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LA DIFFERENZA FRA PRENDERE E CAPIRE

di Olivier Bastide

 

Tradurre è una scoperta. Non leggevo poesia non francofona per diffidenza o pregiudizio verso la traduzione stessa, pensando all’inevitabile tradimento del testo tradotto. Oggi, comincio a leggere Les Remparts de Pistoia (Le mura di Pistoia) tradotto da Philippe Jaccottet e da André Ughetto! Il passo è grande.

Durante gli atelier di traduzione «I mattutini» dell’incontro poetico Poesia sulle mura. Le mura dei poeti a Pistoia, ho tradotto della poesia italiana senza saper parlare italiano... In un certo senso, ciò mi ha permesso di trovare immediatamente una verità della traduzione: c’è in un primo tempo una scoperta ‘letterale’ del testo (questa traduzione mi era data); viene poi la necessità di condurre la lingua ‘ospite’ ad essere poetica. La traduzione poetica non può rimanere letterale, deve essere letteraria per comunicare al lettore straniero una ‘equivalenza’ all’originale. A questo punto interveniva il poeta che sono, con la richiesta incessante di una giusta misura da conservare fra la fedeltà al testo originale e la sua trasposizione in un universo poetico, vicino o lontano. La dimensione collettiva dell’atelier ha avuto l’estrema qualità di moltiplicare gli approcci e le soluzioni obbligandoci alla prudenza.

Parallelamente, scoprire le mie poesie in italiano è stato un vero piacere; ho percepito un’autenticità inaspettata. Pensavo che la traduzione fosse una lettura come un’altra cioè un’appropriazione nella quale l’autore scompare a vantaggio del lettore. Martha Canfield, traduttrice delle mie poesie, era quindi assolutamente libera. Eppure lo scambio fra di noi c’è stato, tanto per le mie poesie che per le sue; mi sono reso conto che la libertà del traduttore è limitata dal nostro desiderio di veder convalidare la nostra comprensione, il nostro sentimento di lettore, con il sorriso e l’acquiescenza dell’altro! Non bisogna vederci nessuna cortesia, ma pensare alla differenza che deve esistere fra prendere e capire. Quindi, tradurre è capire e non prendere!

Ma al di là della traduzione, niente impedisce di prendere la poesia tradotta per imbarcarla nella propria poesia, è quello che ho fatto scrivendo Par les mots de Pantelleria dopo avere tradotto Pantelleria di Martha Canfield.

(Traduzione di Elena Berti)

 

Olivier Bastide è nato nel 1962 a Carpentras, è insegnante nel Vaucluse, ha conseguito il dottorato in Lettere.

Poesia: Certitude première (2001), L’Arpenteur (2002), Bestiaire (2002) e Le matamore sous l’étoile (2008) per le Éd. Les Solicendristes; Articles de ménage et de bazar, Polder (2002); Sédimentaires – Originaires (2003); Traverse (Éd. Encres vives 2005); Le bouilleur de cru (Klanba Éditions 2006).

Poesie tradotte ai «Mattutini»: da L’Arpenteur.

 

 

Tre poesie di Olivier Bastide tradotte da Martha Canfield

 

 

L’ARPENTEUR

 

L’abîme croît au jour suivant; il définit

l’austérité. Dans mes allées, je sais l’écueil des

joies soudaines. Nourri d’herbe et de pacotille,

j’ai l’air réticent des bergers d’hiver.

 

J’appréhende l’outrage, les saignées vives

sur l’écorce.

 

Ma palanquée de mots goûte la Terre,

l’Homme… Arpenteur du pays connu, pétri

vivant au chaud des cendres.

 

 

MYTHE

 

J’ai rencontré l’ombre et le temps, frôlé

l’envie.

 

J’attendrai encore l’éveil; je serai dans

l’amour du blé mûr, aux fières ronces.

 

La mort s’enivrera du creux de l’œil. Elle

taira l’absence de cadavre quand partira le

Minotaure.

 

 

ÉBAHI

 

Mon cri campe sous le ciel âpre. Il s’est

nourri des solitudes, habillé d’une géométrie

stricte et voyageuse. Les pierres utiles l’ont

construit pour en être les mères.

 

L’horizon outrepasse le bleu. Je décline

mes insomnies à l’alliance de la terre et de

l’homme, sans sympathie pour les cannibales. Je

suis au secret, tenu à réprimer l’émoi du merle.

L’AGRIMENSORE

 

L’abisso cresce il giorno dopo; definisce

l’austerità. Nei miei passaggi, conosco lo scoglio delle

gioie improvvise. Alimentato d’erba e di paccotiglia,

ho l’aria reticente dei pastori d’inverno.

 

Temo l’oltraggio, le incisioni vive

sulla corteccia.

 

La mia carriolata di parole assapora la Terra,

l’Uomo... Agrimensore del paese conosciuto, impastato

vivo al calore delle ceneri.

 

 

MITO

 

Ho incontrato l’ombra e il tempo, rasentato

l’invidia.

 

Aspetterò ancora il risveglio; sarò nell’amore

del grano maturo, nei superbi pruni.

 

La morte s’ubriacherà del vuoto dell’occhio. Lei

tacerà l’assenza del cadavere quando sarà partito il

Minotauro.

 

 

SBALORDITO

 

Il mio grido campeggia sotto il cielo azzurro. S’è

alimentato di solitudini, vestito di una geometria

rigorosa e viaggiatrice. Le pietre utili l’hanno

costruito per esserne le madri.

 

L’orizzonte oltrepassa l’azzurro. Io declino le mie

insonnie all’alleanza della terra e dell’uomo, senza

simpatia per i cannibali. Sono dentro il segreto, obbligato

a rimuovere il turbamento del merlo.

 

 

Una poesia di Martha Canfield tradotta da Olivier Bastide

 

 

PANTELLERIA

 

Era la terra in mezzo ai mari

un circolo imperfetto

di poche montagne e di altipiani

profonde valli strette

senza spiagge con golfi di scogliere

e con archi di pietra

fra le pietre notturne

del principio vulcanico.

 

C’erano stati il fuoco e l’eruzione sotto il mare

il portentoso muggire del toro

avvinghiato nel centro di un’insolita stella

senza luce

la luce nel suo grembo marino

teso e pregno

gemendo nel partorire una cuspide intera

di tormentate rocce

senza fiumi o sorgenti

senza spiagge né coste

di dolcezza

montagna senza pace

la valle stretta

e quegli archi di pietra

sul mare dell’origine.

 

Poiché ancor prima dell’eversione

c’era stata la calma millenaria

sommersa appagata

nel sonno privo d’aria

nel silenzio profondo scrupoloso

dell’Angelo piegato

la testa nascosta fra le ali

a doppio paio

a doppio bianco sconfinato

in così lunga attesa

in tanta mestizia persistente.

PANTELLERIA

 

Au milieu des mers était la terre

cercle imparfait

de peu de monts et de plateaux

étroites vallées profondes

aucune plage mais des criques à falaises

et des arches de pierre

entre les pierres nocturnes

à l’aube volcanique.

 

Sous la mer il y avait eu le feu et l’éruption

le prodigieux mugissement du taureau

pris au centre d’une étoile insolite

sans lueur

le clair dans le ventre marin

tendu et gravide

plaintes d’enfanter un pic entier

de rochers tourmentés

sans fleuves ni sources

sans plages ni côtes

amicales

montagne sans paix

vallée étroite

et ces arches de pierre

sur la mer originelle.

 

Puisque bien avant la subversion

il y avait le calme millénaire

submergé satisfait

dans un sommeil privé d’air

dans le silence profond et scrupuleux

de l’Ange ramassé,

tête cachée dans ses ailes,

à double paire

à double blanc infini

dans une si longue attente

dans une si persistante mélancolie.

 

(Da Nero cuore dell’alba, Salerno 1998)


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