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JAN WAGNER, Guerickes Sperling, Berlin, Berlin Verlag 2004, pp. 84, € 16,00.

L’immagine che chiude il volume di liriche Guerikes Sperling, seconda prova poetica di Jan Wagner, è quella della spedizione di Shackleton in Antartide nel 1915, quando l’equipaggio della nave affondata trovò scampo in una scialuppa su cui restò per cinque mesi: «es frißt sich von den rändern bis zum herzen / der scholle stetig vor. dort kauern wir, / vom ruß verklebt, wie lettern nach dem schwärzen. / die blanke fläche. dieses blatt papier.» (si consuma dai bordi fino al cuore / la lastra di ghiaccio, senza sosta. qui stiamo, / incollati dalla fuliggine come lettere dopo l’annerimento. / la superficie bianca. questo foglio di carta.) La variante ‘polare’ della metafora del paesaggio come foglio scritto ci presenta implicitamente la poesia nella situazione di un naufrago alla deriva, in attesa di essere ritrovato, un’immagine che potrebbe essere anche vista come rimando al celaniano «messaggio nella bottiglia» dell’allocuzione per il premio della città di Brema. Ma dove Celan evidenziava soprattutto un’urgenza di dialogo (l’importanza del messaggio e della speranza di trovare un interlocutore), nell’immagine di Jan Wagner, nato nel 1971 e già noto per il suo precedente volume Probebohrung im Himmel (2001), l’accento sembra cadere sulla condizione di abbandono a se stessa della scrittura poetica, una condizione di cui la sua produzione lirica è espressione emblematica.
Poesia di viaggio e d’occasione, poesia stagionale, descrizioni di quadri (il ritratto di Massimiliano I di Dürer in granatapfel), riflessioni su personaggi storici (kolumbus, saint-just): le composizioni di Wagner attraversano tutta la canonica gamma tipologica dell’esperienza lirica, anche se proprio in tale varietà sembra emergere già in prima istanza una certa casualità del momento tematicocontenutistico. La copertina nera, su cui spiccano i volti inquietanti del quadro The Experiment di Joseph Wright of Derby, richiamando alla mente il passero sacrificato alla scienza nell’esperimento di Otto von Guericke a cui si riferiscono il titolo del volume (Guerickes Sperling) e la poesia omonima, sembra suggerire un’indagine sugli abissi del moderno sulle orme di Durs Grünbein. Sarebbe tuttavia errato – per quanto forse editorialmente proficuo – inserire la poesia di Jan Wagner nella scia neo-benniana inaugurata da Grünbein, seppure non manchino nella breve raccolta richiami più o meno espliciti al tono riflessivo-sarcastico del poeta di Dresda, come in hauch, dove il «respiro » del titolo intende allo stesso tempo l’alito/anima di un morto per incidente, e il profumo (Chanel 5) di una donna che a margine osserva l’accaduto.
È in realtà difficile, ma forse anche indebito, cercare nel breve volume di Wagner una definita linea poetologica che, al di là degli interessanti e complessi accostamenti simbolici e di uno sguardo straniato su un reale che è anche e soprattutto ‘storia’, tocchi essenziali nodi sociali o esistenziali. Le composizioni di Jan Wagner vivono invece di un giuoco tutto interno alla poesia stessa e di valore eminentemente musicale.
Tale musicalità si sviluppa anche e soprattutto nella ripresa di forme e strutture liriche tradizionali che porta l’autore a cimentarsi, oltre che con moduli rimici e ritmici noti, con modelli più esotici per la lirica tedesca, come l’haiku (il ciclo ein japanischer ofen im norden), la catena di sonetti (görlitz), la canzone sestina (der veteranengarten). Tale poesia nasce, come è evidente, sotto il segno dell’eclettismo e di una apparente naturalezza del rapporto con la tradizione, sebbene forme chiuse, strutture ritmiche più o meno complesse non abbiano qui valenza sostanziale. Esse non affermano, ma al tempo stesso non negano, testimoniando piuttosto la volontà di recuperare una certa ‘piacevolezza’ della lettura, affrancando la poesia da un eccessivo carico di responsabilità. La composizioni di Wagner mirano al piacere di riconoscere il flusso delle melodie o di identificarne i toni discordanti, di scoprire le sottili divergenze che sorprendono – almeno inizialmente – il lettore, ad esempio nel raffinatissimo giuoco delle rime imperfette (come nella poesia introduttiva botanischer garten: «kahl-kühl»; «wachs-gewächs»; «verdrehte-drähten») o spezzate per tmesi.
In questo senso la lirica di Jan Wagner può essere ricollegata, quale variante ‘seria’, alla tendenza diffusa nella poesia tedesca contemporanea che connette il recupero di strutture liriche tradizionali a una ritrovata immediatezza espressiva e che è di norma legata a contenuti comico- umoristici, come testimoniano ad esempio i lavori di Steffen Jacobs. Ma anche tale immediatezza dell’espressione, che pure sembra superare l’autismo di un certo avanguardismo di ritorno, non può facilmente eludere la questione di ‘cosa’ debba essere comunicato, senso e motore di ogni comunicazione. E ciò significherebbe in ultima analisi anche ridefinire spazi, potenzialità, limiti della poesia, destinata altrimenti a rimanere bloccata tra i ghiacci, nella condizione di isolamento e precarietà esistenziale dei naufraghi di Jan Wagner.

Paolo Scotini
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