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TRADURRE LA POESIA DI YVES BONNEFOY: VERSO UNA SINTASSI DELLA PRESENZA
di Fabio Scotto

La mia collaborazione in qualità di poeta-traduttore e critico con Yves Bonnefoy inizia attorno al 1997-1998 a seguito di una proposta da parte di Marco Fazzini, direttore della Collana di poesia straniera contemporanea "I dardi del poeta" delle Edizioni del Bradipo di Lugo di curare una silloge del grande poeta francese, proposta da me accettata con vivo entusiasmo. Ne viene una prima ampia scelta di poesie e prose poetiche tratte da La vie errante1, pubblicate col titolo La vita errante2 nel 1999. Segue, due anni dopo, la raccolta di versi La pioggia d’estate3, anticipazione italiana dell’ultima raccolta francese Les planches courbes4, che contiene una sezione, "La voix lointaine", mai apparsa prima in francese. A questi due libri, illustrati dal pittore franco-iraniano Farhad Ostovani per espresso desiderio di Bonnefoy, fanno seguito quest’anno le due edizioni d’arte Neuf pierres5, illustrata da Angelo Garoglio, che in larga parte ripropone poesie apparse nei due volumi precedenti a mia cura summenzionati, e La casa natale6, con sei tavole originali di Oscar Piattella, edizione bilingue che riproduce integralmente tradotta l’omonima sezione "La maison natale" de Les planches courbes. Parallelamente si sviluppa il progetto antologico commissionatomi dall’editore Nicola Crocetti di un volume che dia conto, in modo quanto più originale e completo possibile, dell’intero percorso poetico dell’Autore, da cui l’appena uscito Seguendo un fuoco. Poesie scelte 1953-20017, concepito da Bonnefoy e da me come una sorta di concordata auto-antologia fondata sulla funzione "transitiva"8, ovvero sull’incontro con luoghi geografici, dell’arte e della memoria ‘inseguendo’ il ‘fulgore’ dei quali sia scaturita la sua poesia. Tale libro, dopo il pur già ampio e considerevole (ma purtroppo fuori commercio) L’acqua che fugge9, curato da Maria Clelia Cardona, costituisce attualmente il più vasto e aggiornato percorso antologico mai dedicato all’opera di Bonnefoy in Italia.
Al lavoro traduttivo su questi volumi si accompagna un’approfondita riflessione critica testimoniata, oltre che dai saggi introduttivi di prefazione agli stessi, anche da altri studi sull’Autore pubblicati in Francia10 e da un lavoro particolarmente vasto e impegnativo di direzione ed edizione scientifica di un numero della rivista parigina "Europe"11 apparso quest’anno in occasione dell’ottantesimo compleanno del poeta.
Queste informazioni bibliografiche per significare quanto, seppur relativamente recente, il rapporto con Bonnefoy sia da qualche anno in qua per me intenso e prolifico, sia sul piano della ri-creazione letteraria che dello studio critico. Esso si è consolidato e cementato nel tempo e nel lavoro comune grazie a un fitto carteggio, inframmezzato da nostri incontri di lavoro in Italia e in Francia, carteggio una parte cospicua del quale verte su casi di traduzione e di messa a punto dei suoi libri a mia cura. In questa sede manca lo spazio per darne dettagliatamente conto, ma basti sottolineare quanto la supervisione del poeta si sia dimostrata preziosa, quando non anche rivelatrice, per il suo interprete italiano, e come questo, grazie all’amicizia e alla reciproca stima e fiducia, abbia sicuramente contribuito al buon esito, almeno spero, di questi tentativi, fino a farne il luogo dell’incontro per entrambi maieutico e della condivisione dell’esperienza creativo-espressiva. Nel caso delle prose de La vita errante, una delle maggiori difficoltà con le quali mi sono dovuto confrontare è stata l’articolazione di quelle che Bonnefoy chiama "la petite phrase" e "la longue phrase"12, ovvero ‘la frase breve’, spesso metaforicamente ellittica, e la ‘frase lunga’, con le sue segrete contorsioni sintattiche e verbali. Di fronte a queste due modalità verbali, spesso co-presenti nel medesimo testo, ho sempre cercato di riprodurne la rispettiva lunghezza e brevità, consapevole del loro costituire senso in quella specifica durée formale che ogni altra spezzatura avrebbe arbitrariamente alterato, in ciò fedele a un mio fermo principio traduttivo personale che cerca la riproduzione dell’‘effetto’, quando non anche dell’‘affetto’ (nel senso della valenza affettiva dell’originale), piuttosto che la parafrasi o l’adattamento esplicativo. Per questo una particolare attenzione è stata rivolta anche alla riproduzione della punteggiatura e del tempo che essa scandisce, anche in ragione dell’importanza attribuitale dall’Autore, insomma una cura ‘ritmica’ non meramente metrico-fonica, ma anche sensibile alla specificità vocale e testuale dell’universo di partenza. Inoltre, come ben illustra Michèle Finck nel suo pregevole studio Yves Bonnefoy le simple et le sens13, contro la tentazione dell’‘arte’, che sostituisce la bellezza estetica all’esperienza immediata e imperfetta del vissuto, Bonnefoy mette in atto una necessaria strategia di "désécriture " (de-scrittura), allo scopo di contrapporre alla fascinazione del linguaggio un’etica dell’"imperfezione" e della parola sofferente, la quale approda al senso attraverso le oscurità del non-senso. Questo orientamento di poetica è alla base di tutta una serie di "sregolamenti" sintattici fondati sulla brevità e su talune licenze grammaticali, come l’uso transitivo di un verbo intransitivo, l’uso sospensivo della preposizione "de", la creazione di neologismi verbali di matrice negativa a partire dal suffisso "de" ("désempierré", "décrucifié"), o l’ablazione di parti del discorso che evidenzino il ruolo performativo del linguaggio, oppure la confusione di categorie grammaticali, come, ad esempio, nell’invocazione lirica, l’uso dell’interiezione "ô" seguita da un aggettivo di valore nominale, invece che da un sostantivo ("ô proche", "ô monotone et sourde"), o ancora l’ellissi del determinante, di frequente soppresso, quasi a voler significare una tendenza alla ‘sostanzialità’ designata dal ‘sostantivo’ in un contesto, per citare Genette, "dégrammaticalisé"14che sostituisce all’unità sintattica un’unità ritmica. La complessità di questo lavoro sulla lingua, che intende superare l’estetismo per approdare al senso ritrovato della poesia, può essere paradigmaticamente in parte ritrovata in un esempio testuale come il seguente:

De grands blocs rouges Grandi blocchi rossi
Il se demandait comment il pourrait dire ces grands blocs rouges, cette eau grise, argentée, qui glissait entre eux et le silence, ce lichen sombre à diverses hauteurs du chaos des pierres. Il se demandait quels mots pourraient entrer comme son regard le faisait en cet instant même dans les anfractuosités du roc, ou prendre part à l’emmêlement des buissons sous les branches basses, devant ce bord de falaise qui dévalait sous ses pas parmi encore des ronces et des affleurements de safre taché de rouille. Pourquoi n’y a-t-il pas un vocable pour désigner par rien que quelques syllabes ces feuilles mortes et ces poussières qui tournent dans un remous de la brise? Un autre pour dénommer à lui seul de façon spécifique autant que précise l’instant où un moucheron se détache de la masse de tous les autres, au-dessus des prunes pourries dans l’herbe, puis y revient, boucle vécue sans conscience, signe privé de sens autant que fait privé d’être, mais un absolu tout de même, à lui seul aussi vaste que tout l’abîme du ciel? Et ces nuages, dans leur position de juste à présent, couleurs et formes? Et ces coulées de sable dans l’herbe auprès du ruisseau? Et ce petit mouvement de la tête brusque du merle qui s’est posé sans raison, qui va s’envoler sans raison? Comment se fait-il qu’auprès de si peu des aspects du monde le langage ait consenti à venir, non pour peiner à la connaissance mais pour trouver repos dans l’évidence rêveuse, posant sa tête aux yeux clos contre l’épaule des choses? Quelle perte, nommer! Quel leurre, parler! Et quelle tâche lui est laissée, à lui qui s’interroge ainsi devant la terre qu’il aime et qu’il voudrait dire, quelle tâche sans fin pour simplement ne faire qu’un avec elle! Quelle tâche que l’on conçoit de l’enfance, et que l’on vit de rêver possible, et que l’on meurt de ne pouvoir accomplir! Si chiedeva come avrebbe potuto dire quei grandi blocchi rossi, quell’acqua grigia, argentata, che scorreva tra essi in silenzio, quel lichene scuro a varie altezze dal caos delle pietre. Si chiedeva quali parole sarebbero potute entrare come faceva il suo sguardo in quello stesso istante nelle anfrattuosità della roccia, o confondersi all’intrico dei cespugli sotto i rami bassi, di fronte a quell’orlo di scogliera che precipitava giù sotto i suoi passi tra altri rovi e affioramenti di arenaria macchiata di ruggine. Perché non esiste un vocabolo che indichi soltanto con poche sillabe quelle foglie morte e quel pulviscolo che volteggiano in un vortice della brezza? Un altro che denomini da solo in modo tanto specifico quanto preciso l’istante in cui un moscerino si stacca dalla massa di tutti gli altri, al di sopra delle prugne marce sull’erba, poi vi ritorna, giravolta vissuta incoscientemente, segno privato di senso quanto fatto privato d’essere, ma un assoluto lo stesso, vasto da solo quanto l’intero abisso del cielo? E quelle nuvole, nell’esatta loro posizione attuale, colori e forme? E quelle colate di sabbia nell’erba accanto al ruscello? E quel leggero movimento del capo agile del merlo che si è posato senza motivo, che volerà via senza motivo? Com’è che di fronte a così pochi aspetti del mondo il linguaggio abbia acconsentito a venire, non per faticare a conoscere ma per trovare riposo nell’evidenza sognante, appoggiando il suo capo dagli occhi chiusi contro la spalla delle cose? Che perdita, nominare! Che inganno, parlare! E che compito è affidato a lui, che così s’interroga davanti alla terra che ama e che vorrebbe dire, che compito infinito semplicemente per far tutt’uno con essa! Che compito che concepiamo fin dall’infanzia, e che viviamo di sognare possibile, e che moriamo di non poter realizzare!15

Nella traduzione ho optato per le opportune equivalenze sintattiche nell’uso dei tempi verbali rendendo con il condizionale passato il condizionale presente ("come avrebbe potuto dire" per "comment il pourrait"), o per il ricorso alla relativa e al congiuntivo in luogo dell’infinitiva di valore finale ("un vocabolo che indichi" per "un vocable pour désigner"). Mi è parso opportuno altresì l’uso della modulazione che traducesse con un verbo di significato mimetico il senso della locuzione verbale ("confondersi all’intrico dei cespugli" per "prendre part à l’emmêlement des buissons"). Frequenti anche le trasposizioni avverbio-aggettivo ("tra altri rovi" per "parmi encore des ronces"), nome-avverbio ("giravolta vissuta incoscientemente" per "bouche vécue sans conscience "), nome-verbo ("non per far faticare a conoscere" per "non pour peiner à la connaissance") che rivelano un certo necessario dinamismo nella ricerca di un’esatta corrispondenza grammaticale. L’effetto onomatopeico di concatenazione delle serie prosodiche assonantiche e consonantiche è una preoccupazione costantemente presente nella mia riproduzione dell’elemento musicale del testo; nel caso seguente rendendo l’idea del rumore delle foglie prese nel turbinio del vento, che nell’originale è contrassegnata dai gruppi consonantici "rt", "br" e dal suono delle fricative labiali ("f") e dentali ("s"), con il mantenimento del gruppo consonantico "rt" e con la ripresa, attraverso l’anafora fonica della "v" ("volteggiano", "vortice "), delle occorrenze del dittongo "ou" ("tournent", remous") dell’originale, con in più una reiterazione di tre vocaboli sdruccioli proparossitoni ravvicinati ("pulvíscolo ", "voltéggiano", "vòrtice") e l’intensa ‘pungenza’ vocalica delle "e" e delle "i" qui, per così dire, a sferzare la faccia. Qui di seguito li evidenzio:

Ces feuilles MoRTes et Ces pOUssièRes qui TOURnent dans un RemOUs de la bRise.
QueLLe foglie moRTe e QueL puLViscoLo che VoLTeggiano in un VoRTice deLLa bRezza.

Inoltre, la scelta di tradurre con il deittico più distanziante "quello" il dimostrativo anaforico "ces" intende marcare l’idea di una distanza, seppure prossima, che è insita nel ricordo. L’ordine progressivo italiano è ripristinato in due casi eloquenti ("vasto da solo" per "à lui seul aussi vaste"; "quelle nuvole, nell’esatta loro posizione" per "ces nuages dans leur position de juste"), per ovvia loro maggiore efficacia stilistica nella lingua traducente, analogamente come per la postposizione del "per" all’avverbio, in posizione antecedente nell’originale ("semplicemente per" in luogo di "pour simplement").
Mi sono sforzato di serbare l’intera complessità sintattico- fonico-ritmica dell’originale, solo sbrogliando, qua e là, dove il groviglio si faceva troppo greve, il tracciato testuale, sempre però evitando il puro letteralismo, semmai tendendo alla ri-creazione della ‘lettera’ e dello ‘spirito’ dell’originale, di quel tutto costituito dalla co-presenza di molteplici elementi egualmente importanti nella tela poetica disegnata dalla prosa.
Venendo ora a Seguendo un fuoco – opera che, seppur largamente inedita, riprende, con varianti, alcune pagine de La vita errante, de La pioggia d’estate e de La casa natale –, propongo, a titolo d’esempio, un’analisi comparata di tre versioni dello stesso testo, la mia e le due che la hanno preceduta, allo scopo di mostrare la varietà delle soluzioni e l’idea della lingua e della poetica che ne emana:

L’épervier Lo Sparviero (trad. di Maria Clelia Cardona)
Il y a nombre d’années, Molti anni fa,
A V., A V.
Nous avons vu le temps venir au-devant de nous Abbiamo visto il tempo venire di fronte a noi
Qui regardions par la fenêtre ouverte Che guardavamo dalla finestra aperta
De la chambre au-dessus de la chapelle. Della camera sopra la cappella.
C’était un épervier Era uno sparviero
Qui regagnait son nid au creux du mur. Che tornava al suo nido nella crepa del muro.
Il tenait dans son bec un serpent mort. Teneva nel becco un serpente morto.
Quand il nous vit Quando ci vide
Il cria de colère et d’angoisse pure Urlò di collera e d’angoscia pura
Mais sans lâcher sa proie et, immobile Senza però lasciare la sua preda e, immobile,
Dans la lumière de l’aube, Nella luce dell’alba,
Il forma avec elle le signe même Formò con lei il segno stesso
Du début, du milieu et de la fin. Dell’inizio, del mezzo e della fine.
Et il y avait là E c’erano là
Dans le pays d’été, très près du ciel, Nel paese d’estate, vicinissimo al cielo,
Nombre de vases, serrés; et de chacun Molti vasi, uno all’altro accostati; e da ciascuno
S’élevait une flamme; et de chaque flamme Si levava una fiamma; e di ogni fiamma
La couleur était autre, qui bruissait, Diverso era il colore, che frusciava,
Vapeur ou rêve, ou monde, sous l’étoile. Vapore o sogno, o mondo, sotto la stella.
On eût dit d’un affairement d’âmes, attendues L’avresti detto un affaccendarsi di anime, attese
À un appontement au bout d’une île. Ad un pontile in capo a un’isola.
Je croyais même entendre des mots, ou presque Credevo anche di udire parole, o quasi
(Presque, soit par défaut, soit par excès (Quasi, sia per difetto sia per eccesso
De la puissance infirme du langage), Dell’infermo potere della lingua),
Passer, comme un frémissement de la chaleur Passare, come un ronzio del calore
Dans l’air phosphorescent qui ne faisait qu’une Nell’aria fosforescente che solo uno faceva
De toutes ces couleurs dont il me semblait Di tutti quei colori dei quali mi sembrava
Que certaines, au loin, m’étaient inconnues. Che alcuni, da lontano, mi fossero ignoti.
Je les touchais, elles ne brûlaient pas. Li toccavo, non bruciavano.
J’y avançais la main, non, je ne prenais rien Allungavo la mano, no, non afferravo
De ces grappes d’un autre fruit que la lumière.16 Da quei grappoli di un frutto altro che la luce.17
Lo sparviero (trad. di Davide Bracaglia) Lo sparviero (trad. di Fabio Scotto)
Tanti anni fa, Tanti anni fa,
A V., A V.,
Abbiamo visto il tempo giungere dinanzi a noi Abbiamo visto il tempo venirci incontro
Che guardavamo dalla finestra aperta Noi che guardavamo dalla finestra aperta
Della camera sopra la cappella. Della camera sopra la cappella.
Era uno sparviero, Era uno sparviero
Raggiungeva il nido scavato nel muro. Che ritornava al suo nido nell’incavo del muro.
Stringeva nel becco un serpente morto. Stringeva nel becco un serpente morto.
Appena ci vide Quando ci vide
Gridò di collera e d’angoscia pura Gridò per la collera e la pura angoscia
Ma senza lasciare la preda e, immobile Ma senza mollare la sua preda e, immobile
Nella luce dell’alba, Nella luce dell’alba,
Formò con essa l’emblema stesso Formò con essa il segno stesso
Del principio, del centro e della fine. Dell’inizio, del centro e della fine.
Ed erano là E c’erano lì
Nel paese d’estate, vicinissimo al cielo, Nel paese d’estate, vicinissimo al cielo,
Numerosi vasi, accostati; e da ognuno Tanti vasi, stretti; e da ognuno
Si levava una fiamma; e di ogni fiamma S’alzava una fiamma; e di ogni fiamma
Diverso era il colore, che brusiva, Il colore, che frusciava, era diverso,
Vapore o sogno, o mondo, sotto la stella. IVapore o sogno, o mondo, sotto la stella.
Si sarebbe detto un affaccendarsi d’anime, attese Si sarebbe detto quello d’anime affaccendate, attese
Ad un pontile in capo a un’isola. A un pontile sull’estremità di un’isola.
Mi sembrava anche di udire delle parole, o quasi Credevo perfino d’intendere parole, o quasi
(Quasi, o per difetto, o per eccesso (Quasi, sia per difetto sia per eccesso
Dell’inferma potenza del linguaggio), Della flebile potenza del linguaggio),
Passare, come un fremito del calore Le sentivo passare, come un fremito del calore
Nell’aria fosforescente che fondeva in uno Nell’aria fosforescente che fondeva in uno
Tutti quei colori: alcuni mi sembravano, Tutti quei colori dei quali mi sembrava
Di lontano, sconosciuti. Che certi, di lontano, mi fossero ignoti.
Li toccavo, non bruciavano. Io li toccavo, non bruciavano.
Vi affondavo la mano, no, non afferravo nulla Tendevo verso di loro la mano, no, non afferravo nulla
Di quei grappoli di un altro frutto, nulla se non la luce.18 Di quei grappoli di un altro frutto, se non la luce.119

Si possono rilevare varie analogie tra le versioni di Maria Clelia Cardona e di Davide Bracaglia ("lasciare", v. 11; "Si levava", v. 18; "Diverso era", v. 19; "in capo a", v. 22; "anche di udire", v. 23; "inferma", v. 25), non per questo del tutto coincidenti, anzi, come ci accingiamo qui di seguito a mostrare.
Cardona mostra, in generale, una costante aderenza alla struttura sintattica dell’originale, pur indulgendo, a tratti, a parafrasi esplicative ("uno all’altro accostati" per il bisillabo "serrés", v. 17), o a personalizzazioni della forma impersonale ("[Tu] L’avresti detto" per "On eût dit", v. 21) e a soppressioni del complemento oggetto (il "rien" del penultimo verso). Tre scelte lessicali mi paiono particolarmente discutibili: quella di "mezzo" per "milieu" al v. 14, che in italiano può avere un senso ambiguo non unicamente locativo, quella di "lingua" per "langage", quest’ultima parola-chiave nel pensiero di Bonnefoy non confondibile con l’altra, e "ronzio" per "frémissement" (v. 26), forse adottato per indicare, per estensione, il ronzio degli insetti nella calura.
Bracaglia conferisce alla sua traduzione un tasso di poeticità complessivamente maggiore attraverso l’utilizzo di un lessico ricercato e a tratti aulico ("dinanzi" per "au-devant", v. 3), con un calco, "brusiva" per "bruissait" al v. 19, però efficace nella riproduzione del fonismo onomatopeico dell’originale. Se più di un’opzione espressiva mi pare felice, in particolare "fondeva in uno" per "ne faisait qu’une" al v. 27, tuttavia più opinabile appare la variazione interpuntiva al verso successivo, laddove l’aggiunta dei due punti produce arbitrariamente una prolessi ("Tutti quei colori: alcuni") che spezza il naturale corso del pensiero, così come poco coerente appare il criterio seguito riguardo al pronome "y", omesso al v. 15 ("Ed erano") e invece poi tradotto al v. 31 ("Vi affondavo").
La mia traduzione si sforza di non accentuare con scelte enfatiche il registro linguistico dell’originale, evitando l’iperbato "diverso era" (v. 19), a profitto di un’aderenza all’originale che ricorra ad equivalenze semantiche ("nell’incavo", che indica un’ansa nel muro, un nido, non una "crepa", né uno "scavo", v. 7) e metriche (il bisillabo "stretti" per il bisillabo "serrés", v. 17, così da comprendere l’idea di "accostati" e di stretti di forma, non larghi). Per questo preferisco tradurre con "intendere" l’"entendre" del v. 23, che è polisemico (udire e capire) e creare un’ipallage ("anime affaccendate" per "affairement d’âmes", v. 21) che eviti il ricorso all’infinito sostantivato "affaccendarsi". Non ‘sentendo’ affatto in italiano l’associazione dell’aggettivo "infermo" a "puissance [du langage]" (v. 25), ho preferito, magari lievemente discostandomi dal senso più vicino, attenuare con "flebile ", che pur rende nel contempo l’idea di infermità e debolezza del linguaggio, anche attraverso l’affievolirsi della voce che lo pronuncia. La traduzione dell’ultimo verso è tutt’altro che agevole, soprattutto per le difficoltà di mettere in relazione "autre" con "que". Cardona rimane un po’ imprigionata a metà del guado per un’aderenza alla lettera che, con la soppressione del complemento oggetto "rien", finisce col lasciare in sospeso la costruzione sintattica, peraltro costruendo il calco "altro che", quando più opportuno mi sarebbe parso, nella fattispecie, "altro da" (nel senso di ‘altro’, ‘diverso dalla’ luce), o "nient’altro che" (nel senso di ‘soltanto’).
Bracaglia fa invece un’aggiunta esplicativa con la ripetizione di "nulla", pur cogliendo il senso (l’unica cosa che colgo del frutto ‘altro’, ‘diverso’, è la luce).
Io mi limito, senza calchi né aggiunte esplicative, a dire la stessa cosa con la semplice sostituzione di "que" con "se non", così cercando di aderire all’essenza di questa poesia che è una sorta di epifania dell’essere che sfugge alla presa, come il tempo, nel suo istante di finitudine. Nel corso della revisione comune delle mie traduzioni è capitato che fosse la mia traduzione a rivelare a Bonnefoy talune ambiguità od oscurità sintattiche dell’originale, fino ad indurlo addirittura in qualche caso a modificarlo, a dimostrazione di come, a volte, leggendo in profondità e proseguendo l’originale, la traduzione ne sia, a suo modo, come dice Walter Benjamin, la prosecuzione o il vero compimento.
Ho tradotto la poesia di Yves Bonnefoy cercando di aderire ai molteplici aspetti dell’originale senza cadere nelle paludi del letteralismo o della parafrasi esplicativa, attento a preservare più l’udibilità fonica del suono con le sue ruvidità e asprezze che non una mera leggibilità denotativa de-poetizzata dal patto col solo senso, sempre ricordando come si debba tradurre l’‘altro’ e non servirsene, come troppi poeti fanno, e come per questo occorra dargli una voce, la mia, che però canta su un ‘suo’ (dell’‘ altro’) spartito, che il mio lettore mai dovrà poter dire sparito dalla mia versione. Per questo è stato per me piacevolmente sorprendente e singolare constatare come Yves Bonnefoy, il cui modo di tradurre rivendica una maggiore autonomia e un ricorso ai propri stilemi espressivi personali riconducibile in parte alla teoria cibliste (pur se da una prospettiva interamente poetica, che il ciblisme semanticista per lo più avversa, ritenendola utopia impossibile) si mostrasse tanto più entusiasta delle mie versioni dei suoi testi quanto a me più apparivano sourcières.
Al di là di ogni sempre limitativo vincolo di ‘scuola’, che non appartiene a nessuno di noi due, l’importante è che la traduzione di poesia salvi la poesia, vale a dire ciò che un testo ‘fa’, la co-presenza e la compenetrazione di due soggettività in parola e ascolto nello spazio di "presenza " della pagina, del mondo, rinato nuovo ad ogni nuovo incontro.


NOTE
1 Y. Bonnefoy, La vie errante, Paris, Mercure de France 1993.
2 Y. Bonnefoy, La vita errante, a cura di F. Scotto, Lugo, Edizioni del Bradipo 1999.
3 Y. Bonnefoy, La pioggia d’estate, a cura di F. Scotto, Lugo, Edizioni del Bradipo 2001.
4 Y. Bonnefoy, Les planches courbes, Paris, Mercure de France 2001.
5 Y. Bonnefoy - A. Garoglio, Neuf pierres, ill. di A. Garoglio, trad. di F. Scotto, Prato, Canopo 2003, edizione d’arte numerata in 50 esemplari.
6 Y. Bonnefoy - O. Piattella, La casa natale, ill. di O. Piattella, prefazioni e trad. di F. Scotto, Lugo-Milano, Edizioni del Bradipo-Unaluna 2003, edizione d’arte in 150 esemplari numerati e firmati dal poeta e dall’artista con sei tavole originali e riproduzione dei bozzetti dei dipinti e riproduzione di testi olografi.
7 Y. Bonnefoy, Seguendo un fuoco. Poesie scelte 1953-2001, a cura di F. Scotto, postfazione di Y. Bonnefoy, Milano, Crocetti Editore 2003. Una sua anticipazione è apparsa, a mia cura, come servizio di copertina su "Poesia", n° 175, Milano, Crocetti Editore, settembre 2003, pp. 2-17.
8 Y. Bonnefoy, Seguendo un fuoco, cit., p. 238.
9 Y. Bonnefoy, L’acqua che fugge, a cura di M. C. Cardona, Roma, Fondazione Piazzolla 1998.
10 F. Scotto, Traduire Yves Bonnefoy en italien: le cas de ‘De vent et de fumée’, in M. Finck-D. Lançon-M. Staiber (a cura di), Yves Bonnefoy et l’Europe du XXe siècle, Strasbourg, Presses Universitaires de Strasbourg 2003, pp. 271-275.
11 F. Scotto (a cura di), Cahier Yves Bonnefoy, in "Europe", n° 890- 891, Paris, juin-juillet 2003, pp. 3-221.
12 Y. Bonnefoy, La petite phrase et la longue phrase, La Tilv éditeur 1994.
13 M. Finck, Yves Bonnefoy le simple et le sens, Paris, José Corti 1989.
14 G. Genette, Figures II, Paris, Seuil 1979, p. 151. Citato da M. Finck, op.cit, p. 327. Per l’illustrazione dei procedimenti di "désécriture " e di "dégrammaticalisation" ivi vedasi pp. 321-339.
15Y. Bonnefoy, La vita errante, cit., pp. 70-71.
16Y. Bonnefoy, Ce qui fut sans lumière, Paris, Mercure de France 1987.
17 Y. Bonnefoy, L’acqua che fugge, cit., pp. 156-159.
18 Y. Bonnefoy, Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve, trad. di D. Bracaglia, Torino, Einaudi 2001, pp. 16-19.
19 Y. Bonnefoy, Seguendo un fuoco, cit., pp. 142-145.

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