, pohýbuje se plavým krokem, za ní se táhne šlár ješte detských stop. Sbírá jahudky, hladí psa, miluje všechno živé. Otevírá se jí zázrak života, kdy každým mesícem projde nenarozené díte. Je ješte sama hra a netuší, že se objeví první krev, která posvetí její život. Vesele skotací, plné broskví a slunce jsou její tváre. Je sama láskou, která ješte nemiluje. Nosík zaplnený plevelí pubertálních vyrážek. Nevedomky staví základy svému životu, je plná nadeje, radostí a veselí. Neceká, že bude seschlou starenou. Je mísou ovoce a pupenem zániku. Netuší, že už se upsala smrti.[9]
FANCIULLA IN ATTESA DELLA PRIMA MESTRUAZIONE
Č la primavera in persona, due seni in boccio, la gonna al ginocchio, passi ondeggianti tracciano una scia d’impronte ancora bambine. Raccoglie le fragole, accarezza il cane, ama ogni forma viva. Le si schiude davanti il miracolo della vita, quando ogni mese passa un figlio mai nato. Fa ancora tutto per gioco e non sospetta che comparirŕ il primo sangue a consacrarle la vita. Saltella felice, di pčsca e sole le guance. Č l’amore in persona, ancora senza amare. Sul nasino la malerba dell’acne puberale. Ignara pone le basi della vita, č tutta speranza, gioia e felicitŕ. Non sa che diventerŕ una vecchia avvizzita. Č un cesto di frutti e il germe del declino. Non sospetta di essersi giŕ votata alla morte.
Nella prima metŕ degli anni Sessanta Miroslav Cervenka (all’epoca ancora un giovane critico) scrisse che i versi di Jirina Hauková si differenziavano da quelli dei suoi coetanei per il loro orientamento verso gli spazi intimi dell’anima e della casa, erano un lavoro a uncinetto. Forse per questo la Hauková nelle raccolte successive si congedň dai temi piů intimi, alla ricerca di un’espressione esistenziale che rispondesse al trascorrere del tempo in un periodo politicamente drammatico. Accantonata temporaneamente, l’identitŕ femminile ritornerŕ solo nelle poesie degli ultimi anni Ottanta. Una maggiore introspezione nei versi di Jirina Hauková si avrŕ dopo il 1990, l’anno della morte dell’amato seppur poco comprensivo compagno Jindrich Chalupecký. I nuovi versi di Elegie za Jindricha Chalupeckého (‘Elegia per Jindrich Chalupecký’, 1993) risuonano del corpo ferito, segnato dall’esperienza e dal dolore per la vecchiaia e per la morte dell’amato che, secondo una testimonianza fornita dall’autrice nel 2000, «a partire dalla seconda raccolta Cizí pokoj (‘La stanza sconosciuta’, 1946) collaborň con i suoi suggerimenti alla struttura finale di tutti i suoi libri e spesso alla forma definitiva dei singoli testi» (da Poesie). Ma irrompono anche i nuovi toni della libertŕ: «...Oh libertŕ, libertŕ nella morte, anche lŕ v’č poesia, / o solo sangue rappreso. / Oh libertŕ, libertŕ, sciogli / i miei versi dal giogo» (da Elegia per Jindrich Chalupecký, 1994). In Litanie k Bohu a k lidem (‘Litania a Dio e alla gente’), pubblicata nel 2000 sulla rivista «Revolver Revue», scrisse esplicitamente: «Solo dopo la morte di mio marito ho iniziato a realizzarmi / i sogni si fondono con la vita». Elegia per Jindrich Chalupecký non č soltanto una preghiera per la dipartita di un amico e compagno, ma anche uno sguardo alla propria poesia, ai suoi limiti e alla sua incapacitŕ di afferrare la nuova esperienza fisica. Forse proprio per questo negli anni Novanta le poesie prima equilibrate e formalmente bilanciate diventano, a detta della stessa Hauková, semplici annotazioni. Annotazioni che registrano l’esperienza sensibile della poetessa. Soprattutto alla fine degli anni Novanta le sue poesie raccolte in Díra skrz (‘Buco attraverso’, 1999) e Vecerní prška (‘Pioggia vespertina’, 2001) non necessitano di parlare della donna per parlare ‘al femminile’. In esse l’esperienza individuale diventa esperienza comunicabile e, allo stesso tempo, peculiarmente femminile. Nell’istante in cui la poetessa traduce in parole la propria esperienza, le profonde ferite della donna anziana, nascono testi che non sono piů universali come prima della morte di Jindrich Chalupecký. «Se prima la mia poesia era un prodotto della realtŕ artistica, ora la mia ispirazione attinge alla realtŕ piů scarna e cruda»[10]. Č forse il risultato di un’impietosa riflessione sul proprio corpo malato che invecchia, su una debolezza fisica che non corrisponde alla forza spirituale. Questa esperienza intensifica la ricerca dell’essenza, fa vacillare il concetto di realtŕ e della sua conoscibilitŕ, compresa quella della lingua. «La poesia non č un gioco / la poesia č il nostro peso / di cui mi voglio liberare / la poesia č una grande fede a cui bisogna credere, / la poesia č un grande peso, che bisogna alleggerire / la poesia č una forza che bisogna liberare» («Revolver Revue», n. 37, 1998). Questi componimenti diventano inaspettatamente politici; con attacchi precisi, disillusi e scettici aprono un varco nel nostro presente inebriato e manipolato dalla lingua. La Hauková ha trovato forse il modo di parlare al ‘femminile’ senza le forme stereotipate prese a prestito dall’alteritŕ linguistica maschile. Ha fatto ciň che per Ingeborg Bachmann non era possibile, realizzandolo in una non-presenza, ovvero nel desiderio. Sě, le poesie di Jirina Hauková sono solo annotazioni, sono tanto banali che ci sottraggono dalla vita quotidiana ponendoci di fronte alle questioni fondamentali della nascita e della morte.
ŠPATNE PRIPRAVENÁ NA ŽIVOT
My básnící nemáme do ceho mluvit, nemí, nemí, nemí, ale vždycky prijde náš cas, a nikdy umlcení. Slova štípíme tak, až jde z nich strach. V materském lune jsem byla špatne pripravená na život, proto každé slovo ve mne stune, než se nadechne života. Bleskosvod se vzpírá, aby ani jediná veta se do zeme nezapustila. Jako polícení na lidi, kterí se po falešné hre pídí. Vrbovka, kosatec, lotosový kvet mohou všemu prihlížet. My zabloudíme v síti vet.[11]
MALDISPOSTAALLA VITA
Noi poeti non abbiamo voce in capitolo, muti, muti, muti, eppure giunge sempre la nostra ora, mai zittiti. Fendiamo le parole, tanto che fanno paura. Nel grembo materno sono stata maldisposta alla vita e ogni parola in me geme prima di vedere la luce. Il parafulmine lotta contro ogni singola frase ché non si radichi al suolo. Come trappola per chi va alla ricerca di un gioco truccato. Salice, iris, fiore di loto possono stare a guardare. Noi ci smarriamo in una trama di frasi.
La parola poetica di Jirina Hauková compie un lungo percorso prima di vedere la luce. Tuttavia colpisce il lettore direttamente, con un’immediatezza inaspettata. Ma alcune parole muoiono appena vengono al mondo. La Hauková probabilmente concorderebbe con Mila Haugová nel dire che in poesia č cosě tanto ciň che va sprecato nella concisione di poche righe. E concorderebbe anche con le parole del poeta tedesco Paul Celan, amico di Ingeborg Bachmann: «L’artista č un individuo che con la sua voce e i suoi silenzi cerca la via...». Jirina Hauková e Mila Haugová rientrano senza dubbio tra gli artisti piů interessanti della letteratura ceca e slovacca. Forse grazie alla poesia riuscirono in parte a salvarsi, con la «stretta maschera di donna».
NOTE
1 Mila Haugová, Je tu toho tolko, co caká na napísaní.. (‘Sono tante le cose che attendono di essere scritte’), conversazione con Etela Farkašová, in Otázky rodovej identity vo výtvarnom umení, architektúre, filme a literature, Filozofická Fakulta Univerzity Komenského, Bratislava 2000. 2 Mila Haugová, Ctvrtá cesta k jezeru, in «Aspekt», n. 1, 2001, p. 139. 3 Cfr. Stanidlavá Chrobáková-Repar, Mila Haugová, Kalligram, Bratislava 2004. Include le opere della poetessa da Rezavá hlina (‘L’argilla tagliente’, 1980) a seguire: Promenlivý povrch (‘Superficie variabile’, 1983), Možná neha (‘Tenerezza possibile’,1984) Cisté dni ‘(Giornate terse’, 1990), Praláska (‘Amore primordiale’, 1991), Nostalgie (‘Nostalgia’, 1993), Dáma s jednorožcom (‘La signora dall’unicorno’, 1995), Alfa Centauri (1997), Genotext (2000); la monografia non include le ultime raccolte quali: Krídlatá žena (‘Donna alata’, 1999), Atlas piesku (‘Atlante di sabbia’, 2001), Orfea (2003), Archivy tela (‘Gli archivi del corpo’, 2004) e Rastlina so snom: Vertikála (La pianta dei sogni: Verticale, 2006), Miznutie anjelov (‘La scomparsa degli angeli’, 2008). 4M. Haugová, Je tu toho tolko, co caká na napísaní, cit. 5«Sorvolo casa tua. La sfioro con un’ala / e i capelli sciolti. / Der Garten ist das Refugium der Liebe. Begegenugsort der Geschlechter. / Il giardino č il rifugio dell’amore. Luogo d’incontro dei sessi. / Garten. Erdoberfläche.zart und verschvommen. // ERSCHEINUNG quasi come ora – fast wie vorher RIVELAZIONE»: Zjavenie, in Archívy tela, Drewo a srd, Bratislava, 2004. 6Mila Haugová, Atlas piesku, Drewo a srd, Bratislava 2001. 7Al Gruppo si aggregň saltuariamente la scrittrice modernista Milada Soucková che dopo il 1948 si trasferě negli Stati Uniti. La accomuna alla Hauková lo stile poetico ‘della memoria’, con tutte le ovvie implicazioni del genere. 8La prima raccolta Prísluní (Perielio, 1943), Cizí pokoj (‘La stanza sconosciuta’, 1946), Ohen ve snehu (‘Fuoco nella neve’, 1958), Mezi lidmi a havrany (‘Tra uomini e corvi’, 1965), Rozvodí casu (‘La dorsale del tempo’, 1967), Zeme nikoho (‘Terra di nessuno’, 1970), Svetlo v zárí (‘Luce di settembre’, 1984), Spodní proudy (‘Correnti sotterranee’, 1987, 1992), Motýl a smrt (‘La farfalla e la morte’, 1975, 1990), Elegie za Jindricha Chalupeckého (‘Elegia per Jindrich Chalupecký’, 1993) 9Jirina Hauková, Díra skrz (‘Buco attraverso’), Klokocí, Knihovna Jana Drdy, Príbram 1999. ¬ top of page |
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