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GHIANNIS RITSOS, Pietre, Ripetizioni, Sbarre, a cura di Nicola Crocetti, prefazione di Louis Aragon, Milano, Crocetti 2004, pp. 174, € 14,90.

Il volume, curato da Nicola Crocetti con una commovente testimonianza di Louis Aragon a Prefazione, presenta tre raccolte poetiche composte tra il 1968 e il 1969, pubblicate prima in Francia nel ’69 da Gallimard, con traduzione francese, e solo nel 1971 in Grecia. La peculiarità di Pietre, scritta tra maggio e ottobre del 1968 nell’isola di Leros, dove il poeta era deportato politico, è l’elemento autobiografico. Le pietre sono quelle del paesaggio di Leros: «Non restarono che le pietre. Dobbiamo arrangiarci con queste, adesso; / con queste, con queste, – ripete. Quando la notte scende / dall’alto sul monte livido e getta nel pozzo le nostre chiavi, / mie pietre, mie pietre, – dice – potessi scolpire uno per uno i miei volti sconosciuti e il mio corpo» (Con queste pietre). Esse sono l’unica certezza in una realtà sopraffatta dall’angoscia, dalla morte, dalla solitudine: «Gli uomini dentro le proprie giare – ciascuno nella sua. / (...) Grosse giare ronzano tutt’intorno alle giare di Beckett» (Fotograficamente). Il canto di Ritsos è il canto di un poeta umiliato perché non può esprimersi liberamente, ferito dagli eventi che tormentano il suo Paese. Con uno stile prosastico, dal ritmo lento e dal fraseggio a volte lungo invita alla riflessione sulla libertà tradita. Quando descrive le torture, il ritmo versificatorio diventa più veloce, più intenso: «Caduto lì, bocconi; il mento nella terra; il collo / serrato tra i ginocchi dell’altro; – quasi cianotico; le vene gonfie sulle tempie. Immobile. / Un movimento; – l’estremo spasmo? Chiudi gli occhi. No, no» (Necessariamente). La raccolta si conclude con un inno alla vita e a ciò che di più prezioso ha l’uomo, la libertà: «Pietre, pietre scorticate fino in cima. / Accanto, nel basso fondale, s’udì / il secondo, il terzo salto d’un pesce. / Immensa, estatica orfanezza – libertà» (Notte).
Il valore della memoria, anche collettiva (di impronta kavafiana), appare fin dai primi versi di Ripetizioni, raccolta iniziata nel 1968 a Leros e completata nell’estate del 1969 nell’isola di Samos (dove il poeta si trovava agli arresti domiciliari): «Ripetizioni – dice, – ripetizioni senza fine; – che stanchezza mio Dio; / tutto il mutamento è solo nelle sfumature – Giasone, Odisseo, Colchide, Troia, / Minotauro, Talo, – e proprio in queste sfumature / tutto l’inganno e la bellezza a un tempo – opera nostra» (Talo). Le sfumature segnano la storia, e l’ispirazione storico- mitologica della raccolta (con un richiamo ai miti dell’età preistorica e storica della Grecia). La corrispondenza tra eventi del passato e realtà presente è chiara senza mai diventare esplicita, per via della censura politica: il mito assurge a metafora della realtà e, al pari di essa, è rappresentato nella sua molteplicità.
Dopo questa pausa di riflessione sulla storia, il leitmotiv di Pietre (il presente vissuto nella sua cruda realtà) traspare sin dalla lirica introduttiva, L’ultimo obolo, di Sbarre, la terza raccolta, scritta a Samo nel 1969: «Ore difficili, difficili per il nostro Paese. E lui, fiero, / nudo, indifeso, debole, lasciò che lo aiutassero; / hanno fatto ipoteche su di lui; accampano diritti, esigono; / parlano in sua vece; gli impongono il respiro, il passo; / gli fanno l’elemosina; lo rivestono con altri abiti troppo larghi e cadenti, gli legano una cima ai fianchi». Il senso di morte, l’angoscia, il pessimismo di questa prima poesia sono confermati dalla maggior parte dei versi di questa raccolta, contraddistinti dal tono prosastico. In molte di queste poesie si descrivono gli arresti degli oppositori al regime (Mandato di comparizione), le torture (Notti di reclusione), la vita in carcere (Imprevisti abituali), le condanne a morte (Nonostante tutto, Raffigurazione), le umiliazioni subite dai perseguitati politici (Perquisizione), gli interrogatori (Uffici istruttorii). Il ritmo prosastico del verso si fa incalzante, la scrittura, a tratti, ha la peculiarità di una rappresentazione onirica. Ma il messaggio del poeta, connotato da un sentimento di delusione (e come potrebbe essere diversamente, quando nasce dalla sofferenza e dalla privazione della libertà?) diventa, alla fine, un invito a sperare, con la Rinascita della vita dopo tanto soffrire: «Da anni più nessuno si è occupato del giardino. Eppure / quest’anno – maggio, giugno – è rifiorito da solo, / è divampato tutto fino all’inferriata, – mille rose, / mille garofani, mille gerani, mille piselli odorosi - / viola, arancione, verde, rosso e giallo, / colori – colori-ali; – tanto che la donna uscì di nuovo / a dare l’acqua col suo vecchio innaffiatoio – di nuovo bella, / serena, con una convinzione indefinibile ».
[G.M.]

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La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

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