Home-page - Numeri
Presentazione
Sezioni bibliografiche
Comitato scientifico
Contatti e indirizzi
Dépliant e cedola acquisti
Links
20 anni di Semicerchio. Indice 1-34
Norme redazionali e Codice Etico
The Journal
Bibliographical Sections
Advisory Board
Contacts & Address
Saggi e testi online
Poesia angloafricana
Poesia angloindiana
Poesia americana (USA)
Poesia araba
Poesia australiana
Poesia brasiliana
Poesia ceca
Poesia cinese
Poesia classica e medievale
Poesia coreana
Poesia finlandese
Poesia francese
Poesia giapponese
Poesia greca
Poesia inglese
Poesia inglese postcoloniale
Poesia iraniana
Poesia ispano-americana
Poesia italiana
Poesia lituana
Poesia macedone
Poesia portoghese
Poesia russa
Poesia serbo-croata
Poesia olandese
Poesia slovena
Poesia spagnola
Poesia tedesca
Poesia ungherese
Poesia in musica (Canzoni)
Comparatistica & Strumenti
Altre aree linguistiche
Visits since 10 July '98

« indietro

AB ORIGENA
DELLA LETTERATURA ABORIGENA AUSTRALIANA

di Margherita Zanoletti
 
I poeti non credono alle date,
credono che la loro storia cominci dalla presenza.
A. Merini

Secondo la tradizione aborigena, in principio il pianeta era completamente vuoto. La Terra come noi la conosciamo, e tutto ciò che essa contiene, risale al Tempo del Sogno (Alcheringa
1), durante il quale, per azione di alcuni misteriosi esseri soprannaturali, vennero alla luce tutti gli elementi e le creature terrestri, compreso l’uomo. Inoltre, nel Tempo del Sogno vennero generate le leggi a cui gli uomini obbediscono: le leggi della convivenza umana, le regole della distribuzione del cibo, quelle del matrimonio, i rituali dell’iniziazione e le cerimonie funebri.
Al termine dell’azione creatrice, il Tempo del Sogno non si concluse del tutto: fu un inizio che non ebbe mai fine. Alcuni miti narrano la scomparsa dei misteriosi creatori: abbandonate le spoglie mortali, essi continuarono a vivere in luoghi segreti, come grotte, alberi, pozze d’acqua; altri salirono in cielo per divenire corpi celesti; altri ancora si trasformarono in forze naturali come il vento, la pioggia, il fulmine o il lampo. Perciò il paesaggio, tuttora abitato da alcuni spiriti creatori, è icona della creazione. Di qui la portata spirituale dello stupore del poeta di fronte al rinnovarsi della natura come ciclico rituale.
La società aborigena è fondata sulla narrazione2. I viaggi delle creature del Tempo del Sogno, che crearono il paesaggio e stabilirono le norme per gli esseri umani, sono narrati nei cicli di canzoni e iscritti nel paesaggio stesso. A partire dal 1770, anno dello sbarco di James Cook sul continente australiano, gli aborigeni hanno utilizzato la narrazione secondo due scopi principali: da un lato, nell’intento di perpetuare la propria saggezza e le proprie tradizioni culturali; dall’altro, per attribuire un senso all’impatto con la colonizzazione europea3. La scrittura, pertanto, è un fenomeno relativamente recente, che affonda le proprie radici nella tradizione orale: tale tradizione, alla base della scrittura aborigena, risulta di fondamentale importanza per il mantenimento della continuità culturale e per fornire a chi ascolta analisi e interpretazioni della società contemporanea.

Una tradizione «multimediale»
Penny Van Toorn4 paragona sotto certi aspetti le storie e le canzoni della tradizione orale aborigena a multi media interattivi, dove una rete di sistemi di significato opera simultaneamente per trasmettere le informazioni attraverso transazioni dialogiche. Durante le cerimonie rituali, sia il pubblico, sia i danzatori sono partecipanti attivi e il significato delle parole è collegato al contesto della danza, ai gesti rituali, ai disegni, alle incisioni e ai dipinti sul corpo: la tradizione orale, in altri termini, è legata sia alla comunicazione non verbale, sia all’ampio spettro della vita sociale e culturale della comunità.
Di conseguenza, tradurre la narrativa orale in parole, in inglese, interpretandola in contesti culturali alieni e utilizzandola per scopi non tradizionali per anni ha significato semplificare e spesso distorcere forma e funzione originarie. Alcune pubblicazioni più recenti5, tuttavia, hanno cercato di superare il problema, utilizzando accorgimenti grafici che rendano l’idea del ritmo e delle pause, oltre che della pronuncia e dei cambi di tono.
La scrittura aborigena nasce, in parte, dal desiderio di comunicare a un pubblico bianco, rivolgendosi al maggior numero possibile di lettori e, nello stesso tempo, dalla necessità di confrontare il proprio passato con il presente, facendoli convivere: l’analisi della contemporaneità opera attraverso il filtro della cultura, attingendo a quell’immenso sistema di interpretazione della realtà che è il mito.
Dietro una costruzione testuale apparentemente lineare e ingenua, si cela una spontanea complessità fatta dall’intreccio di tante storie, dove i significati si sovrappongono, si sedimentano e riposano inquieti, come spesso avviene quando la memoria individuale arricchisce la memoria collettiva di particolari, con l’aggiunta di nuove sfumature e angolature. In altri termini, esiste una complessità imparentata alle modalità in cui il testo ha avuto origine, con le fonti orali e tradizionali da cui scaturisce e con il formato al quale ha dovuto adeguarsi, trasformandosi in testo scritto.

Prime voci scritte
Le primissime testimonianze aborigene scritte sono lettere, spesso dettate da bianchi e legate al contesto delle missioni o delle riserve governative. A partire dall’apertura della prima scuola elementare per aborigeni (Paramatta, NSW, 1815) e con la diffusione graduale dell’istruzione, gli aborigeni iniziarono a scrivere lettere, petizioni, articoli di giornali locali; tutto questo materiale era, naturalmente, sorvegliato dalle istituzioni e in gran parte scritto per le autorità bianche. Per tutto il diciannovesimo secolo, e fino alla prima metà del Novecento, tuttavia, le pratiche di scrittura aborigena rimangono estranee ai generi letterari più «alti».
L’anno spartiacque tra storia e preistoria della letteratura aborigena australiana è il 19296. In questa data, David Unaipon pubblica Native Legends, la prima trascrizione delle voci che, per millenni, si sono tramandate i miti e i racconti della tradizione. La seconda data significativa è il 1964, anno in cui compare il primo libro di poesie di Kath Walker, We are Going7, in assoluto la prima raccolta poetica a essere pubblicata da un autore aborigeno. Prima di queste due date, si snoda la linea dei millenni di quando la parola abitava solo gli spazi della memoria e quelli, immensi, del continente australiano, sconosciuti alla cultura occidentale e alla lingua inglese.

Le reazioni
I primi tentativi di elaborare per iscritto una rapsodia millenaria riscuotono un successo immediato: il primo romanzo aborigeno, Wild Cat Falling8, esce nel 1965 a opera di Mudrooroo Narogin (Colin Johnson); First Born and Other Poems, di Jack Davis, nel 1970. Tre anni dopo, esce Because A White Man’ll Never Do It, di Kevin Gilbert, il primo saggio di politica, mentre nel 1978, lo stesso autore fa pubblicare Living Black, una raccolta di storie tradizionali aborigene raccontate, finalmente, da un punto di vista aborigeno9.
Lo sbocciare di un questa nuova stagione creativa porta con sé due importanti risultati. In primo luogo, gli autori aborigeni si rendono conto di essere in grado meglio di chiunque altro di rielaborare e proporre la propria cultura. In secondo luogo, accanto al fiorire della produzione artistica, la cultura aborigena diviene oggetto di studio nelle università. Ci si interroga su chi sia il poeta aborigeno, cosa lo differenzi rispetto a un autore in lingua inglese e si comincia a pensare che valga la pena occuparsene in modo sistematico e scientifico. Autori di spicco, tra i quali Kath Walker, si sono proposti con coraggio all’attenzione del pubblico occidentale, ottenendo spesso riconoscimenti ufficiali da parte di università di tutti i continenti e, nello stesso tempo, stimolando il mondo accademico a dilatare gli orizzonti della ricerca.

Una storia complessa, una produzione variegata
La rievocazione del passato, chiave di volta della letteratura aborigena, è in primo luogo legata all’evoluzione storica più recente, e parla del contrasto tra le due fasi pre- e post-coloniale, riallacciandosi al tentativo di riabilitazione e riscatto della cultura attraverso il recupero della tradizione orale e il travaso (o meglio, la sua rilettura) in una cornice culturale rinnovata, adatta alla nuova situazione storica. Il secondo livello della rievocazione è quello mitologico: un livello nel quale i piani aristotelici non hanno senso, dove presente e futuro si annodano originando soluzioni stilistiche di apparente incoerenza temporale.
Seguendo la tesi di Philip Morrissey, tutta la letteratura aborigena è letteratura politica10. Sin dai primi esordi, le opere sulle quali è germogliata una nuova letteratura, modello e specchio per autori e produzioni successive, si interrogano insistentemente sulla definizione di contemporaneità e sul ruolo dell’artista all’interno della società contemporanea. La dimensione politica della scrittura aborigena è correlata a una serie di preoccupazioni e si esprime esplicitamente in una varietà di modi, modulandosi intorno a temi come la resistenza alla repressione, la riconciliazione con la cultura dei colonizzatori, la celebrazione della propria tradizione, la riconfigurazione di alcuni aspetti del patrimonio orale nel formato scritto, e la sopravvivenza culturale e della comunità11.
Tutto ciò si trasforma in una variegata, prolifica produzione letteraria. La varietà della letteratura aborigena è testimoniata dalla cruciale raccolta Paperbark, pubblicata nel 1990 dai curatori Jack Davis, Stephen Muecke, Mudrooroo Narogin e Adam Shoemaker, che ne ripercorre a grandi linee la storia. Nella sua introduzione, che illustra la filosofia, le finalità e l’intento del libro, viene affermato che non si tratta di un tentativo di omogeneizzare e ridurre la complessità della scrittura aborigena, bensì di ispirarsi ai principi della molteplicità e del pluristilismo.

Focus sulla poesia
Oodgeroo, Kevin Gilbert, Jack Davis e Mudrooroo sono considerati i fondatori della letteratura aborigena contemporanea.
Negli anni Sessanta e Settanta, la letteratura aborigena emerge di pari passo con l’entrata del popolo aborigeno sulla scena politica della nazione. Le condizioni storiche che hanno favorito la nascita di una letteratura aborigena scritta influenzano inevitabilmente ogni verso, anche laddove non si tratti di contenuti «politici» in forma diretta; l’ombra della colonizzazione fa da sfondo allo scintillio del rancore. La prima generazione di scrittori aborigeni condivide una serie di metodi e preoccupazioni: rivendicare la giustizia e il possesso della terra, battersi contro i pregiudizi razziali e le menzogne storiche del progresso e dell’insediamento pacifico dei bianchi, insistendo, inoltre, sulla continuità tra passato e presente.
L’opera di Oodgeroo, e in particolare la sua poesia, fu spesso criticata proprio a causa delle sue implicazioni sociali e politiche: per alcuni utilizza uno stile troppo «moderno» e pertanto inautentico, per altri è una poesia troppo diretta (povera di metafore e immagini) e quindi scarsamente poetica. Oodgeroo ha uno stile caratterizzato da semplicità (lessicale e metrica: ricorda le nursery rhymes), brevità, wit, uso di forme proverbiali; la preoccupazione estetica segue l’urgenza di trasmettere un preciso messaggio.
Nella sua introduzione alla raccolta antologica Inside Black Australia (1987), Kevin Gilbert parla in toni appassionati dell’autenticità dei concetti di aboriginality12 e giustizia come dei soli principi in grado di sostenere la futura Australia13. Gilbert raffigura l’Australia contemporanea come un campo di battaglia sul quale si scontrano due forze opposte, una positiva (aborigeni) e una negativa (colonizzatori) e mette sull’attenti rispetto a una lettura depoliticizzata, puramente estetica dei testi. Gli autori scelti - tra i quali Frank Doolan, James Everett, Mary Duroux, Rex Marshall e Julie Watson Nungarrayi - devono la propria notorietà, più che ai loro versi, all’attivismo politico e al ruolo ricoperto all’interno delle comunità. All’interno di una tradizione primariamente orale come quella aborigena australiana, dove ciascuno è potenzialmente poeta, l’accento viene posto su contenuti e finalità dialogiche piuttosto che sulle innovazioni formali, tanto che spesso il testo acquista maggior efficacia se interpretato dal poeta stesso durante performance dal vivo. Anche Gilbert fu spesso criticato per il suo stile troppo «politico». Molte sue poesie costituiscono monologhi drammatici, o includono stralci dialogici tra voci aborigene molto eterogenee tra loro (uomini, donne, giovani, vecchi, cittadini, rurali) o addirittura con altri testi e autori.
In termini di linguaggio e di contenuto, Lionel Fogarty è forse il poeta aborigeno più radicale. Fogarty considera e utilizza la lingua inglese come un medium non suo (a differenza di Oodgeroo, che se ne appropria): nelle sue composizioni incorpora elementi della lingua tradizionale, utilizza parole che in inglese e nell’uso aborigeno dell’inglese hanno diverso significato, sovverte la grammatica e la sintassi per tenere il lettore in posizione esterna e disorientarlo. La prima generazione di poeti aborigeni, Oodgeroo, Gilbert, Davis e Fogarty, ha lasciato il testimone ad autori altrettanto significativi come Mudrooroo e Roberta Sykes. I due cicli di Mudrooroo The Song Circle of Jacky (1986) e Dalwurra (1988) rappresentano tentativi importanti di imitare lo stile dei canti tradizionali. Roberta Sykes, a sua volta, con Love Songs and Other Revolutionary Actions (1979) ha ispirato una generazione di scrittrici aborigene, nello stesso tempo rivolgendosi a un pubblico non aborigeno. In tempi più recenti, è emersa una generazione di poeti urbani, la cui opera parla spesso di alienazione e razzismo, e che affonda le radici nella tradizione dei canti di protesta che li ha preceduti. Si tratta, tra gli altri, di Lisa Bellear, Anita Heiss, Kerry Reed-Gilbert (figlia di Kevin Gilbert) e Kim Scott14.
Nella selezione di liriche proposta, ho cercato di rispettare la polifonia e il carattere acerbo e antico delle liriche. Dai toni soffusi di malinconia, emergono un rancore ancora presente e una memoria storica fresca e tagliente del passato di sofferenza e umiliazione, assieme all’esigenza di trovare una propria identità interna alla nuova situazione sociale e alle influenze culturali dell’Australia «bianca».
 
NOTE
1 «Our legends tell of the spirit world and they go back to the Alcheringa (now renamed «Dreamtime» without our permission). We know that the earth is our mother who created us all. We cannot own her, she owns us. So we are the custodians of our Earth Mother, whom we must respect and protect at all times. The damage done to the Australian environment over the last 200 years shows that many of the white strangers who came amongst us did not understand this need for respect and protection». Oodgeroo Noonuccal (ed.) Australian Legends and Landscapes, Milson’s Point, NSW: Random Century, p. 8. La citazione è tratta è una raccolta di leggende tradizionali aborigene corredate da illustrazioni e fotografie a cura dei Reg Morrison. Ancora Kath Walker: «Australian archaeologists are just now beginning to discover what Aboriginal people have always known. [...] Our ancient history is locked in a cultural memory, which in turn is locked in the alcheringa, or as it has been re-named (incidentally, without our permission), the Dreamtime». Walker, K., Towards a Global Village in the Southern Hemisphere. Nathan, Qld: Institute for Cultural Policy Studies, Division of Humanities, Griffith University, 1989, p. 3.
2 Cfr. Morrissey, P., Aboriginal Writing, in The Oxford Companion to Aboriginal Art and Culture. Melbourne: Oxford University Press, 2000, pp. 313-320.
3 «All human legends are many things. They record our history. They inform us of our geographical places, of good and evil. They are our communication with each other. In the Aboriginal instance, each separate tribe has its own unique legends, traditionally passed down through word of mouth from generation to generation». Oodgeroo Noonuccal (ed.) Australian Legends and Landscapes, cit., p. 5.
4 Van Toorn, P., Indigenous Texts and Narratives, in Webby, E. (ed.), The Cambridge Companion to Australian Literature, CUP, Cambridge, 2000, p. 20.
5 Roe, P., Gularaburu, 1983; Benterrak Muecke, S., Roe, P., Reading the Country, 1984; Neidjie, B., Story About Feeling, 1989; Taylor, J. (ed.), Wandjuk Marika: Life Story, 1995. Cfr. Van Toorn, P., Indigenous Texts and Narratives, cit., pp. 21-22. L’Autore accenna inoltre alle pubblicazioni antologiche e al dilemma relativo all’inclusione o meno di autori aborigeni: nel primo caso si rischia l’accusa di appropriazione culturale, nel secondo di discriminazione eurocentrica.
6 Cfr. Morrissey, P., Aboriginal Writing, cit.
7 Kath Walker, We are Going, Brisbane, Jacaranda Press 1964.
8 Cfr. Mudrooroo, Gatto selvagio cade, Le Lettere, Firenze, 2003, trad. italiana a cura di Lorenzo Perrona.
9 Gilbert, K. (ed.), Inside Black Australia. Melbourne: Penguin, 1988, p. 187.
10 Morrissey, P., Aboriginal Writing, cit., p. 313.
11 Sull’argomento, Antony Giddens ha operato una classificazione tenendo conto dei contenuti e delle finalità di un’opera: 1) opere che auspicano emancipazione politica (emancipatory politics), vista come il superamento di ingiustizia e discriminazione sistemiche; 2) opere che propongono politica di vita (life politics), ovvero la creazione di principi etici di vita e coesistenza; 3) opere che offrono una combinazione di 1) e 2).
12 «The concept of Aboriginality did not even exist before the coming of the European. Rather, Indigenous Australians identified themselves and others according to kinship groups, skin groups, or on the basis of their relationship to totems, the Dreaming or particular tracts of land. [...] Stereotypical images of the other, created by the coloniser, are based on notions of difference and otherness. Such differences then become a justification for controlling the other». Kurtzer, S., Wandering Girl: Who Defines «Authenticity» in Aboriginal Literature?, «Southerly»,3, 1988, p. 20-29. Cfr. anche Fanon, F., «The fact of Blackness» in Donald, J. And Rattansi, A. (eds.), Race, Culture and Difference, London, sage Publications, 1992.
13 Cfr. Gilbert, K. (ed.), Inside Black Australia. Melbourne: Penguin, 1988, p. 187.
14 Cfr. Douglas, J. (ed.), Untreated: Poems by Black Writers, Ali-ce Springs, Jukurrpa Books, 2001; Reed-Gilbert, K. (ed.), Message Stick: Contemporary Aboriginal Writing, Alice Springs, Jukurrpa Books, 1997; Bellear, L., Dreaming in Urban Areas, St Lucia, University of QLD Press, 1996.




 
Liriche tratte da: Kevin Gilbert (ed.), Inside Black Australiaan Anthology of Aboriginal Poetry, Ringwood, Penguin Australia, 1988.

W. LES RUSSEL
Originario del Victoria, nel 1979 fonda e dirige l’Aboriginal Mining Information Centre, uno dei più grandi centri di ricerca indigeni al mondo. Nel 1986 pubblica la raccolta di liriche Greed for Green.
 
RED
Red is the colour
of my Blood;
of the earth,
of which I am a part;
of the sun as it rises, or sets,
of which I am a part;
of the blood
of the animals,
of which I am a part;
of the flowers, like the waratah,
of the twining pea,
of which I am a part;
of the blood of the tree
of which I am a part.
For all things are a part of me,
And I am a part of them.
ROSSO
Rosso è il colore
del mio Sangue;
della terra,
di cui sono parte;
del sole che sorge o tramonta,
di cui sono parte;
del sangue
degli animali,
di cui sono parte;
dei fiori, come il waratah,
del pisello rampicante
di cui sono parte;
del sangue dell’albero
di cui sono parte.
Perché tutte le cose sono parte di me,
e io parte di loro.
 
 
 
 
PANSY ROSE NAPALJARRI
Insegnante di materie letterarie presso la Lajamanu School, Hooker Creek (Northenrn Territory).

MARLU-KURLU
Ngapa, kanunju pamarrpa-wana,
karlimi ka pulya-nyayirni, karru-jangka
pamarrpa-kurra.
Jurlpu-patu kalu nyinami watiya witangka,
jinjirla kalu parntinyanyi kuja kalu pardimi yalyu-yalyu.
 
Marlu ka ngunami yamangka,
mata-nyayirni parnkanja-warnu.
Ngapa ka purdanyanyi,
kuja ka pulya karlimi.
 
Wardinyi ka nguna, yapa-wangurla luwarninja-kujaku,
jinjirla ka parntinyanyi,
matalku ka jarda-jarrimi.
 
 
THE KANGAROO
Water beneath the hills,
running slowly from the creek,
towards the hills.

Birds sitting on the branch,
smelling the red flowers
that are growing.
Kangaroo is lying in the shade,
very tired from hopping around,
he listens to the water,
that is running very slowly.

He is happy, no people around,
to spear him
he smells the red flowers,
so tired, he goes to sleep.
IL CANGURO
Acqua sotto le colline,
scorre lenta dal torrente
verso le colline.
 
Uccelli posati sul ramo,
odorano i fiori rossi crescere.
Stufo di saltare qua e là,
disteso all’ombra il canguro
ascolta l’acqua
scorrere molto lenta.

È felice, nessuno in giro
a ferirlo.
Odora i fiori rossi
poi, stanco, va a dormire.
 
 
 
 
 
EVA JOHNSON
Originaria di Daly River, Northern Territory, all’età di tre anni viene sottratta alla madre naturale dalle autorità e affidata alla missione di Croker Island. Dal 1957 vive a Adelaide, dove si aggrega al Black Theatre, recita e scrive teatro.

A LETTER TO MY MOTHER
I not see you long time now, I not see you long time now
White fulla bin take me from you, I don’t know why
Give me to Missionary to be God’s child.
Give me new language, give me new name
All time I cry, they say – ‘that shame’
I go to city down south, real cold
I forget all them stories, my Mother you told
Gone is my spirit, my dreaming, my name
Gone to these people, our country to claim
They gave me white mother, she give me new name
All time I cry, she say – ‘that shame’
I not see you long time now, I not see you long time now.

I grow as Woman now, not Piccaninny no more
I need you to teach me your wisdom, your lore
I am your Spirit, I’ll stay alive
But in white fulla way, you won’t survive
I’ll fight for Your land, for your Sacred sites
To sing and to dance with the Brolga in flight
To continue to live in your own tradition
A culture for me was replaced by a mission
I not see you long time now, I not see you long time now.

One day your dancing, your dreaming, your song
Will take me your Spirit back where I belong
My Mother, the earth, the land – I demand
Protection from aliens who rule, who command
For they do not know where our dreaming began
Our destiny lies in the laws of White Man
Two Women we stand, our story untold
But now as our spiritual bondage unfold
We will silence this Burden, this longing, this pain
When I hear you my Mother give me my Name
I not see you long time now, I not see you long time now.
UNA LETTERA A MIA MADRE
Non ti vedo da tanto, non ti vedo da tanto
l’uomo bianco mi porta via da te, non so perché
mi dà al Missionario per essere figlia di Dio.
Mi dà una lingua nuova, mi dà un nome nuovo
Piango sempre, dicono: “quell’infame”
vado a sud in città, freddo cane
scordo tutte le storie che mi hai raccontato, Madre
è andato il mio spirito, il mio sogno, il mio nome
è andata a questa gente la terra che ci spetta
mi han dato una madre bianca, lei mi dà un nome nuovo
piango sempre, dice “quell’infame”
Non ti vedo da tanto, non ti vedo da tanto.

Sono diventata una Donna, non più una piccaninny
ho bisogno che m’insegni la tua saggezza, il tuo sapere
sono il tuo Spirito, sopravviverò
ma tu da uomo bianco non sopravviverai
combatterò per la Tua terra, per il tuoi Sacri siti
per cantare e volteggiare col Brolga
per continuare a vivere nella tua tradizione
una missione ha rimpiazzato la mia cultura
Non ti vedo da tanto, non ti vedo da tanto.

Un giorno le danze, il sogno, il tuo canto
mi restituiranno il tuo Spirito a cui appartengo
Madre mia, la terra, la Terra: chiedo
protezione dagli stranieri che governano, comandano
poiché ignorano dove iniziò il nostro sogno
il nostro destino è nelle leggi dell’Uomo Bianco
siamo Due Donne, le nostre storie inedite
ma ora, rivela il nostro legame spirituale
faremo tacere questo Fardello, dolore e malinconia,
quando ti sento, Madre mia, darmi il mio Nome
Non ti vedo da tanto, non ti vedo da tanto.
   
 
 
 
 
 
BOBBI SYKES
Originaria di Townsville, Queensland. Studia Scienze dell’educazione a Harvard, ha all’attivo numerose pubblicazioni di saggistica e di poesia ed è una delle voci più influenti della letteratura aborigena contemporanea.

CYCLE
The revolution is conceived
as a babe in the womb;
It is, as a foetus,
an idea – a twinkle only
in men’s eyes and a silent knowing
in women;
Yet it lives.

The revolution is alive
while it lives
within us;
Beating, making our hearts warm,
Our minds strong, for we know
that justice is inevitable –
like birth

Unaware of what they see,
They watch us;
We grow stronger and threaten
to burst our skin;
They do nor realize
that the revolution
is near birth

That it threatens to spill
from the succoured womb
To the long-ready world
Which has not prepared
Even in this long time of waiting.

We do not always talk
of our pregnancy
for we are pregnant
with the thrust of freedom;
And our freedom looks to others
As a threat.

Yet we must be free, we know it,
And they know it,
For our freedom is not a gift
To be bestowed,
But torn from those
Who seek to keep us down.

We must stand up, raise our arms
To the sun, breathe deep the free air,
And our children
Cavort as new-born, trouble-free.

The revolution lives. It lives
within us. Birth is imminent.
It cannot be bought off,
pushed back, held off.
The revolution will spring forward
As surely
As the child will leave the womb
- When it is ready;
We must make haste preparing
while biding our time.
CICLO
L a rivoluzione è concepita
come un bimbo nell’utero;
come un feto,
è un’idea: scintilla appena
negli occhi degli uomini e nelle donne
è muta conoscenza;
eppure vive.

La rivoluzione è viva
mentre vive
in noi;
batte, ci scalda il cuore,
ci rafforza la mente perché, sappiamo
la giustizia è inevitabile:
come nascere

Ignari di ciò che vedono,
ci guardano;
diveniamo più forti e quasi
la pelle ci scoppia;
non si rendono conto
che la rivoluzione
è ormai nata

E dall’utero soccorso
minaccia di versarsi
sul mondo pronto da tempo
che pure non si è preparato
in questa lunga attesa.

Non parliamo sempre
della nostra gravidanza
perché siamo gravidi
della spinta della libertà;
e la nostra libertà guarda gli altri
come una minaccia.

Ma dobbiamo essere liberi, lo sappiamo
e lo sanno,
perché la nostra libertà non è un dono
da ricevere,
ma strappare
a chi vorrebbe sottometterci.

Dobbiamo alzarci, sollevare le braccia
al sole, respirare a fondo l’aria libera,
e i nostri figli saltare
come neonati, senza problemi.

La rivoluzione vive. Vive
in noi. La nascita è imminente.
Non si può comprare,
respingere, attendere.
La rivoluzione nascerà
certo
come il bimbo lascerà l’utero
quando è pronto;
dobbiamo prepararci in fretta
aspettando il momento opportuno.
   
 

MUDROOROO NAROGIN

Il suo primo romanzo, Wild Cat Falling, esce nel 1965. L’opera si rivelò profetica nel modo in cui l’autore sviluppò temi indigeni relativi alla terra, tradizione, identità, governo e comunità, e nel modo in cui seppe escogitare una soluzione narrativa che implicasse una ricreazione del sé e della propria cultura attraverso un ritorno alle proprie origini culturali. Senza necessariamente fare esplicito riferimento a Wild Cat Falling, gli autori aborigeni successivi esplorarono gli stessi temi e adottarono soluzioni narrative simili.
 
Subito dopo la pubblicazione di Wild Cat Falling, Mudrooroo partì dall’Australia, per trascorrere un lungo periodo in Asia. Rientrato in Australia sul finire degli anni Settanta, incominciò a pubblicare regolarmente romanzi, che ottennero un buon successo di pubblico e critica. Ma l’opera più significativa è Writing from the Fringe, una raccolta di saggi critici di letteratura aborigena che venne pubblicata nel 1990.
L’idea centrale di Writing from the Fringe si ispira alla periodizzazione operata da Frantz Fanon, il quale, nella storia della letteratura aborigena, identifica una serie di tappe lungo un percorso progressivo, che parte da una letteratura assimilata e culturalmente alienata per approdare a una letteratura attiva e propositiva. Semplificando la categorizzazione di Fanon, Mudrooroo sostiene che la letteratura aborigena sia entrata nella fase attiva, durante la quale molti aborigeni, che in precedenza non avevano mai pensato di diventare autori, iniziano a scrivere. Secondo Mudrooroo, tuttavia, molto di ciò che viene scritto è ancora una filiazione e non ancora autenticamente aborigeno. La poesia di Lionel Fogarty viene citata come esempio di scrittura in cui si mescolano elementi del linguaggio parlato indigeno, espressioni di impegno politico e tecniche moderne di versificazione: un esempio, cioè, di autentica scrittura aborigena decolonizzata.
Un’altra tesi di Mudrooroo sostiene che l’autentica scrittura aborigena sia contraddistinta da una peculiare testualità. L’autore fa l’esempio del miscuglio di tempi verbali frequente negli scrittori aborigeni. Ciò, di per sé, non è soltanto un tratto distintivo della letteratura aborigena, ma, più in generale, caratterizza la narrazione conversazionale, testualizzata nel momento in cui viene messa per iscritto senza alcuna rielaborazione formale.
L’opera e il pensiero di Mudrooroo sono decisivi in un periodo - a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta - e in un campo d’indagine fino ad allora dominati da intellettuali non aborigeni. Mudrooroo rappresenta per la prima volta gli interessi degli scrittori e della società aborigena in ambito critico; si interessa di figure internazionali come Fanon, Malcom X, Bob Marley, incoraggiando la critica a pensare la letteratura aborigena come parte di un fenomeno globale, utilizzando e adattando la teoria post-coloniale per la sua interpretazione teorica.


JACKY SINGS HIS SONGS

1
I know that I am –
No jargon, please –
I know that I am,
Water and earth
Mixed with a little wine.

Don’t tell me who I am:
A child cries in me too often,
To have many illusions
My mouth curves,
In sadness these days.

I know that I am
Like a lonely child,
Locked in a black closet,
Long given up attempts to get out;
Huddled in the darkest, scary corner.

Don’t tell me who I am –
A deserted hotel room,
A sink in one corner,
A wardrobe, bed and chair:
No poetry, only a Rolling Stone
Opened at Random Notes.
JACKY CANTA LE SUE CANZONI

1
So di essere,
niente gergo, per cortesia,
so di essere,
acqua e terra
mischiate a un po’ di vino.

Non dirmi chi sono:
un bambino piange in me troppo spesso,
per le molte illusioni
in questi giorni la mia bocca
si curva triste.

So di essere
come un bambino solo,
rinchiuso in un nero ripostiglio;
da tempo ha rinunciato a uscire,
rannicchiato nell’angolo più scuro e pauroso.

Non dirmi chi sono
una stanza d’albergo deserta,
un lavandino in un angolo,
un armadio, letto e sedia:
niente poesia, solo un Rolling Stone
aperto alle Note Sparse.
2
If you want me, try your jails,
In solitude, a bible for my love.

If you want me, walk along a street
Holding in each factory doorway,
Nothing, but your middle-class do-gooder fear;
Then stop, look down, right down –
An empty bottle, a sprawled black body,
Pink streaming urine stinking of your wine.

If you want me, follow the screaming siren
Rushing pigs to crush our anger –
Brother against brother ‘till they come
And hustle away the debris of our hope.

If you want me, try your grassless parks,
In solitude, old men drinking life away.2
 
2
Se mi vuoi, prova le tue carceri,
in solitudine, una bibbia per il mio amore.

Se mi vuoi, percorri una strada
e all’entrata di ogni fabbrica
porta solo la tua paura per-benista di classe-media;
poi fermati, guarda giù, proprio giù:
una bottiglia vuota, un corpo nero buttato,
un rivolo rosa di urina che tanfa del tuo vino.

Se mi vuoi, segui l’urlo della sirena
che affretta i maiali a schiacciare la nostra rabbia
fratello contro fratello finché son qui
a rimuovere i frantumi della nostra speranza.

Se mi vuoi, prova i tuoi parchi senza erba,
in solitudine, vecchi si bevono via la vita.
 
 
 
 
 
JACK DAVIS
È l’autore più importante e influente del teatro aborigeno, specialmente nel corso degli anni Ottanta. Sceneggiatore, poeta e curatore, Davis ha ispirato e incoraggiato una generazione di attori, registi e sceneggiatori aborigeni. Famoso soprattutto per la sua trilogia (The First Born, 1979; The Dreamers, 1982; No Sugar, 1985), Davis mette l’accento sulle ansie e le aspirazioni umane che accomunano colonizzatori e colonizzati, e che rendono possibile una coesistenza etica, pur entro una cornice rigorosa in cui analizza strategie ed effetti del razzismo.

SLUM DWELLING
Big brown eyes, little dark Australian boy
Playing with a broken toy.
This environment his alone,
This is where a seed is sown.
Can this child at the age of three
Rise above this poverty?

The walls all cracked and faded, bare.
The glassless windows stare and stare
Like the half-dead eyes of a dying race…
A sad but strange, compelling place.
ABITARE UNO SLUM
Occhioni marroni, scuro bimbo australiano
un giocattolo rotto tiene in mano.
Solo questo è il suo ambiente,
dove seminata è la semente.
Può questo bambino a tre anni di età
superare questa povertà?

I muri nudi e crepati, sbiadito il colore.
Le finestre senza vetri ferme a fissare
come gli occhi mezzi morti di una razza morente...
Un luogo triste ma strano, avvincente.
   
 
 
ARCHIE WELLER
Originario di Subiaco, Western Australia. Studia a Perth e inizia presto a scrivere il suo primo libro, The Day of the Dog, dopo il quale pubblica altri libri tra cui una antologia poetica (Us Fellas) curata assieme a Colleen Francis-Glass.
Oh, Domjum!
My brother.
I weep for you.
As children when we used to play
and you where always the leader.
You beat upon
your skinny breast
and cried out in joy
as big as the sun –
as big as living.
But now
last night
they shot you as dead
as only dead can be.
Blood as red as the new day
spreading across your black back
and your brown hands white
with the dust of stolen flour.
Oh, Domjum!
Fratello mio.
Piango per te.
Da bambini giocavamo sempre
e tu eri sempre il capo.
Ti battevi
il petto scarno
e gridavi gioioso
grande come il sole
grande come la vita.
Ma ora
ieri notte
ti hanno fatto secco
morto che più morto non si può.
Sangue rosso come il nuovo giorno
si spande lungo la schiena nera
e sulle mani marroni il bianco
polvere di farina rubata.
   


 
 
 
LAURY WELLS
Originario di Walgett, New South Wales.

PRELUDE
The track is my companion
A quiet eternal friend
For so alike together
We have no journey’s end.

I find joy in roving
This land eternally
Beyond each lofty mountain
And valley I must see.

The track is my companion
Whichever way it lies
And I’ll remain a Pilgrim
Until the day I die.
 
PRELUDIO
Il sentiero mi è compagno
un amico eterno e quieto
perché insieme
il nostro viaggio non ha fine.

Mi dà gioia eterna
peregrinare questa terra
devo vedere oltre
ogni valle e alta vetta.

Il sentiero mi è compagno
ovunque si trovi
e rimarrò un Pellegrino
fino al giorno della morte.
   
 
 
 
 
DEBBY BARBEN
Originaria di Carlton, Victoria.

DO YOU KNOW WHAT YOU’RE SAYING
Do you know what you’re saying
Have you heard it yourself
How much do you practise
 What you said
Do you know or think you do
You sit there talking and preaching
Patting yourself on the back
 Have you been through it
If you said and listened to one
 that had
And to someone that was
 themselves
That’s when you will
 learn something.
 
LO SAI COSA STAI DICENDO
Lo sai cosa stai dicendo
L’hai sentito con le tue orecchie
Quanto ti alleni
a dire ciò che hai detto
Sai o pensi di sapere
Stai seduto lì a parlare e predicare
battendoti da solo sulla schiena
Ci sei passato
Se stessi seduto ad ascoltare uno
che c’è passato
e qualcuno che era
se stesso
allora
impareresti qualcosa.
   
 
 
ROBERT WALKER
Originario di Port Augusta. Trascorre i suoi 25 anni di vita quasi interamente in detenzione, a partire dai 12 anni. Dall’autopsia effettuata dopo la sua morte presso la Fremantle Prison risultano abusi e violenze da parte delle guardie carcerarie.

LIFE IS LIFE
The rose among thorns
May not feel the sun’s kiss each mornin’
And though it is forced to steal the sunshine
Stored in the branches by those who cast shadows,
It is a rose and it lives.
VITA È VITA
La rosa tra le spine
forse non sente il bacio del sole ogni mattino
e benché debba rubare la luce
deposta tra i rami da coloro che fanno ombra,
è una rosa e vive.
   
 
 
KEVIN GILBERT
Originario di Condobolin. Curatore dell’antologia poetica Inside Black Australia (1988), da cui sono stati tratti questi testi, è autore di opere teatrali, politiche (Because a White Man’ll Never Do It, 1973) e di Living Black (1978), un’antologia di storia orale aborigena.


TREE
I am the tree
the lean hard hungry land
the crow and the eagle
sun and moon and sea
I am the sacred clay
which forms the base
the grasses vines and man
I am all things created
I am you and
you are nothing
but through me the tree
you are
and nothing comes to me
except through that one living gateway
to be free
and you are nothing yet
for all creation
earth and God and man
is nothing
until they fuse
and become a total sum of something
together fuse to consciousness of all
and every sacred part aware
alive in true affinity.
 
ALBERO
Sono l’albero
la terra magra dura affamata
l’aquila e il corvo
sole luna e mare
sono l’argilla sacra
che forma la base
le erbe le viti e l’uomo
sono tutte le cose create
sono te e
tu sei niente
ma attraverso me sei
l’albero
e nulla giunge a me
se non per quell’unica fuga vivente
essere libero
e tu sei ancora niente
perché tutta la creazione
terra e Dio e uomo
è niente
finché si fondono
e divengono somma totale di qualcosa
insieme si fondono con la consapevolezza di tutto
e ogni sacra parte consapevole
viva in vera affinità.
   
 
 
 
 
 
Liriche tratte da: Kath Walker, We Are Going, Brisbane, Jacaranda Press, 1964.

OODGEROO NOONUCCAL (KATH WALKER)
Una delle figure più rappresentative della letteratura aborigena australiana, se si considera che la sua raccolta d’esordio, We are Going (1964) costituì la prima raccolta poetica pubblicata da un autore aborigeno australiano.
Originaria del Queensland e nata da padre di origine inglese e madre aborigena, nel corso degli anni Sessanta divenne una delle personalità di spicco del movimento in difesa dei diritti degli indigeni d’Australia, nonché uno dei principali motori e sostenitori del Referendum costituzionale del 1967, che garantì agli aborigeni i diritti di cittadinanza. La sua opera letteraria, dunque, si situa all’interno di un contesto più ampio, in cui trova spazio un’intera serie di attività (politiche, sociali, artistiche, educative) finalizzate all’emancipazione del popolo aborigeno e, più in generale, alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle questioni razziale e ambientale.
Nel 1988, in segno di protesta nei confronti delle celebrazioni ufficiali in occasione del bicentenario dalla fondazione dell’Australia, Kath Walker scelse di chiamarsi col nome aborigeno Oodgeroo Noonuccal, firmando da quel momento in poi le proprie opere con il nome della propria tribù d’origine.

ABORIGINAL CHARTER OF RIGHTS
We want hope, not racialism,
Brotherhood, not ostracism,
Black advance, not white ascendance:
Make us equals, not dependants.
We need help, not exploitation,
We want freedom, not frustration;
Not control, but self-reliance,
Independence, not compliance,
Not rebuff, but education,
Self-respect, not resignation.
Free us from a mean subjection,
From a bureaucrat Protection.
Let’s forget the old-time slavers:
Give us fellowship, not favours;
Encouragement, not prohibitions,
Homes, not settlements and missions.
We need love, not overlordship,
Grip of hand, not whip-hand wardship;
Opportunity that places
White and black on equal basis.
You dishearten, not defend us,
Circumscribe, who should befriend us.
Give us welcome, not aversion,
Give us choice, not cold coercion,
Status, not discrimination,
Human rights, not segregation.
You the law, like Roman Pontius,
Make us proud, not colour-conscious;
Give the deal you still deny us,
Give goodwill, not bigot bias;
Give ambition, not prevention,
Confidence, not condescension;
Give incentive, not restriction,
Give us Christ, not crucifixion.
Thought baptized and blessed and Bibled
We are still tabooed and libelled.
You devout Salvation-sellers,
Make us neighbours, not fringe-dwellers;
Make us mates, not poor relations
Citizens, not serfs on stations.
Must we native Old Australians
In our own land rank as aliens?
Banish bans and conquer caste,
Then we’ll win our own at last.
Citizens, not serfs on stations.
Must we native Old Australians
In our own land rank as aliens?
Banish bans and conquer caste,
Then we’ll win our own at last.
CARTA DEI DIRITTI ABORIGENI
Vogliamo speranza, non razzismo,
fratellanza, non ostracismo,
l’emancipazione dei neri, non la supremazia dei bianchi:
rendeteci eguali, non dipendenti.
Ci occorre aiuto, non sfruttamento,
vogliamo libertà, non frustrazione;
non controllo, ma fiducia in noi stessi,
indipendenza, non sottomissione,
non disprezzo, ma istruzione,
autostima, non rassegnazione.
Liberateci dallo squallore di sudditi,
da una Protezione burocratica.
Scordiamo gli schiavisti, il passato:
dateci fratellanza, non favori;
conforto, non proibizioni,
una casa, non insediamenti o missioni.
Ci serve amore, non controllo,
una stretta di mano, non la frusta del guardiano;
il mutuo vantaggio pone
bianchi e neri sullo stesso piano.
Ci annientate, anziché difenderci,
ci limitate, anziché soccorrerci.
Siate accoglienti, non ostili,
offriteci scelta, non fredda coercizione,
dignità, non discriminazione.
Voi, la legge, come Ponzio Pilato,
rendeteci fieri, non preoccupati del colore della pelle;
concedete il patto che negate,
dateci benevolenza, non bigotti pregiudizi;
dateci ambizione, non ostacoli,
fiducia, non degnazione;
dateci incentivi, non restrizioni,
dateci Cristo, non la crocifissione.
Pur battezzati, benedetti e istruiti
restiamo esclusi e diffamati.
Devoti mercanti di Salvezza,
rendeteci vostri vicini, non emarginati;
vostri compagni, non parenti poveri,
cittadini, non schiavi nelle stazioni.
Noi, antichi nativi australiani
dobbiamo vagare come stranieri nella nostra terra?
Bandite bandi e soggiogate la casta,
infine noi vinceremo la nostra.
WE ARE GOING

For Grannie Coolwell

They came in the little town
A semi-naked band subdued and silent,
All that remained of their tribe.
They came here to the place of their old bora ground
Where now the many white men hurry about like ants.
Notice of estate agents reads: ‘Rubbish May Be Tipped Here’.
Now it half covers the traces of old bora ring.
They sit and are confused, they cannot say their thoughts:
‘We are as strangers here now, but the white men are the
[strangers.

We belong here, we are of the old ways.
We are the corroboree and the bora ground,
We are the old sacred ceremonies, the laws of the elders.
We are the wonder tales of Dream Time, the tribal legends old.
We are the past, the hunts and the laughing games, the
[wandering camp fires.
We are the lighting-bolt over Gaphembah Hill
Quick and terrible,
And the Thunderer after him, that loud fellow.
We are the quiet daybreak paling the dark lagoon.
We are the shadow-ghosts creeping back as the camp fires burn
low.

We are the nature and the past, all the old ways
Gone now and scattered.
The scrubs are gone, the hunting and the laughter.
The eagle is gone, the emu and the kangaroo are gone from
this place.

The bora ring is gone.
The corroboree is gone.
And we are going.
STIAMO ANDANDO

Per Nonna Coolwell

Giunsero al villaggio
gruppo seminudo, muto e sottomesso,
quello che restava della tribù.
Giunsero al luogo dell’antico bora ground
dove i bianchi ora brulicano come formiche.
Dice il cartello di un’immobiliare: “Depositare qui i rifiuti”.
Ora ricoprono a metà le tracce dell’antico bora ring.
Siedono confusi, non sanno esprimere i loro pensieri:
“Siamo come stranieri qui, eppure stranieri sono la tribù
[bianca.

Siamo di qui, delle antiche vie.
Siamo il corroboree e il bora ground,
siamo le antiche cerimonie sacre, le leggi degli anziani.
Siamo le storie meravigliose del Tempo del Sogno, le leggende
[tramandate della tribù.
Siamo il passato, la caccia e i giochi, il fuoco dei campi nomadi.
Siamo il lampo sopra Gaphembah Hill
rapido e terribile,
e il tuono che segue, suo forte compagno.
Siamo la pallida quiete dell’alba sulla scura laguna.
Siamo le ombre che scompaiono quando i fuochi si
[spengono.

Siamo la natura e il passato, le antiche vie
lontane e disperse.
Gli arbusti sono andati, la caccia e le risate.
L’aquila è andata, l’emu e il canguro hanno lasciato questi
[luoghi.

Il bora ring è andato.
Il corroboree è andato.
E noi stiamo andando”.

¬ top of page


Iniziative
22 novembre 2024
Recensibili per marzo 2025

19 settembre 2024
Il saluto del Direttore Francesco Stella

19 settembre 2024
Biblioteca Lettere Firenze: Mostra copertine Semicerchio e letture primi 70 volumi

16 settembre 2024
Guida alla mostra delle copertine, rassegna stampa web, video 25 anni

21 aprile 2024
Addio ad Anna Maria Volpini

9 dicembre 2023
Semicerchio in dibattito a "Più libri più liberi"

15 ottobre 2023
Semicerchio al Salon de la Revue di Parigi

30 settembre 2023
Il saggio sulla Compagnia delle Poete presentato a Viareggio

11 settembre 2023
Recensibili 2023

11 settembre 2023
Presentazione di Semicerchio sulle traduzioni di Zanzotto

26 giugno 2023
Dante cinese e coreano, Dante spagnolo e francese, Dante disegnato

21 giugno 2023
Tandem. Dialoghi poetici a Bibliotecanova

6 maggio 2023
Blog sulla traduzione

9 gennaio 2023
Addio a Charles Simic

9 dicembre 2022
Semicerchio a "Più libri più liberi", Roma

15 ottobre 2022
Hodoeporica al Salon de la Revue di Parigi

13 maggio 2022
Carteggio Ripellino-Holan su Semicerchio. Roma 13 maggio

26 ottobre 2021
Nuovo premio ai traduttori di "Semicerchio"

16 ottobre 2021
Immaginare Dante. Università di Siena, 21 ottobre

11 ottobre 2021
La Divina Commedia nelle lingue orientali

8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

21 settembre 2021
HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

11 giugno 2021
Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

28 maggio 2021
Le riviste in tempo di pandemia

28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

21 maggio 2021
Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

11 maggio 2021
Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

7 maggio 2021
Jorie Graham a dialogo con la sua traduttrice italiana

23 aprile 2021
La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

19 giugno 2020
Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

1 giugno 2020
Call for papers: Semicerchio 63 "Gli ospiti del caso"

30 aprile 2020
Laboratori digitali della Scuola Semicerchio

» Archivio
 » Presentazione
 » Programmi in corso
 » Corsi precedenti
 » Statuto associazione
 » Scrittori e poeti
 » Blog
 » Forum
 » Audio e video lezioni
 » Materiali didattici
Editore
Pacini Editore
Distributore
PDE
Semicerchio è pubblicata col patrocinio del Dipartimento di Teoria e Documentazione delle Tradizioni Culturali dell'Università di Siena viale Cittadini 33, 52100 Arezzo, tel. +39-0575.926314, fax +39-0575.926312
web design: Gianni Cicali

Semicerchio, piazza Leopoldo 9, 50134 Firenze - tel./fax +39 055 495398