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MASSIMO SANNELLI, Scuola di poesia, Montecassiano (MC), Vydia editore, 2011, pp. 145, €15,00.

 

 

Questo non è propriamente un libro di poesia anche se sarebbe difficile collocare questa breve scheda tra le recensioni dedicate agli Strumenti di ricerca e di lettura. Si tratta di una serie di interventi e riflessioni sulla poesia di oggi in molte delle sue forme (per es. il Teatro di poesia), con efficaci ritorni sul passato recente e sul Me- dioevo, ma diventa un libro di poesia per la sua posizione all’interno dell’opera: perché chiude un vuoto, quello del lungo silenzio di uno dei migliori poeti italiani tra la fine dei Novanta e l’inizio degli ‘anni zero’. D’altra parte, il libro sul fare la poesia diventa libro di poesia, non solo perché la riflessione sul fare poesia è l’altro capo di uno stesso gesto concettuale ma anche, e molto nettamente, dal punto di vista formale. L’andamento aforistico e rapsodico della scrittura crea nessi di una chiarezza impressionante. Ecco alcuni esempi: «un altro buon Nome è Raboni, che poté permettersi di dire ‘accendino’ e ‘nescafé’ come se avesse scritto ‘intelletto d’amore’ e ‘anima’»; «L’umile Italia [e la sua lingua-uccello, musicale] è il pezzetto di un pezzo. Un frammento di Occidente», «citare è un istituto spietato», e, oltre la pertinenza letteraria: «Anoressia e perfezionismo camminano insieme, come figli di un unico Disamore comunitario». Spesso invece la chiarezza ricercata è ambigua: «Infatti la chiarezza non è chiara. La chiarezza è un risultato, non uno stato. Per molti di noi la chiarezza è solo una catena volontaria», e vale dunque per Sannelli quanto è detto qui di Pasolini: «La tendenza stilistica di Pasolini è questa: sintassi e lessico comuni e comprensibili, significato allusivo e oscuro». Chiara non è dunque in sé la piega immediata degli enunciati, ma, si direbbe, l’offerta dei medesimi, un’esposizione della lingua e della sintassi come qualcosa che deve prima emergere, una chiarezza di sola luce prima, e solo dopo serva da guida propedeutica all’apprendimento della referenzialità e della comunicabilità. Ma questo non è nemmeno un libro di poetica propriamente. Ogni nucleo di pensiero critico si sviluppa seguendo il gesto della mano che scrive. Ne esce una collezione di riflessioni certamente anche molto organizzate ma che si direbbe che nascano per essere consegnate alla pres- sione liquida della prosa. È una pressione mobile che determina un’alternanza di punti di forza e di zone di una ricercata non resistenza o ‘non violenza’ dello stile. Vale quasi come una dichiarazione di intenti: «ho scritto abbozzi e appunti per spettacoli che NON VOGLIO né dominare né dirigere». Viene inoltre anche da pensare che la poesia in versi possa essere considerata eccesso di stile, forse anche violenza, e che per questo possa mettersi, momentaneamente, da parte: «la poesia esiste. la poesia può toccare molti. si vanta e si gonfia [a differenza della carità], e spezza il silenzio». Peraltro, non manca nel testo una versalità lineare appena mascherata dall’orizzontalità della prosa: «ora guarderò da un’altra parte [posso farlo] o mi allontano [posso farlo], o preparo altre persone [posso farlo] o mi dedico ad altro [voglio farlo], o se dico un addio [devo farlo] a “questo pezzo di me”. Che amore è». E la prosa è una prosa vocale, che può scandirsi con le pause ‘respirate’ della poesia: «Ora pensiamo che ci sia un corpo. Immaginiamolo vivo. Poiché è vivo, è attraversato da aria che entra ed esce. Il corpo ha cavità e risuonatori: dunque è uno strumento. La voce è aria intonata, dall’interno – il ventre – del corpo; esce dalla bocca, che mangia il cibo e prega e bacia e fa godere [è sempre la stessa bocca]». Forse vale per la poesia quello che è detto valere del desiderio: «e anche il sesso è morto. / o meglio: il sesso è diventato informe: è ciò di cui si parla – in assenza o per eccesso di desiderio. Intanto il desiderio si spreca». Verrebbe quasi da interpretarsi come affermazione per cui la prosa non possiede il corpo sessuato del testo, è invece lo spazio metrico fecondo di Amelia Rosselli (vero orizzonte tutelare del lavoro di Sannelli), quel terreno fertile in cui le forme poetiche e ritmiche nascono e si sciolgono come in una terra che le nutre, come scriveva Walter Benjamin (Il concetto di critica nel romanticismo tedesco), ad autocommento dell’assioma che potrebbe ben figurare anche ad epigrafe di questo libro di Sannelli: «L’idea della poesia è la prosa». E valga anche come auspicio di bentornato.

(Fabio Zinelli)


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