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GLI SPECCHI DI BONNEFOY E ALTRE RIFRAZIONI.

I RIFLESSI DELLA TRADUZIONE POETICA

 

PREMESSA

 

di Roberta Ascarelli e Pierluigi Pellini

 

 

Sul programma del convegno aretino del quale pubblichiamo gli atti campeggiavano ben quattro titoli: Tradurre Tradursi Tradurre insieme Tradurre Bonnefoy. Un progetto ambizioso, al limite del velleitario, tenuto conto del tempo canonico di un piccolo simposio, le tre ‘mezze giornate’, del numero limitato di interventi e del nostro pubblico, formato da studenti dei corsi triennali di Mediazione linguistica e di Letterature comparate della Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo che vedevano nella traduzione una materiadi studio e un possibileimpegno futuro.

A moderare la genericità onnivora del titolo, la grafica piramidale dell’invito suggeriva comunque un percorso gerarchico e di senso in cui collocare le molte opzioni annunciate – una gerarchia ovviamente tutta interna alla nostra ricerca e lontana da ogni tentazione tassonomica – mettendo in bella evidenza l’intrico dei temi e sottolineando l’esigenza di una riflessione da artigiani sulla attività di traduttore.

Poca la teoria, affidata ad un intervento iniziale, quello di Loredana Polezzi, e parzialmente – in un’ottica personale e creativa – alle riflessioni finali di Yves Bonnefoy; centrale invece l’esperienza del tradurre, scandita per modalità diverse e ricostruita attraverso interventi volutamente poco omogenei. Traduttori escrittori, professionisti del tradurre e amatori hanno  ripercorso motivazioni e pratiche del loro lavoro. Soprattutto hanno parlato dei loro incontri, incontri con l’autore – lo ‘straniero’ che si vuole sradicare dalla sua terra con un atto che è insieme di violenza e di amore – e incontri con gli altri traduttori, gli anticipatori e i compagni di strada.

Elemento unificante diquesto incontro è stato, infatti, proprio il carattere relazionale del tradurre: rendere il testo di un autore straniero nella propria lingua è già un gesto dialogico, ma accanto a questa relazione ‘primaria’ e spesso solitaria del tradurre ne abbiamo individuate altre, più vicine come forma di scambio e di collaborazione a quelle delle aule universitariee alla pratica seminariale di gran parte dei corsi di Mediazione linguistica.

Abbiamo parlato del ‘tradurre insieme’, in ambiti linguistici tradizionali (latino per Gioachino Chiarini, spagnolo per Julio Pérez-Ugena), o in una esperienza limite come quella dello yiddish (affrontatada Franco Bezza, Haim Burstin e Anna Linda Callow); del tradursi, nel nostro caso, di poeti contemporanei – Antonella Anedda, Luca Guerneri, Valerio Magrelli, Jamie McKendrik, Fabio Pusterla; di scrittori che traducono altri scrittori e che confrontano,da addetti e da autori, gli esiti del loro lavoro.

Come esempio di un tradurre dialogico, corale a volte, si è scelta l’opera di Yves Bonnefoy, intellettuale abituato a riflettere sul suo tradurre e sul suo essere tradotto, che negli anni ha stabilito rapporti profondi, affettuosi quasi, con i suoi molti traduttori italiani. Con l’aiuto di Antonio Prete, Gabriella Caramore, Chiara Elefante, Cesare Greppi, FelicianoPaoli, Maria Sebregondi, Fabio Scotto, abbiamo indagato l’esperienza ricchissima legata alla resa della sua opera, al fitto scambio di idee, allo sviluppo di una particolare sintonia con lo scrittore e con gli altri traduttori, individuando così un intreccio di competenze, motivazioni e passioni che ben si presta a definire un modello – uno dei tanti possibili, ma particolarmente ricco di implicazioni didattiche e forse anche teoriche – di traduzione come ‘conversazione ininterrotta’. Anche per questo vari interventiconservano volutamente l’andamento dell’esposizione orale, il tono della discussione accesa o, in alcuni casi, della testimonianza personale.

La relazione conclusiva di Yves Bonnefoy si presenta al tempo stesso come un contributo originale al dibattito, vivacissimo negli ultimi decenni, sulla teoria della traduzione, e come un prezioso documento di poetica. Convinto che sull’attività del traduttore di testi in versi non sia possibile fare luce senza fondarsi su una precisa idea della poesia, Bonnefoy riprende e approfondisce in queste pagine, con generosità e rigore, una riflessione estetica ormai semisecolare, che si configura come una delle esperienze più significative del Novecento poetico francese.


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