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Scrittori latini dell'Europa medievale

di Paolo Garbini


Saluto con vivissimo apprezzamento la collana Scrittori latini dell’Europa medievale pubblicata dalla Pacini Editore di Ospedaletto (Pisa) perché si tratta di una novità assoluta nel panorama editoriale italiano. Questa è infatti la prima collana non accademica dedicata esclusivamente a opere del Medioevo latino, che sono presentate per la prima volta in traduzione italiana con testo a fronte e corredate da un’agile introduzione e da rapide note esplicative. L’impresa non è da poco e ha il merito impagabile di rendere accessibile a un pubblico colto ma largo una letteratura che oggi è ignota o quanto meno ritenuta esotica dai pochissimi che hanno sentito parlare se non altro di Eloisa e Abelardo. E invece non esotica, ma familiare dovrebbe essere la letteratura latina del Medioevo, e non solo in Italia ma in tutta Europa.

Ma cos’è questo oggetto, e perché dovrebbe esserci familiare? È un giacimento letterario preziosissimo e inesauribile: la letteratura latina medievale è un fenomeno che per durata, estensione e portata non ha avuto eguali nella storia della cultura dell’Occidente. Si tratta infatti di mille anni di testi, scritti per giunta in un’area che oltrepassa di molto i confini - che pure erano sterminati - dell’Impero Romano: in tutta quella che oggi è la nostra Europa, per dieci secoli è esistita una letteratura in latino. Nessuna letteratura è mai durata tanto nel tempo come espressione di uno spazio del mondo così ampio. Recentissimi conteggi generano sgomento: oltre 18.000 tra autori e testi anonimi. Un esercito, se si pensa che i testi della letteratura latina classica sono circa cinquecento: pochi scaffali contro una intera biblioteca. Eppure una amnesia totale sottrae questo giacimento preziosissimo e inesauribile all’orizzonte dell’uomo contemporaneo grazie alla secolare azione di agenti patogeni virulenti, quali sogliono essere i pregiudizi: dapprima quello dell’Umanesimo, con il suo mito classicista, poi quello del Romanticismo, con il suo ideale dell’originalità espressiva, infine quello idealista nel Novecento, con i suoi perentori confini tra poesia e non poesia. Si deve a questa reiterata messa al bando se la letteratura latina medievale, rispetto a quella classica, risulta vincente sotto il profilo della quantità di testi ma perdente dal punto di vista delle nostre conoscenze. Della letteratura latina classica, infatti, moltissimo è andato perduto ma in compenso sappiamo quasi tutto su ciò che è rimasto, perché a partire dal Quattrocento fino a oggi gli studi su questa letteratura non hanno conosciuto interruzioni e perciò disponiamo di una anagrafe completa di autori e opere e possiamo giovarci, quasi per ciascun testo, di molteplici edizioni, traduzioni, commenti. Tutto il materiale classico è stato per di più continuamente e variamente rimeditato da una abbondante tradizione di storie letterarie. Della letteratura latina medievale si è invece conservato moltissimo ma, per i pregiudizi evocati prima, si conosce ancora ben poco. Tanti testi meritevoli di attenzione sono tuttora inediti oppure sopravvivono in edizioni antiche; scarseggiano le storie letterarie e i vocabolari. Se si vogliono leggere opere anche importanti difficilmente si trova qualcosa sugli scaffali delle librerie; qualcosa si trova sugli scaffali elettrici della rete (però quasi mai con traduzione e commento), ma in genere si deve ancora ricorrere alle biblioteche specializzate e quando, come spesso accade, le opere sono inedite, si è costretti ad andare direttamente ai codici. Una volta procurati i testi o allestite edizioni critiche, non basta tuttavia immettere il tutto in rete se, oltre alla cerchia degli specialisti, nessuno sa cosa farsene di opere che giacciono incomprese nella loro muta alterità. Per questo l’iniziativa di Pacini è altamente meritoria: perché nella delicatissima fase di transizione mediatica che stiamo vivendo, cioè nel passaggio dal libro alla rete, c’è il pericolo che tanti capolavori e perfino intere letterature precipitino nel maelström della dimenticanza, che è quanto si è verificato nella tradizione occidentale durante altri cruciali periodi di passaggio: prima dall’oralità alla scrittura, poi dal rotolo di papiro al codice e quindi dal codice alla stampa. Ecco, tradurre significa far conoscere, e far conoscere è la condizione necessaria per sperare di salvare un tesoro ancora sepolto, prima che se ne perda la mappa.

Ma non ho ancora chiarito perché definisco familiare questa brumosa letteratura latina del Medioevo.

Brevemente, e partendo da un motivo generalissimo: l’Europa dei nostri giorni sta vivendo il tentativo di dare un senso di comunanza alle diverse componenti del Vecchio Continente, ma fatica a riconoscere una sua identità fondata su una memoria condivisa da tutti. Non bastano infatti l’unità di moneta e la comunione mercantile di oggi; e non è nemmeno sufficiente invocare le sole radici cristiane. D’altra parte è proprio nell’oblio di sé che l’identità rischia di appannarsi. In questa situazione, la conoscenza - il ricordo - della cultura mediolatina può fornire strumenti culturali utili per riuscire nel tentativo. Perché se è vero che in Europa, oltre alle più visitate cattedrali metropolitane, oggi non c’è paesino che non riconosca nel Medioevo le sue origini, è anche vero che, al di là del revival di balestre e belle dame, ai più sfugge la questione di fondo: perché ogni paesino d’Europa riconosce nel Medioevo le sue origini, quali che esse siano effettivamente? La letteratura latina medievale spiega proprio questo, raccontando di una composizione tra dispari, di una unità nella diversità, che un tempo è stata possibile: l’unità linguistica e culturale che ha tenuto compatto per secoli un continente sul quale si avvicendavano o anche coesistevano, come oggi, particolarismi politici (nazionali, regionali, cittadini) e, diversamente da oggi, aspirazioni politiche universali (la Chiesa e l’Impero). Disparatissimi per qualità, dislocati nel dovunque dell’Europa delle foreste, migliaia di uomini hanno consegnato certezze, terrori, aspirazioni, ossessioni a testi scritti in latino. Questo è il bello per chi entra nella letteratura latina medievale: con il dominio di una sola lingua, il mediolatino, si possono percorrere a piacimento mille anni e un intero continente e sempre, anche negli angoli più remoti del tempo e dello spazio, si coglie qualcosa di familiare. Questo punto merita una precisazione, perché ci si potrebbe chiedere per quale motivo l’identità culturale europea non si possa far risalire all’epoca dell’Impero Romano, dato che anche allora esisteva una unità linguistica in aggiunta, oltretutto, a quella politica. La risposta a questa domanda consente di specificare di quali materiali sia costituita la letteratura latina medievale. Il Medioevo latino bisogna immaginarlo tridimensionale, definito cioè da tre assi. Prima del Medioevo gli assi erano solo due: quello classico e quello cristiano. Queste due coordinate disegnavano il paesaggio – raffinato ma anche estenuato – della cultura latinocristiana tardo antica, sviluppatasi a partire dall’editto con cui Costantino nell’anno 313 aveva fornito libertà di culto al Cristianesimo e dai provvedimenti con cui alla fine di quel secolo Teodosio lo innalzò a religione di stato. Ma quando nel V secolo i Germani irrompono nei confini dell’Impero, in quel paesaggio ormai pacificato piomba dal Nord una cultura extra-classica, extra-cristiana, non scritta ma ricchissima di tradizioni folkloriche. Sembrò un meteorite ma in realtà era un fossile, recante impressi miti, storie, immagini e personaggi di duemila anni prima. Era un fossile, certo, però era carico di futuro perché dal suo impatto nacque un’epoca nuova. Questa novità trovò forma nella letteratura mediolatina, che è il luogo dove si sintetizzarono le culture classica, cristiana, germanica e celtica. Intrecciando gli elementi dell’Antico, della Sacra Scrittura e dell’oralità, la letteratura latina medievale racconta dunque la storia di quei giorni in cui c’eravamo ormai tutti quelli che oggi ci chiamiamo Europei.

Già da questa troppo abbreviata sintesi si può intravedere quello che da qualche decennio la critica sta mettendo sempre meglio in luce, e cioè che la letteratura latina medievale non è mera prosecuzione o copia sbiadita di quella classica ma è dotata di un suo volto. Certo, il Medioevo ha dovuto fare i conti con i classici, anzi se i classici sono giunti fino a noi è merito di copisti e filologi medievali, però la cultura mediolatina ha raggiunto una sua piena autonomia.

Autonomia letteraria. Si è detto della quantità sterminata di testi latini prodotti nei secoli del Medioevo. Eppure, per riprendere una felice immagine di Aron Ja. Gurevi , quel continente di testi non è che un’isoletta nel mare dell’oralità. Ma di cosa è fatto questo mare vocale che arriva incessante sulle coste delle pagine scritte? È il brusio senza fine dei parlanti che raccontano vite di santi miracolosi, storie di popoli scesi dal Nord, diari di viaggi orientali, avventure di pellegrini, confessioni in piazza di peccati quotidiani e inauditi, spiegazioni della Bibbia e della sua verità alle greggi di fedeli illetterati… è quell’immenso patrimonio di cultura non scritta, fatta di ‘testi mentali’, cioè prodotti dall’esperienza e raccontati, che giungono sulla pagina e si rapprendono a formare la narrativa mitologica e storiografica, la poesia epica, le omelie, le relazioni di viaggio, l’agiografia. In buona sostanza, la parte più cospicua della letteratura latina medievale. L’oralità, pur nella sua aerea fuggevolezza, è insomma la fonte che alimenta questa letteratura, più di quanto non abbiano fatto i classici. Questo costante passaggio dall’oralità alla scrittura implica il meccanismo della traduzione interna o meglio, poiché sono convinto della bontà dell’affermazione che scrivere è sempre tradurre (George Steiner, José Saramago), possiamo parlare di traduzione di secondo grado: l’esperienza è elaborata nella lingua madre – il volgare – e quindi convertita in latino. La letteratura latina medievale si può immaginare insomma come un gigantesco testo a fronte di un originale volgare soltanto pensato. E forse proprio questo ci chiede oggi, paradossalmente, la letteratura latina medievale: di essere riconvertita nelle lingue attuali per tornare a essere compresa da tutto il mondo Occidentale. Si tratta insomma di effettuare una traduzione di terzo grado. Ed è lo scopo, per l’appunto, che per l’Italia si prefigge questa nuova collana.

Come mostrano eloquentemente i primi dieci titoli pubblicati, alcuni antichi generi letterari sopravvivono, ma si riempiono di contenuti nuovi e di forme inaudite e, diventando così ben altro dal punto di partenza, altri generi nascono e prosperano e tutti si protendono veloci verso il futuro.

Gesta Berengarii. Scontro per il regno nell’Italia del X secolo, a cura di F. Stella, 2009: il genere è quello antico del poema epico, però la prospettiva è nazionale per un testo in cui convivono i classici e oralità. Il poema narra le gesta di Berengario fino alla sua incoronazione come imperatore a Roma nel 915. Un panegirico di corte, certamente, ma anche uno spaccato delle principali fonti della storia dell’Italia nel IX e X secolo e, dettaglio che impreziosisce il testo, la prima testimonianza – per l’Italia – che la lingua parlata dal popolo non era più il latino.

Nivardo di Gand, Le avventure di Rinaldo e Isengrimo. Libro I, a cura di F. Stella, 2009: è uno dei più evidenti casi di torsione di un genere antico, perché si tratta di un poema epico (ultimato nel 1152), ma intanto è scritto in distici (come ancora nel Medioevo per esempio il Carmen in honorem Hludovici Caesaris di Ermoldo Nigello, il Carmen de Hastingae Proelio di Guido di Amiens, il Draco Normannicus di Stefano di Rouen) e di fatto è una satira. È il capolavoro di quella piega satirica e animalesca che l’epica prende nel Medioevo (insieme con l’Ecbasis captivi del secolo X e lo Speculum stultorum di Nigello Witecker del XII) e che si ritroverà presto nelle letterature in volgare.

Eginardo, Traslazione e miracoli dei santi Marcellino e Pietro. Storia di scoperte e trafugamenti di reliquie nell’Europa carolingia, a cura di F. Stella, con testo latino a cura di C. Pérez González, 2009: un genere nuovo è l’agiografia, a sua volta articolata nei sottogeneri di passioni, vite, traslazioni e miracoli, e una translatio – che ha il sapore avvincente e giallo dell’intrigo internazionale – scrisse Eginardo, uno dei maggiori scrittori del Medioevo latino e certamente lo storico più importante dell’età carolingia, al quale si deve il ritratto di Carlo Magno che ha reso possibile la ricostruzione di questo gigante della storia.

Valafrido Strabone, Visione di Vetti. La più antica visione poetica dell’Aldilà, a cura di F. Stella 2009: ancora un genere nuovo, quelle visiones che apriranno lentamente la strada al capolavoro dantesco. Tra queste, la prima in forma poetica si deve al più grande poeta dell’età carolingia, qui appena diciottenne, che 58 Scrittori latini dell’Europa medievale XLVII 02/2012 La Resistenza dell’Antico inaugura una tradizione tipica del Medioevo. Un viaggio fra Inferno e Paradiso che apre squarci sulle figure principali del periodo, sulla vita di corti e abbazie, sui movimenti di riforma che agitavano il IX, una satira di costume e critica politica in versi di fattura epica.

Geri d’Arezzo, Lettere e dialogo d’amore, a cura di C. Cenni, 2009: ci consente di leggere tutto quel che rimane dell’opera di uno scrittore aretino posto al confine tra l’autunno del Medioevo e l’alba dell’Umanesimo ed elogiato da Francesco Petrarca e da Coluccio Salutati, che vide in lui il segno di una nuova luce culturale. Lettere in versi e in prosa e un trattatello sull’amore in una lingua di eleganza neoclassica aprono la visuale su un nuovo mondo culturale e un nuovo stile latino, che fanno la loro comparsa improvvisa e già matura quasi un secolo prima che l’Umanesimo esploda in tutta la sua fioritura. Con testo latino in nuova edizione critica.

Guido d’Arezzo, Liber Mitis. Un trattato di medicina fra XII e XIII secolo, a cura di P. Licciardello, 2009: un prodotto tipico della cultura scientifica medievale, il trattato di medicina di uno scienziato finora ignoto, Guido d’Arezzo, che per primo trasferì le conoscenze di Avicenna alla manualistica medica. Il Liber mitis si può definire complessivamente un trattato sulle purghe, ma contiene anche altri elementi clinici: eziologia, diagnosi e farmacopea, con molte ricette su come preparare purghe, elettuari, digestivi e lassativi. A dispetto della sua diffusione limitata e della sua conservazione così precaria, il Liber mitis riveste un ruolo di primo piano nella storia della medicina italiana.

Gervasio di Tilbury, Il libro delle meraviglie, a cura di E. Bartoli, 2009: il Medioevo più curioso di stranezze negli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury, punto di arrivo e di partenza di infinte leggende e uno dei più affascinanti prodotti (insieme con il De nugis curialium di Walter Map) della corte di Enrico II d’Inghilterra, che fu luogo eletto di promozione culturale nella seconda metà del secolo XII. Gli Otia Imperialia hanno goduto di una fortuna immediata e costante nei secoli, come dimostra l’abbondanza dei manoscritti e delle edizioni a stampa. Una collezione di meraviglie di storia, geografia e fisica, un serbatoio di luccicante fantasia narrativa per l’Europa intera.

Pietro Alfonsi, Disciplina Clericalis, a cura di E. D’Angelo, 2009: un testo senza pari, scritto da un ebreo spagnolo del secolo XII convertito al cristianesimo e conoscitore della cultura islamica, un caso luminoso di sintesi culturale nella Spagna che conosce i primi successi della Reconquista. Apparentemente niente di nuovo, trattandosi di libro scolastico dedicato alla formazione dei chierici, in realtà siamo di fronte a una geniale opera narrativa e di mediazione con la quale Pietro introduce all’interno della letteratura latina medievale temi e forme delle culture orientali, ebraica e araba. Un Medioevo capace di interrogare il diverso e di integrare il folklore più esotico, un testo lettissimo in epoca medievale e cava di materiali narrativi anche nei secoli a venire: Dante, Chaucer, Cervantes, Molière…

Carmina Cantabrigiensia, a cura di F. Lo Monaco, 2011: altri generi rivedono la luce dopo secoli, ma è una luce diversa, quasi stralunata; c’è ancora il sogno antico e c’è già l’annuncio di un nuovo fortunatissimo giorno poetico: è quanto abbiamo la fortuna di trovare in uno dei più antichi e importanti canzonieri latini medievali. La raccolta delle ‘canzoni di Cambridge’, risalente a un secolo prima dei ben più noti Carmina Burana, raccoglie le punte più alte della lirica latina del secolo XI e presenta per la prima volta, accanto alla poesia religiosa, anche temi profani: liriche politiche, comiche, erotiche, spirituali e pre-goliardiche in un’antologia destinata alle esibizioni dei menestrelli e conservata in un celebre manoscritto di Cambridge.

Abbone di Saint-Germain, L’assedio di Parigi, a cura di D. Manzoli: all’indomani dell’estenuante assedio posto dai vichinghi tra l’885 e l’889 a Parigi, che all’epoca era quasi tutta racchiusa nell’ île de la cité, il monaco Abbone di Saint-Germain-des-Prés, testimone oculare dei fatti nella sua abbazia allora davvero isolata in mezzo ai prati, scrive la prima opera medievale dedicata interamente a un assedio, i Bella Parisiacae urbis, un poemetto epico che risuona insieme come iperclassico (per via dei fanatici grecismi) e come avvincente e arcaica chanson de geste. Quella resistenza strenua, combattuta tra fiume e terra, e quel racconto di solidarietà vittoriosa procurarono alla Francia e all’Occidente una città destinata a diventare la Città: Parigi.

Sono ancora solo dieci titoli, ma bastevoli a incantare il lettore curioso di fare l’esperienza di una realtà letteraria dimenticata eppure tanto presente, accesa dalle luminescenze senza quiete di una fantasia mai spenta, nemmeno nei giorni in cui sembrava non esserci un domani.

Concludo con un plauso alla fattura pregevole dei libri prodotti da Pacini, con l’augurio che questa collana possa avere ancora lunga vita e costituire, per la conoscenza della letteratura europea del Medioevo latino, quello che la BUR è stata per le moderne letterature d’Europa.


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