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DALILA TELES VERAS, À janela dos dias. Poesia quase toda, Santo André, Alpharrabio Edições 2002, pp. 192, s.i.p. 

 

Questa antologia della poetessa portoghese Dalila Teles Veras (nata nel 1946 a Funchal, isola di Madeira), radicata da quasi cinquant’anni in Brasile, nello stato di San Paolo, riunisce i libri pubblicati negli ultimi vent’anni, e rappresenta una «sintesi della sua traiettoria poetica», come spiega l’autrice nella postfazione. Lei stessa ci confessa di essere una poetessa « senza scuola né generazione », ma appena con esplicite influenze poetiche (che chiama «dialoghi») di poeti come i brasiliani Carlos Drummond de Andrade, Murilo Mendes, João Cabral de Melo Neto, Adélia Prado, Jorge de Lima, Manuel Bandeira, Ferreira Gullar, Mário Quintana, nonché i portoghesi Fernando Pessoa, Eugênio de Andrade e Luís de Camões.

In effetti, la poesia di Dalila Teles Veras non aderisce, a priori, a nessun credo poetico formale o contenutistico, al contrario, la poetessa tenta di catturare con rapidi sguardi le molteplici sfacettatture della realtà, i diversi momenti della luce solare, i movimenti inattesi della natura, come rivelano questi versi che aprono la terza sezione del libro, intitolata Elemento em fúria : «I miei occhi di lince / fiutano il caos / alla ricerca di dei / notturni, i miei occhi / percorrono e decifrano il catrame /: tentativo di vislumbrare / cammini» (Vigília). Nella stessa direzione vanno letti i seguenti versi, che rivelano l’arguità dell’essere umano, spettatore «alla finestra dei giorni» (À janela dos dias) ma agente che può interferire nel proprio destino, e il cui sguardo penetra nelle ombre più scure della vita per compiere la sua ressurrezione quotidiana : «Le sentinelle dormono / ed i miei occhi, lampioni /vegliano la notte / alla luce della propria luce» (Vigília). Solamente dopo essersi immerso nella notte e nelle sue zone d’ombra, l’io poetico espresso da Dalila Teles Veras può affermare che «decodificati i segni / non è più insolito il paesaggio » (Turista veterana), dove possiamo intendere, per paesaggio, tutto ciò che risiede all’interno dello sguardo, la minaccia che si nasconde dietro le palpebre, e che può essere risvegliata dalla voce della poetessa : «cosa pretendi /con la tua danza di lessico / e questa ondulante coreografia? // Non liberare così, poeta / la tua voce incantata /sveglierai il serpente / e spaventerai i turisti» (O encantador de serpentes).

L’autrice, che conosce i suoi demoni, si dona premurosa al corpo della poesia, che l’accoglie ma non risponde alle sue interrogazioni: «Che mare è questo /che mi fa pesce / che mi fa alga?» (Escafandro). Ecco perché Dalila Teles Veras sa che è necessario svincolarsi dalla trappola della logica cartesiana, la quale richiede una causa per ogni effetto, e afferma la sua voglia di libertà: «Urge calmare i demoni / cucire i bottoni / viaggiare senza destinazione / per il piacere di arrivare» (Urgência).

L’antologia rivela la capacità dell’autrice di maneggiare tecniche poetiche che vanno dalla poesia di verso libero alla poesia in prosa, passando per lo stile di origine giapponese dell’haikai, peraltro frequentemente praticato a San Paolo e negli stati del sud del Brasile, dove maggiormente si trovano le colonie degli immigranti giapponesi e discendenti, e dove poeti di altre origini culturali hanno adottato questo dettato poetico. Basti ricordare la poetessa Alice Ruiz, moglie del poeta Paulo Leminski, conosciuta per i suoi splendidi haikais.

La poesia di Dalila Teles Veras presenta un’evoluzione a favore del rigore stilistico, della capacità di dire molto senza spendere molte parole, rifacendosi quindi, ancora una volta, alla tradizione letteraria brasiliana che predilige il verso asciutto, rigoroso, contenuto, tagliente come un coltello ma dolce e musicale come il canto del sabiá.

 

[P.A.]

 

 

 

 

ANTONIO CARLOS SECCHIN, Todos os ventos, Rio de Janeiro, Editora Nova Fronteira 2002, pp. 160, s.i.p. 

 

Questo libro, di un’accurata ed elegante grafica, è un’antologia dei testi poetici di Antonio Carlos Secchin, nato a Rio de Janeiro nel 1952, dove risiede ed esercita la professione di professore universitario e saggista. Il libro è accompagnato da un’introduzione del critico letterario Eduardo Portella, ed è impreziosito da un breve saggio del noto critico letterario Alfredo Bosi, il quale mette in evidenza l’ancoraggio del dettato poetico Secchin nella tradizione satirica brasiliana, che trova le sue fondamenta in autori come Gregório de Mattos, Álvares de Azevedo e successivamente nell’attitudine critica dei poeti della settimana d’Arte Moderna del 1922 (in particolare Oswald de Andrade) impegnati nella refutazione del canone estetico del parnassianismo. In questo senso, una delle caratteristiche presenti in questi autori, così come nella poesia di Antonio Carlos Secchin, è il tratto fortemente metalinguistico delle composizioni, dove la parola diventa la calamita che concentra su se stessa tutte le attenzioni. 

D’altro canto, la poesia di Secchin assume un marcato aspetto polifonico, sia in quanto alla sua forma, che spazia dal sonetto, all’aforismo, alla poesia di metrica libera, all’haikai, per servirsi anche di alcuni elementi della poesia visuale (come la poesia Itinerário de Maria), sia in quanto al tema, che attinge ad aspetti del verso colloquiale, della vita quotidiana del poeta e della sua città, cuciti su una trama poetica che convoca la mitologia classica ma che non per questo riproduce un dettato poetico cristallizzato nel tempo, come mostrano questi versi che ricordano, in parte, la scioltezza espressiva della poesia marginale scritta in Brasile durante gli anni della dittatura militare : «Non posso fare di me uno spettacolo. / La platea fuggirebbe / prima del secondo atto. / Un attore perplesso mischierebbe / versi, versioni e fatti. / E un critico, maldicendo la sua sorte, / latrerebbe feroce / contro la mia verve / sibillina» (Confessionário).

In effetti, Secchin fu uno dei ventisei poeti selezonati da Heloísa Buarque de Hollanda per comporre l’ormai famosa antologia 26 Poetas Hoje, pubblicata nel 1975 nell’intento di raggruppare un numero significativo di poeti che stavano emergendo sulla scena letteraria di un paese controllato dalla censura, in un periodo in cui, nonostante il sogno vigente di una nazione alla ribalta nel panorama economico e culturale mondiale, il Brasile viveva una realtà di violenta repressione dittatoriale.

Dal lontano 1975 fino al 2002, anno di pubblicazione di Todos os ventos, il percorso di Antonio Carlos Secchin si è sviluppato ed è cresciuto fino a raggiungere le proporzioni di una personalità importante nel campo della letteratura brasiliana, più in luce come «professore ammirato, come acuto analista dell’avvenimento letterario, come saggista sagace» che come poeta, rifacendoci alle parole di Eduardo Portella nell’introduzione. Questo libro ci conferma la dedizione che Secchin ha riservato alla letteratura brasiliana contemporanea ed ai suoi protagonisti: le poesie sono costellate da dediche a nomi importanti della poesia e della critica letteraria brasiliana contemporanea, come Antonio Cícero, Ruy Espinheira Filho, Ivan Junqueira, Eucanaã Ferraz, Waly Salomão, Suzana Vargas, Ferreira Gullar, Ivo Barroso, Carlos Nejar, Olga Savary, Armando Freitas Filho, Marly de Oliverira, Marco Lucchesi e molti altri, una dimostrazione del suo ruolo centrale nel panoramaculturale brasiliano. Ma questo libro ci mostra anche come il critico ha saputo accompagnare, attraverso il suo dettato poetico, le evoluzioni della poesia brasiliana durante gli ultimi decenni.

 

[P.A.]


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