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ALESSANDRA CAVA, Eleanor, Howphelia, 2022, p. 122, s.i.p.

 

Tutto inizia nel 1984, quando, secondo il plot apparente del libro, avviene il fatto di cronaca assurto a rango di ‘leggenda metropolitana’: il ritrovamento del coccodrillo femmina Eleanor nella rete fognaria di Parigi («Avvistata nelle fogne di Parigi, una giovane femmina di coccodrillo viene catturata e trasferita in un acquario. Le viene dato un nome, Eleanor»). È dunque, quella che leggiamo, la storia del mondo di sotto (la topografia della città parallela: «quasi ogni via possiede in corrispondenza una galleria sotterranea che porta il suo stesso nome») che deve reimparare a vivere nel mondo di sopra. Ora, il 1984 è anche l’anno di nascita dell’autrice così che il suo destino è, nel libro, strettamente legato a quello dell’animale. Va dunque presa alla lettera l’affermazione apparentemente spiazzante: «Questa non è la storia di Eleanor, questa non è una storia, ma non si può negare che sia stato praticato un intreccio». L’intreccio è infatti da intendere non solo dal punto di vista narratologico come manipolazione del plot ma anche come il legame messo in opera tra la storia personale dell’autore e quella di Eleanor. L’impostazione ‘antilirica’ (o, piuttosto, ‘a-lirica’) della scrittura contribuisce a confondere i contorni delle due ‘storie’ nell’uso di una terza persona generalizzata, soggetto fisso in uno schema sintattico ricorrente costruito per veri e propri ‘moduli’. Tali moduli sono quasi invariabilmente costituiti di frasi semplici (da cui sono quasi banditi gli aggettivi qualificativi) con un soggetto di terza persona non esplicitato e giustapposte (non collegate con la congiunzione e). La serialità di un tale montaggio ‘per asindeto’ comporta l’accesso tramite la sintassi a una sorta di dimensione onirica, quasi ogni frase corrispondesse a una catena verbale uscita dal repertorio dell’inconscio, il tutto nell’apparenza di una pur allucinata referenzialità (notiamo che, su premesse diverse, è un procedimento che può ricordare quello ‘naturalistico’ della poesia di Giampiero Neri). Si prenda un esempio per tutti: «sapeva aprire gli occhi sul fondale, vedere rose nelle alghe alghe nelle rose, l’acqua e l’aria essendo commutabili», sequenza dove la dimensione onirica è dilatata dalla presenza dell’elemento acqueo; e si noterà ancora, al centro della frase, con potenziamento dell’effetto di leggere una ‘cosa sognata’, la presenza di una figura di chiasmo ‘a specchio’, con inversione/ripetizione degli stessi termini (rose/alghe). La ‘commutabilità’ degli habitat (acqua/aria) riporta inoltre al processo stesso messo in atto dall’intreccio. Sono molti i passi in cui si realizza l’anamorfosi tra creatura terrestre (indifesa) e creatura anfibia (candidamente pericolosa, ma per natura): [l’autore bambina] «dentro la ciambella galleggiante ha esplorato molto, ha nuotato molto, era molto mobile, molto vorace, pericolosa anche per l’uomo». L’anamorfosi con la figura acquatica può prendere la forma di un gioco infantile: «la forma della sirena, immaginata presto fatta con una gamba del pigiama» (e si noterà che un’aria di ‘libro per l’infanzia’, la storia della piccola coccodrilla, con le coloratissime illustrazioni del collettivo Ophelia Borghesian, la raccolta ce l’ha). Il punto di vista è dunque fusionale: Eleanor vede e fa quello che vede e fa l’autrice e viceversa; mondo di sopra e mondo di sotto sono un territorio unico: «passeggia per la città come un animale che nuota nelle fognature» (l’autrice diventa Eleanor), «vede le spiagge lambire i marciapiedi» (il mondo di Eleanor diventa quello dell’autrice).
          Il risultato della fusione dei punti di vista è la creazione di un forte effetto illusionista,
perfino rivendicato nei suoi fondamenti ‘archeologici’ se una delle sue radici risiede nel cinema dei fratelli Lumière: «un treno è entrato nella sala, in un giardino si è visto passare il vento tra gli alberi» (passo che evoca certamente il famoso cortometraggio L’arrivé d’un train en gare de La Ciotat). Il resto lo fa il linguaggio: «la rivedranno a grandezza naturale con i suoi colori, la prospettiva, i cieli lontani, le case, le strade, con tutta l’illusione» (corsivo nostro). Secondo un modulo bene esplorato dalle ‘scritture di ricerca’, una delle funzioni del linguaggio è del resto quella di creare spazio («[il varco] può essere visitato lungo un itinerario predisposto, con verbi di stato e di moto») e tempo («ci sono più tempi in uno, i cieli i limiti e i fondali»). Ma qui si aggiunge, e non va sottovalutata, la modalità di una parola/incanto: «è stata sopraffatta dalla sua scoperta: dicono che il linguaggio è anche musica, coltello forbici martello chiave». Naturalmente, non c’è fusione né illusione che tenga a lungo e, nonostante prevalga l’incanto, la visione dell’insieme è, di necessità, disforica. La scoperta del mondo da parte di Eleanor (che nell’ultima sezione del libro diventa Alien/or (o l’invenzione dell’altrove)) avviene dalla cattività di un acquario, uno spazio solo imperfettamente domesticizzabile: «l’incontro con i suoi simili è andato bene, ma non sempre capisce subito cosa è locale cosa è tropicale». Soprattutto, rimane netto il limite di ogni adeguamento, il principio di realtà restando improntato alla violenza: «del resto, restando vietata qualsiasi altra attività antropica, sono felici che ci siano le sbarre di ferro».

Questa breve descrizione dell’impianto narrativo e stilistico del libro deve essere completata sottolineando una serie di aspetti che non sarebbe forse opportuno considerare come semplicemente stratificati. In realtà, il libro di Alessandra Cava può essere letto applicando un modello radiale: al centro c’è la storia di Eleanor (&dell’autrice) leggibile come tale, ma da tale centro si irraggiano altri supporti e modelli di lettura non necessariamente interconnessi tra di loro. Va infatti finalmente detto che, parallelamente al libro, la piattaforma Howphelia (https://howphelia.teyuto.tv/), su progetto del menzionato collettivo Ophelia Borghesan, ospita una serie Eleanor in quattro ‘episodi’, un vero e proprio film in parallelo (di cui però le quattro sezioni del libro non costituisono veramente lo script) che con i suoi effetti di sovrapposizione video e di coloriture (chroma key) racconta la stessa storia (o le stesse storie), con un’attenzione totalmente rivolta all’estendersi del campo della percezione. La forma è quella breve (e del rapporto con il cinema cellulare dei Lumière si è già detto), i paesaggi vegetali e urbani (anche periferici) che sfilano in immagini sensibili agli aspetti atmosferici suggeriscono un racconto dell’abitazione (non le sue ‘premesse’, zanzottianamente, ma una postilla critica in formato di clip). Lo stato percettivo è la condizione richiesta a chi guarda ma è insieme, con ennesima metonimia fusionale, lo stato continuo di Eleanor dopo la sua emersione dal mondo di sotto, assunta in una cattività che è anche una forma di pedagogia: «Dall’interno della sua gabbia, Eleanor prova a immaginare quattro finestre che si aprono su paesaggi a lei sconosciuti: scoprirli vorrà dire inventarli».

La considerazione dell’Eleanor in formato di ‘film’ ci porta all’ennesima dimensione del libro, quella installativa. Che il libro possa essere inteso in tali termini non dipende solo dalla sua multimedialità (la presenza delle illustrazioni, il suo parallelo ‘filmico’), ma dalla condizione immersiva per cui la storia raccontata nel libro arriva a fondere il punto di vista di Eleanor con quello del lettore/spettatore (catturato lui stesso in una sorta di acquario o di gabbia): questa è o potrebbe diventare la sua storia. Peraltro, esiste un ulteriore aspetto installativo del libro, ma questa volta non ‘multimediale’ ma tutto dalla parte della scrittura. Tutte le parole che lo compongono provengono sono infatti ritagli: degli articoli di cronaca che del caso di Eleonor si erano occupati, di letteratura zoologica o di letteratura tout court ma anche di testi propri, si tratta insomma, secondo una tecnica passata dalla neoavanguardia alle scritture più recenti (citiamo il libro di Alessandro Broggi, Noi, Tic, 2021), di Cuts. Nessuna avvertenza informa però il lettore (è un aspetto rivelato dall’autrice in occasione di una lettura dei testi), quasi il ‘trucco’ dovesse o potesse rimanere nascosto. Il punto è probabilmente che un tale aspetto ‘oggettuale’ del testo non deve rischiare di essere compreso come al servizio di una rappresentazione in conseguenza oggettivizzante. Quella del libro, infatti, dove il pronome "io" risulta pure completamente assente, è un’esplorazione di territori di soggettività di solito di competenza della ‘poesia lirica’. Potremmo perfino parlare qui di una forma di ‘lirica indiretta’. La chiave per una lettura di questo tipo ci è fornita dall’esergo a inizio libro, «a greener glow to green things» prelevato dal finale di The waves di Virginia Woolf. Si tratta del ‘flusso di coscienza’finale di Bernard in The waves, il personaggio-scrittore che con queste parole riconosce alla parte non cerebrale del sé (il sensuale ed energico ape-like self) la capacità di rendere più colorata la vita. Che il plus di ‘linfa’ coincida con il ‘verde’ che è anche il colore dermico di Eleonor, è un ulteriore aspetto di transitività tra il libro e le sue molteplici fonti. Conta soprattutto che la fonte ‘modernista’ così esibita bene illustra la solidità di costruzione dell’insieme (il cumulo e il merging di stati percettivi, verbali, fisiologici) all’insegna dell’«I am made and remade continually» (così Bernard, altrove nel libro). È il tipico movimento modernista di scomposizione/ricomposizione del soggetto che, dando struttura alle possibili forme di scrittura del sé, determina la richezza del libro di Alessandra Cava ed è una delle ragioni della sua riuscita.

(Fabio Zinelli)


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