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MONICA LUMACHI (a cura di), Patrie. Territori Mentali, Napoli, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 2009, pp. 304.

 

 

Il volume nasce come prodotto di una serie di conferenze organizzate all’interno di un seminario interdisciplinare che ruotava attorno ad un tema di rinnovata importanza nel panorama culturale contemporaneo: la definizione e lo sviluppo del concetto di ‘patria’ e il suo significato oggi. A partire infatti dalla fine degli anni Ottanta si assiste, in tutti i campi del sapere, ad una nuova rivalutazione dello spazio: se la predominante culturale della modernità era stata la categoria temporale, l’epoca contemporanea ha visto lo spostarsi dell’attenzione sulla sua dimensione spaziale. All’interno di questo nuovo approccio, quindi, il concetto di patria può essere riletto come «un ‘territorio mentale’, ovvero una costruzione culturale spazializzata» (p. 20).

Consapevole infatti dell’importanza a livello globale che tale formulazione ha assunto in prospettiva sia sincronica che diacronica, Monica Lumachi cura la pubblicazione di questa collettanea di contributi che abbracciano le più svariate aree geografiche e culturali del pianeta. Dagli Stati Uniti al Giappone, passando per l’Europa e l’Asia Centrale, muovendosi dall’epoca medievale alle soglie della contemporaneità, l’intenzione manifesta del volume è quella di far dialogare, attraverso le pagine, lingue e culture distanti geograficamente e temporalmente, nella convinzione che solo un approccio di tipo globale possa provvedere una definizione esaustiva del concetto di patria. Perché se è vero, come nota la Curatrice, che tale formulazione ha un’origine squisitamente europea, è altrettanto corretto affermare che le grandi realtà extraeuropee si sono trovate nell’urgenza di confrontarsi con questo concetto nel momento del loro incontro, a partire dall’Ottocento, con le spinte imperialistiche delle nazioni d’Europa.

Il volume si apre col saggio di Michele Bernardini, «Patrie turco-persiane nell’Islam classico» (pp. 27-54) che offre una ricostruzione accurata del rapporto sistemico fra i concetti di patria, analizzati dal punto di vista linguistico e storico culturale, in una vasta e variegata area geografica che abbraccia la regione che comprende l’odierna Turchia, l’Iran, l’Asia Centrale e si estende fino ai confini dell’India. Paolo Calvetti nel suo articolo «Note sul concetto di ‘stato’ e ‘nazione’ nel Giappone alla fine dell’Ottocento» (pp. 55-72) esplora da un punto di vista linguistico e lessicografico le variazioni e le innovazioni lessicali portate conseguentemente all’introduzione di concetti come stato, patria e nazione nel riassetto istituzionale del Giappone di fine XIX Secolo, ricostruendo con precisione filologica la storia dei lessemi atti a designare tali concetti.

La mancanza di territorialità è, come rileva Massimo Campanini nel suo contributo «La Patria araba» (pp. 73-90), la prima caratteristica che appartiene al concetto di patria nel mondo arabo: la sua scoperta e la successiva formulazione è frutto del contatto con i colonizzatori europei, e avviene dunque solo a cavallo fra Ottocento e Novecento. Donatella Guida invece ci mostra nel suo saggio «Una sola nazione. Dal sinocentrismo di età imperiale al nazionalismo del ventesimo secolo» (pp. 147-62) come sia fuorviante l’idea di una Cina come un’unità nazionale e culturale forte che attraversa immutata, dalle origini fino ad oggi, ventidue secoli di storia. È possibile infatti individuare un’evoluzione da una situazione pre-Ottocentesca, dove l’unità veniva simboleggiata dalla figura dell’Imperatore e dal suo peso politico-istituzionale, al dibattito intellettuale scaturito dall’incontro con le potenze militari e coloniali europee.

In ambito più prettamente europeo è invece interessante sottolineare come si crei un dualismo fra i paesi dell’Ovest dell’Europa – come la Spagna, la Francia, la Germania e l’Italia – e l’Est rappresentato nei contributi del volume da saggi specifici su Polonia e Repubblica Ceca. Se infatti nel saggio di Martine Van Geertruijden «Dalla difesa della lingua francese alla battaglia per la diversità linguistica. Francia e francofonia» (pp.271-98) la dimensione linguistica del francese risulta essere portatrice di forte unità nazionale e culturale, anche declinata nelle sue varianti parlate al di fuori dalla Francia, in Italia il concetto di patria si sviluppa da un processo dialettico tutt’altro che pacifico fra la dimensione storico-culturale delle élite intellettuali e artistiche e una realtà culturale regionale di provenienza popolare, come viene messo in evidenza da Michele Fatica nel suo contributo dal titolo «La patria Italia: sentimento, espressione geografica o figura retorica?» (pp. 105-46).

Camilla Miglio procede dall’opposizione dei concetti di Heimat e Vaterland nel suo saggio «Heimat. Una parola-mondo» (pp. 193-206) per sottolineare uno spostamento di attenzione da una dimensione originariamente spaziale e geografica ad una di tipo culturale, simboleggiata dall’elemento doppiamente etnico e linguistico. La situazione spagnola viene analizzata da Éncarnación Sánchez García nel contributo dal titolo «Da Al Andalus alle Indie. Patria e nazione nella Monarchia di Spagna tra Medioevo e Rinascimento» (pp. 251-70) nel momento di massima presenza di popolazioni di origine araba ed ebraica nella penisola iberica, e della loro conseguente espulsione per creare uno stato unito sotto un’unica corona e un’unica fede.

L’Europa dell’est invece rappresenta una situazione diversa, quella di imperi multinazionali per i quali, come ci ricorda Lumachi, il raggiungimento dell’unità nazionale costituisce un punto di arrivo (p. 20). E lo mostrano molto bene Alfredo Laudiero nel saggio «Tramonto dell’idea di patria? La parabola ceca» (pp. 163-92) e Paolo Morawski nel contributo dedicato alla situazione della Polonia «Si è ciò che si fa e si porta in dote. Sull’identità polacca» (pp. 207-50). Chiudiamo la rassegna con uno sguardo all’America del Nord grazie al contributo di Sonia Di Loreto, intitolato «Indian deed e gift outright. Territorio, nazione e proprietà negli Stati Uniti» (pp. 91-104) nel quale viene compiuta un’analisi culturale sul legame fra possesso materiale del territorio e concetto di Homeland nella cultura statunitense.

Per ammissione della stessa curatrice, la varietà dei contributi non esaurisce tutte le declinazioni del tema che avrebbero potuto essere prese in considerazione, perché non annovera realtà geografiche come quella della Gran Bretagna, gli spazi coloniali o formulazioni concettuali ben più complesse come la letteratura della migrazione o quella dell’esilio, nelle quali entra in gioco la polarità fra prima e seconda patria, la tensione fra il luogo di nascita e quello di posizionamento, temporaneo o permanente. Tuttavia, il respiro globale e il dialogo che si instaura fra civiltà e formulazioni distanti sia geograficamente che culturalmente è di sicuro il punto di forza del volume, e insieme un’occasione per ripensare la realtà contemporanea in una dimensione transnazionale, evidenziando le dinamiche di scambio e la circolazione di idee e concetti a livello mondiale che hanno plasmato la nuova dimensione globale della cultura di oggi.

 

(Francesco Eugenio Barbieri)

 


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