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ALBERTO CELLOTTO, Pertiche, Prefazione di Gian Mario Villalta, Milano, La Vita Felice, 2011, pp. 80, € 12,00.


         La pertica non è solo l’attrezzo ginnico con cui «si fa esercizio in palestra», non è solo l’«unità di misura geometrica che riguarda gli appezzamenti di terreno», «misura orizzontale», «rasoterra», «a cui si contrappone la verticalità di una pertica che invece sta infissa nella terra di quel tanto che occorre a sorreggersi e a reggere, a marcare un confine o stabilire un punto notevole dal quale traguardare altre distanze», come ha evidenziato bene nella prefazione Gian Mario Villalta. La pertica può essere anche altro. Per incominciare è di legno, un’asta grezza ottenuta da un tronco, come quella non nominata che fa da sostegno alle bandiere nel primo verso d’inizio del testo («La punta delle bandiere vicino / le fabbriche»); un tronco risalente al tempo del proprio passato di albero, magari «un albero immobile», ricavato dai «I pini di Roma», «segnali d’alberi, pini / punti dai forati cumuli, // pini che si credono sulla consolare, / pini che non sanno di consolare / altri alberi che stanno in oblio // e vivono e muoiono». Le pertiche frammenti di alberi provengono infatti da una forma di vita, nella quale sopravvivono fossilizzate, pietrificate, immobili, rigide, amputate, modellate, proiezioni d’ombra delle piante che furono. Nell’ombra che disegnano sul terreno possono assumere la funzione di aste o lancette di meridiane rudimentali segnando, dettando non solo la misurazione dello spazio ma anche del tempo. È il sole a gettare ombra. Quel «sole» o quei «soli» giocati ambiguamente tra il significato di astro e quello di condizione di solitudine («Lontananze sole / luna e terra»). E viene in mente un titolo di straordinaria bellezza evocativa e visionaria della letteratura italiana negli ultimi decenni, Ai soli distanti di Stefano Tassinari, in cui erano almeno tre le potenziali variabili interpretative di quei «soli»: «soli» col valore avverbiale di ‘unicamente’; «soli» come aggettivo sostantivato riferito a ‘individui soli’, dunque inevitabilmente distanti; e soprattutto «soli» in quanto stelle, moltiplicando distanze siderali nel richiamare tutte le galassie possibili esistenti oltre la nostra. In più, questi «soli distanti» potrebbero ricomprendere contemporaneamente il doppio senso di solitudini individuali brillanti e lontane come astri luminosi, come monadi a sé stanti. Qui non si entra però in una tale dimensione universale, si resta «terra terra», ci viene ricordato: «al centro della vita / restano i vestiti e le piante / che precedono i pensieri.» «Nella demenza che non sa impazzire» è un poemetto costituito di trentadue «concentratissime» stanze di sei versi, ciascuna come una pertica a sé, ficcata sulla pagina a scandire un passo, un ritmo. Queste quasi sestine nel loro insieme formano una misura, forse «segnaletiche provvisorie» anch’esse come «strisce pedonali». Pur legate da un tema di fondo comune, la prima guerra mondiale con le sue tracce sul e dentro il paesaggio odierno, risultano autonome, autosufficienti sintatticamente e concettualmente, iniziate ed esaurite sul punto fermo del periodo tranne la strofa diciassette che ne fa slittare la conclusione in quella successiva, la diciottesima, e la strofa ventitré chiusa da una frase di senso compiuto ma unita alla ventiquattresima senza stacco di separazione, creando una sorta di pseudo doppia sestina. Ricordare il tempo fa paura, ma così facendo si esorcizza nel contempo la paura. «Ecco. Paura. Grazie» è la risposta infatti data da un interlocutore straniato a chi colleziona reperti bellici quando questi gli «chiede / che cosa» lo «porta alla guerra / del quindici diciotto.» Allora forse sono pertiche anche «le persone» protagoniste delle «Lettere» che costituiscono una sezione omonima. Persone morte? Perdute? O ancora compartecipi attivamente della vita della voce che dedica loro i componimenti? In tutto il testo, si ha come l’impressione di assistere a un monologo, a un soliloquio di fronte al quale se esiste una presenza altra, costei sta immobile e in silenzio, manichino muto, sagoma stilizzata, silhouette filiforme, come una pertica, appunto, conficcata nel cuore.

(Giuseppe Bertoni)

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