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GÉZA GYÓNI
UN POETA UNGHERESE
NELLA GRANDE GUERRA
a cura di Fulvio Senardi

Č merito di Szalai Sándor aver richiamato l’attenzione sul dimenticato Gyóni Géza (nom de plume di Áchim Géza), nato nel 1884 nella contea di Pest e morto in prigionia nel 1917. Con la curatela di Csak egy éjsakára (Budapest, Szépirodalmi Könyvkiadó 1967) e di Az Élet szeretője ( Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest 1984) ha riproposto la figura e le liriche di un poeta esemplare, per il percorso che lo ha condotto da posizioni ideali di acceso nazionalismo ad un sofferto sentimento di fratellanza universale. Folco Tempesti non ne registra la presenza, né avrebbe potuto, nella sua antologia dei Lirici ungheresi (Vallecchi, Firenze 1950), ma non manca di ricordarlo nel volume che dedica alla Letteratura ungherese (Firenze, Sansoni, Accademia, 1969), citando la sua lirica piů conosciuta, Csak egy éjszakára... (Soltanto per una notte...), aspra invettiva contro i retori patriottardi, i faziosi, gli speculatori, che Géza vorrebbe per una notte almeno in trincea accanto a sé, sotto la gragnola delle bombe. Una poesia di ardita tessitura metrica, sette strofe di sette versi, doppi senari in rima baciata (o assonanzata – che rimandano al doppio senario eroico, «hősi hatos», della poesia narrativa tradizionale ungherese), con un senario semplice in terza sede che intona il ritornello (Csak egy éjszakára), ripreso nei versi iniziali di ogni strofa, dove lo sferzante clangore delle gutturali sembra voler esprimere la rabbia di chi si sente tradito da un Paese che ha mandato allo sbaraglio la propria gioventů migliore. Anche Gyóni per la veritŕ non era stato insensibile al richiamo della demagogia nazionalistica ed era partito anch’egli volontario; uno di quei tanti tanti che Thomas Mann (La montagna incantata) e Italo Svevo (La coscienza di Zeno) ci descrivono in pagine indimenticabili mentre si avviano euforici verso il macello. La sua partecipazione alla follia collettiva della grande guerra era stata anzi tanto totale da dettargli le dure parole di Lével Nyugatra (Lettera al «Nyugat», ottobre 1914), lirica che Szalai Sándor pubblica in appendice a Csak egy éjsakára: una denuncia che intende colpire gli intellettuali della rivista occidentalizzante «Nyugat», «beffeggiatori di ideali e di patria» (Lével Nyugatra), nemici – secondo i tradizionalisti – delle virtů nazionali perché avvelenati dallo spirito decadente della cultura parigina, intrisa di cosmopolitismo e pacifismo, negatrice della tradizione in nome del miraggio di un radioso «santo Domani» («szent Holnap»). L’orizzonte ideologico consiste qui in una sorta di Kultur all’ungherese che odia alla stessa maniera i miti occidentali (progresso, democrazia, umanitarismo), la Zivilisation malaticcia e raffinata fiorita sulle rive della Senna, quanto l’Oriente slavo, l’asiatica gehenna che si appresta a vomitare orde selvagge sulla dolce terra magiara. Una critica che finisce per sfiorare anche Ady Endre, il caposcuola dei poeti occidentalizzanti, per quanto Gyóni ne abbia riconosciuto la grandezza in una lirica (Ady Endrének) composta all’indomani della pubblicazione degli Új versek(Nuove poesie, 1906), la raccolta che ha sancito la fama nazionale del poeta di Érmindszent; un Ady che sarŕ perfettamente in grado, del resto, profeta emarginato e inascoltato, di capire i fermenti della Storia portandone alla luce gli aspri nodi segreti: «Il magiaro č un popolo sinistro e triste. / Visse nella rivolta e, per curarlo, / gli recarono la guerra e l’orrore / i farabutti, maledetti nella tomba» (Saluto al vincitore, trad. di Paolo Santarcangelo). Cosa poi accadesse sul fronte di Galizia, dove Gyóni era stato acquartierato dopo l’arruolamento nell’autunno del ’14, č cosa ben nota: a Przemysl, cittadina fortificata del fronte nord-orientale, dopo il fallimento dell’offensiva austriaca che inaugura la guerra sui Carpazi, cadono in mano ai russi il 22 marzo 1915 quasi 120.000 uomini; austriaci, ungheresi, italiani dell’Istria, del Trentino e di Trieste, ecc.: soldati tutti dell’impero multinazionale e plurilinguistico. Comincia il calvario della prigionia siberiana, da cui Gyóni avrebbe potuto essere salvato se il suo nome fosse stato compreso nelle liste di scambio dei feriti e dei malati; ma ciň non avvenne. I germi di una svolta pacifista e umanitaria della sua visione del mondo non erano sfuggiti all’Ungheria ufficiale, quella che leggeva con sospetto i suoi versi riportati in patria da avventurose missive. Risale ad allora una lirica, difficile a dirsi se piů intrisa di dolore o indignazione: Gőgös Hunniában (Nella superba terra degli Unni, 1916), in cui Gyóni lamenta, non senza una punta di autocommiserazione, la sua sorte di cigno ferito e insanguinato condannato a morire a causa dell’odio e delle calunnie dei compatrioti. Accenti schietti e dolenti, come spesso nelle liriche di questa fase, le poesie degli anni di guerra e di prigionia che rappresentano in effetti, per la vibrazione di toccante autenticitŕ, l’acuto della sua fragile vena: e si tratta delle raccolte Sui campi polacchi, presso il fuoco di bivacco (Lengyel mezőkön, tábortŰz mellett, 1914), Lettere dal Calvario (Levelek a Kálváriáról, 1916), e dei versi pubblicati postumi. Poeta non grandissimo, ad ogni modo, in un’epoca della poesia ungherese segnata indelebilmente dalla meteora di Ady Endre, luce che cancella, con il suo fulgore, ogni altra stella del firmamento poetico. Eppure non solo, o non esclusivamente documentario. Dopo una prima fase (le raccolte degli anni 1904 e 1909) segnata da un’ispirazione tardo-romantica, con i motivi del sogno e dell’ideale che animano tradizionali cammei femminili sfumati di decorativismo Jugendenstil, Gyóni conquista una intonazione piů personale proprio nelle poesie di guerra, dove l’asprezza di un’esperienza esistenziale crudele come nessun’altra incrina la crosta di convenzionalitŕ letteraria (mai assente tuttavia, in un poeta che avverte il costante bisogno di edulcorare, al limite talvolta della leziositŕ, la spaventosa realtŕ della vita del fronte) e lascia intravedere squarci di vissuto a dir poco agghiacciante. Sotto l’onda musicale del «dal» («il genere specifico della poesia ungherese», secondo Babits – cit. in Paolo Ruzicska, Storia della letteratura ungherese, Milano, Nuova Accademia 1963, p. 611) che Gyóni intepreta da virtuoso, con un verso breve agile e dinamico che sfrutta l’ampia gamma di possibilitŕ offerte alla poesia dalla lingua ungherese (ritmo, metro, rima – un’articolata complessitŕ di prospettive su cui proprio il secondo Ottocento aveva condotto un’intensa riflessione), si avverte il rombo incombente della realtŕ piů atroce; la malinconia non cancella l’angoscia di un cuore che cerca di educarsi alla rinuncia: rinuncia agli affetti, a tutto ciň che ha di piů caro, alla vita stessa; e le liriche, impercettibilmente, si volgono (con echi che rimandano alla poesia di guerra nata spontanea sulla bocca dei soldati – cfr. per es. A Nagy Háború Katona Nótái – Canti militari della Grande guerra– a cura di Gömöri Jenő, Budapest, 1918), quasi senza intima ribellione, in struggenti canti d’addio. Una poesia che non conosce, d’altra parte, rivoluzionarie novitŕ di ritmo e di immagine; ed č per questo che suona diversissima dal rapinoso tumulto visionario delle liriche che Ady Endre farŕ uscire, sulla guerra, nel 1918 (A halottak élénGuidando i morti). L’anti-intellettualistica semplicitŕ, la veste dimessa e popolareggiante, le sfumature sentimentali e i frequenti riferimenti alla fede (come intenerito omaggio alla tradizione piuttosto che per effetto di una schietta inclinazione mistica) che caratterizzano le liriche di Gyóni le conferiscono tuttavia un fascino particolare. Una forma che trova conclusivamente il suo perfetto contenuto di straziata umanitŕ nell’invocazione alla fratellanza che scaturisce dalla poesia Il segreto della vita, lirica che pare quasi annunciare la morte del poeta (che avrŕ luogo infatti soltanto pochi giorni dopo). Veritŕ ultima ed assoluta, simile a quella che Ungaretti, Owen ed infiniti altri, piů o meno noti, ci hanno tramandato come luminoso contrappeso a tanto sangue versato inutilmente.

ADY ENDRÉNEK A ADY ENDRE
Be sok a bolygód, fáradt üstökös. Stanca cometa, fra tanti tuoi pianeti.
Úgy vonszolod ki őket a homályból, Li trascini fuori dalle tenebre
S mind azt hiszi, hogy merész maga lángol, e ciascuno, temerario, pensa di brillare per se stesso
Ha fénykévédből kis csóvát kötöz. se ammanta del tuo fascio di luce la piccola coda.
Kedvedre volna néked ez a had? E sarebbe di tuo gusto questa schiera?
Én nem hiszem. Kérész bolygók falkája Io non lo credo. Mentre lo stormo di pianeti effimeri
Míg fénysörényed tépázza, cibálja, scompiglia e scuote la tua chioma lucente
Tudom, elönt mosolygó, bús harag. so che ti invade un ghignante, amaro rancore.
És utálod e tolvaj kicsi bandát. E odii questa piccola torma di ladri
Mint én utálom, s kinek bátor ívén come la odio io; eppure il tuo carro vibrante
Mágnes-szekered hiába rohant át. si č precipitato inutilmente sul loro arco coraggioso,
Mert büszke utat jár még egynehány. dove qualcuno ancora incede pieno di sé.
S ha téged elnyelt már az óceán, Ma quando pure l’oceano ti avesse inghiottito,
S lopott csóvája kihunyt bolygóidnak: e quand’anche si spegnesse la coda che ti usurpano i satelliti
A magyar égen – mást te sem hihetsz – nel cielo ungherese – non devi dubitarne –,
A magyar égen akkor is lesz csillag! nel cielo ungherese resterebbe pur sempre il fulgore di una stella.
1908

1908



CSODÁK MIRACOLI
Mindennap új csodára ébredek: Ogni giorno mi sveglio per un nuovo miracolo:
Hogy élek még, ó, hihetetlen épség. che vivo ancora, da non credersi!, incolume.
Hogy hall e fül és látnak a szemek, Che l’orecchio sente e che gli occhi vedono
S az arcom érzi jeges szél csípését. e che il viso prova le gelide fitte del vento.
Mindennap új csodára ébredek: Ogni giorno mi sveglio per un nuovo miracolo:
Hogy élek még, ó, mesebeli jóság. Che vivo ancora, oh meraviglia di bontŕ!
Hallom: haraggal búgnak a hegyek; Ascolto: rombano di rabbia le colline.
Látom: az erdőt lángok lobogózzák. Guardo: fiamme impennacchiano il bosco.
Látom: a réten a vakand-lyukat Guardo: sul prato i cuccioli di ferro di micidiali cannoni
Halálos ágyúk vaskölykei turják. buttano all’aria le tane delle talpe.
Fönt egy gépmadár csillagot rugat, Sopra, un uccello meccanico spintona le stelle
S harsogni hallok győzedelmi hurrát. e sento risuonare un hurrŕ di trionfo.
Mindennap új csodára ébredek: Ogni giorno mi sveglio per un nuovo miracolo:
Hogy élek még, túl ennyi véres harcon. Che vivo ancora, dopo tante battaglie sanguinose.
Ó, hogy győzni tud minden vész felett Oh, come sa trionfare sopra i disastri
Egy imádkozó, édes, gyönge asszony. la preghiera di una dolce, meravigliosa signora.
Przemysl, 1914. X. 3 Przemysl, 3 ottobre 1914

CSAK EGY ÉJSZAKÁRA... SOLO PER UNA NOTTE ...
Csak egy éjszakára küldjétek el őket: Solo per una notte mandateceli qui:
A pártoskodókat, a vitézkedőket. I faziosi, gli eroi dello zelo.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Akik fent hirdetik, hogy – mi nem felejtünk, Quelli che ad alta voce dichiarano: noi non dimentichiamo,
Mikor a halálgép muzsikál felettünk; quando la macchina di morte fa la musica sopra di noi;
Mikor láthatatlan magja kél a ködnek, quando invisibile sta per scendere la nebbia,
S gyilkos ólom-fecskék szanaszét röpködnek. e mortali rondini di piombo si sparpagliano in volo.
Csak egy éjszakára küldjétek el őket: Solo per una notte mandateceli qui:
Gerendatöréskor szálka-keresőket. Quelli cui importano le schegge mentre si spezzano le travi.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Mikor siketítőn bőgni kezd a gránát, Quando assordante comincia a ruggire la granata,
S úgy nyög a véres föld, mintha gyomrát vágnák; e la terra geme insanguinata come se le aprissero il ventre;
Robbanó golyónak mikor fénye támad, quando si accende il lampo dei proiettili esplosivi,
S véres vize kicsap a vén Visztulának. e trabocca l’onda di sangue della vecchia Vistola.
Csak egy éjszakára küldjétek el őket: Solo per una notte mandateceli qui:
Az uzsoragarast fogukhoz verőket. gli egoisti, che stiracchiano il quattrino.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Mikor gránát-vulkán izzó közepén quando in mezzo ad un’eruzione di granate
Úgy forog a férfi, mint a falevél; l’uomo turbina come una foglia;
S mire földre omlik, ó, iszonyú omlás, e crolla a terra, oh cosa atroce,
Szép piros vitézből csak fekete csontváz. ridotto, da eroe splendente, a una carcassa annerita.
Csak egy éjszakára küldjétek el őket: Solo per una notte mandateceli qui:
A hitetleneket s az üzérkedőket. Gli empi e gli speculatori.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Mikor a pokolnak égő torka tárul. quando si aprono le fauci infuocate dell’inferno,
S vér csurog a földön, vér csurog a fáról, e sangue cola sulla terra, cola dagli alberi,
Mikor a rongy sátor nyöszörög a szélben, quando uno straccio di tenda si lamenta nel vento,
S haló honvéd sóhajt: fiam... feleségem... e il soldato morendo sospira... figlio.... moglie.
Csak egy éjszakára küldjétek el őket: Solo per una notte mandateceli qui:
Hosszú csahos nyelvvel hazaszeretőket. I patrioti dalla lunga lingua latrante.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Vakító csillagnak mikor támad fénye, E quando nasce la luce della stella accecante,
Lássák meg arcuk a San-folyó tükrébe’, che i loro visi si vedano nello specchio del fiume San,
Amikor magyar vért gőzölve hömpölyget, e quando le acque ondeggiando trascinano nuvoli di sangue ungherese
Hogy sírva sikoltsák: Istenem, ne többet. che loro gridino piangendo – Mio Dio, basta!
Küldjétek el őket csak egy éjszakára, Mandateceli solo per una notte,
Hogy emlékezzenek az anyjuk kínjára. in modo che ricordino il tormento delle madri.
Csak egy éjszakára: Solo per una notte:
Hogy bújnának össze megrémülve, fázva; che si stringano l’un l’altro atterriti, rabbrividendo;
Hogy fetrengne mind-mind , hogy meakulpázna; che si contorcano, che recitino il mea culpa;
Hogy tépne az ingét, hogy verné a mellét, che si strappino le vesti, che si battano il petto
Hogy kiáltná bőgve: Krisztusom, mi kell még!? che implorino piangendo: Gesů mio, che cosa ancora?
Krisztusom, mi kell még!? Véreim, mit adjak Che cosa ancora, Gesů mio!? O carne della mia carne
Árjáért a vérnek, csak én megmaradjak!? quanto sangue mi costa il solo restare in vita!?
Hogy esküdne mind-mind, Che ciascuno faccia un voto,
S hitetlen gőgjében, akit sosem ismert, e, nel suo orgoglio incredulo, invochi chi non ha mai conosciuto,
Hogy hívná Krisztust, hogy hívná az Istent: che invochi Cristo, che invochi Dio:
Magyar vérem ellen soha-soha többet! Mai piů, mai piů contro il mio sangue ungherese.
– Csak egy éjszakára küldjétek el őket. – Solo per una notte mandateceli qui.
Przemysl, november Przemysl, novembre 1914

MAGYAR KATONÁK DALA CANZONE DEL SOLDATO UNGHERESE
Lángoló vörösben In rosso fiammante
Lengyel hegyek orma. la cima delle colline polacche.
Látlak-e még egyszer Ti vedrň una volta ancora
Szülőfalum tornya? campanile del paese natio?
Kinyílik-e még rám Si aprirŕ ancora per me
Egy kis ablak szárnya? il battente di una finestrella?
Meglátom-e magam Potrň ancora specchiarmi
Egy szelíd szempárba’? nei suoi dolci occhi?
Vigye a levelem Porti la mia lettera
Búgó galamb szárnya, l’ala del tubante piccione,
Az én édesemnek al mio amore
Szép Magyarországba. nella bella Ungheria.
Mondja el fennszóval: Dica a voce alta:
Semmi bajom nincsen. non soffro proprio di nulla!
Mondja el halkabban: Dica sommessamente:
Megszakad a szívem. il mio cuore si spezza!
Mondja el fennszóval: Dica a voce alta:
Erdei haraszton sulla felce di bosco
Édes-csöndes álmát veglio in armi
Fegyverben virrasztom. il suo sonno dolce e tranquillo.
Mondja el halkabban: Dica sommessamente:
Járok piros vérben; mi vesto di rosso sangue;
Esti harangszókor al suono dell’Ave Maria
Imádkozzon értem. recita una preghiera per me.
Viszi már levelem Ma giŕ porta la mia lettera
Búgó galamb szárnya. l’ala del tubante piccione.
Hozza is a választ E per il nono giorno
Kilencednapjára: Riporterŕ la risposta.
Esti harangszókor Al rintocco dell’Ave Maria
Talpig hófehérben per me prega
GyönyörŰ virágszál uno splendido fiore
Imádkozik értem. vestito tutto di bianco.
Járhatok már, pajtás, Oramai, camerata, posso andare
Térdig piros vérben: fino ai ginocchi dentro il sangue rosso:
Az én édes párom so che prega per me
Imádkozik értem. quella mia dolce compagna.
Vissza is imádkoz, Ripete la preghiera,
Az ég meghallgatja: e che il Cielo la ascolti:
Ha nem karácsonyra, se non per Natale
Virágvasárnapra. per il giorno delle Palme.
Przemysl, settembre 1914

VÉGVÁRI SÁNCOKBAN NELLA TRINCEA AVANZATA
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
A mécsek gyéren égnek. bruciano a stento le candele.
Fölöttünk egyre szántnak Sopra di noi arano senza sosta
A vasfejŰ legények. garzoni dalla testa di ferro.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Még lánggal ég az élet. palpita ancora, di fiamma, la vita.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Kis úr az ember, pajtás. l’uomo č padrone di poco, camerata.
Az élet egy-két pillanat, La vita č un paio di istanti,
S a halál egy sóhajtás. e la morte un solo sospiro.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Mégis remélünk, pajtás. si continua comunque a sperare, camerata.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Mégis vidám az élet. nonostante tutto, č ancora allegra la vita.
Még nóta is szól, hallga csak: Risuona ancora la canzone: ascolta!
Ó, drága magyar lélek! Oh, cara anima ungherese!
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Dalolnak a legények. Cantano i giovanotti.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Csak kiteleljünk, pajtás: si sverna, e nient’altro, camerata.
A harcok majd lezajlanak, Presto avremo le battaglie
S megenyhül minden sajgás; e si mitigherŕ ogni dolore.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Lesz még öröm-kurjantás. si griderŕ ancora di gioia.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Érik a Jövőás. si prepara il Futuro, camerata.
Vérből majd szebben kél a mag. Dal sangue il seme germoglia piů bello
S dúsabban hajt a hajtás. e piů abbondanti spuntano le gemme.
Hat lábnyira a föld alatt A sei piedi sotto terra
Már nem soká tart, pajtás. ormai non dura a lungo, camerata.
Przemysl, február 27 Przemysl, 27 febbraio 1915

SÍRVERS POESIA FUNEBRE
Hazai domb lesz vagy idegen árok, Sia una collina in patria o una fossa straniera,
Bús sírom füve amelyen kihajt, su cui cresca il prato della mia triste tomba,
Kopott fej fámon elmosódó írás questo annunci all’errabondo viandante
Bolygó vándornak ezt hirdesse majd: una scritta consunta sul logoro legno:
Boldog, ki itt jársz, teéretted is Felice, tu che passi; anche per te
Megszenvedett, ki lent nyugszik, a holt; ha sofferto il morto che qui giace.
Véres harcok verték fel hírét Sanguinose battaglie hanno innalzato la sua fama,
De csak a béke katonája volt. ma č stato solo un soldato di pace.
Krasznojárszk, 1916 Krasnojarsk, 1916

AZ ÉLET TITKA IL SEGRETO DELLA VITA
Az élet titka: őszinteség – Il segreto della vita: sinceritŕ –
S kerülik egymást a testvérek. Stanno lontani l’uno dall’altro i fratelli.
Csak akkor ismernek egymásra, Si conoscono solo nell’attimo
Mikor szállóban van a lélek. in cui l’anima prende il volo.
Ó, bús tengere vérnek, szennynek Oh, ma quando, quando mai scemerŕ
Mikor, mikor, mikor apad már, la triste e impura marea del sangue,
Ha egymásra sosem ismertek, se mai si sono conosciuti,
Testvérek – csak a ravatalnál. fratelli – solo sul letto di morte.
1917. VI. 14 14 giugno 1917

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19 settembre 2024
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8 ottobre 2021
Dante: riletture e traduzioni in lingua romanza. Firenze, Institut Français

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HODOEPORICA al Festival "Voci lontane Voci sorelle"

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Laboratorio Poesia in prosa

4 giugno 2021
Antologie europee di poesia giovane

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28 maggio 2021
De Francesco: Laboratorio di traduzione da poesia barocca

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Jhumpa Lahiri intervistata da Antonella Francini

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Hodoeporica. Presentazione di "Semicerchio" 63 su Youtube

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La poesia di Franco Buffoni in spagnolo

22 marzo 2021
Scuola aperta di Semicerchio aprile-giugno 2021

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Poesia russa: incontro finale del Virtual Lab di Semicerchio

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