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La poesia europea 
di Mario Luzi 


Come ribolle sempre la stessa poltiglia nell’antico pentolone! Eppure le variazioni di Ulrich J. Beil sono tutt’altro che anacronistiche e inattuali. Esse sono anzi sveglie, attente al momento. Le potremo trovare legittime o pretestuose, ma non potremo negare la loro attendibilità neppure quando rimandano alle più inveterate dispute che la letteratura, in ogni paese, ha dovuto intavolare nel corso di questo secolo – come quello tra radicalità e cosmopolitismo, per esempio. Questo ci ricorda il carattere ciclico dei processi letterari. In tutte le attività creative, anche nella poesia il tempo ha un andamento indefinibile, si può perfino pensare che non si muova affatto. Sono le attività parallele e riflesse come l’arte retorica che caricano l’orologio e fissano la lancetta su questo o quel punto del quadrante, e neppure questo procedere è lineare. Di questo dovremo tenere conto quando si affrontano temi generali.
Esiste una poesia europea? Spero non esistano criteri preventivi per riconoscerla e distinguerla. De facto si potrà anche, non lo nego, retrospettivamente contrapporla a quella di altri spazi culturali, di altre civiltà. Ma il termine di confronto non è fisso: e neppure questo riferimento relativo è irreversibile. Le differenze si modificano, le contrapposizioni si conciliano e si integrano. L’area egemone nella quale si trova la nostra episteme, il principio subconscio o esplicito in base al quale abbiamo sempre pensato poesia, ecco, a un certo momento lo troviamo cambiato, infiltrato di valori e misure altre che frattanto sono divenute nostre. Europea? O soltanto scritta in Europa? Anche sotto questo aspetto l’universo letterario è, come il cosmo, perennemente metamorfico.
Ciascuno di noi entra in questo universo e se ha pensato di avervi una posizione da occupare e da difendere, si troverà poi smarrito nel mutamento che trasforma di continuo l’orizzonte visibile e quello interiore. La linea costante che permette di evitare il naufragio è l’identità: l’identità verso cui tendiamo tutta la vita. E un progetto – nostro, insinuato dentro di noi? – di cui il mondo fa di tutto per disappropriarci e tuttavia tende a diventare realtà. Quante perdite e quante acquisizioni durante questo percorso. Le frontiere vengono perdute di vista e ritrovate. Se ne tracceranno di nuove per pura dialettica? Ma in tal caso che efficacia avranno?
Beil non si dilunga sulla condizione tedesca, tuttavia la presuppone e la considera seriamente, magari già trapassata dall’oscuro, tragico, catastrofico alla catarsi linguistica. In questo passaggio gli accade di mettere a fuoco la vera questione della poesia del nostro tempo. Parlando di una situazione circoscritta e peculiare succede anche a lui di centrare meglio il generale problema.
È una minaccia di improbabilità che sento come insidia per gli autori come anche per i lettori: e riguarda n verità la nostra poiesis. Tutta quanta forse; neppure la frontiera affascinante dell’esotismo, o se volete, delle culture altre dà garanzia. Quelle culture, è vero, sono meno suscettibili riguardo alla storicità, ma al loro interno le tradizioni e le maniere soffrono anch’esse di logoramento.
Il rischio viene da una vera disarmonia e inequalità che progressivamente ha gravato e grava sul linguaggio e, ormai è il caso di dire, sul sistema dell’espressione poetica. Ricapitolando con la massima concisione direi che si potrebbe definire una disarmonia patologica, un bubbone, tra significato e significante. In questo bubbone succhia e trova alimento abbondante l’arte retorica riducendo o almeno inquinando la quota intrinseca di significazione e rendendola in ogni caso meno efficace.
In tutti gli angoli del mondo a quanto posso vedere la poesia è venuta trascinandosi una enorme matassa di accessori più o meno preziosi che pur non essendo di necessità decorativi si sono installati in questo intervallo tra la causa e gli effetti, cessando infine di essere a loro volta nuova causa generativa per diventare ritardo, zavorra. L’indicazione di Beil a proposito di Celan è preziosa. Sì, proprio lì accanto a una cupa obiurgazione e altrettanto dura catarsi si consuma un atto (non un rito) di purificazione che vale per tutti. Di qua o di là della frontiera del nuovo millennio e di quella dei continenti la poesia ha oggi il primario bisogno di legittimare la sua parola, di attraversare molto e vero silenzio per riemergere più credibile e più irrefutabile a chi la usa e a chi la riceve. È, mi accorgo, un postulato di innocenza quello che qui trascrivo. Spurio, dunque, rispetto alla problematica letteraria: ma questa è appunto l’anomalia che avvisa dell’oscuro mutamento in corso.

 


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