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PRISCA AGUSTONI, Sorelle di fieno / Irmãs de feno, Belo Horizonte (MG), Mazza Edições 2002 (bilbeli@hotmail.com - edmazza@uai.com.br), pp. 112, s.i.p.

 

Ci si può affidare alla poesia iniziale per illustrare convenientemente la struttura del libro: «Perché è più  acile / attraversare l’Atlantico / che passare il valico / del San Gottardo». L’autrice, ticinese (n. 1975),  ive tra la Svizzera e il Brasile (nello stato del Minas Gerais; dei poeti della regione l’Agustoni ha curato  na piccola antologia in Semicerchio, 26-27, 2002), e pratica il portoghese, anche letterariamente, come una seconda lingua. Il dato di questa migrazione personale e linguistica (ma il testo a fronte è in questo caso opera del poeta Edimilson de Almeida Pereira), si specchia qui nelle storie di «voci femminili che ci narrano l’esperienza dell’esilio – dalle valli della Svizzera italiana oltre il valico del San Gottardo, frontiera fisica e simbolica tra il Nord e il Sud del paese, tra la lingua italiana e il tedesco. All’inizio del XX° secolo molte giovani ragazze partirono dal Ticino per essere impiegate come tessitrici in convitti diretti dalle suore, abbandonando l’universo mitico della natura per entrare in quello storico della produzione industriale ». La frontiera interna, ancora una volta culturale e linguistica («Deutschsprechen, bitte»), iniziatica («e voi avete il grembiule / macchiato di sangue», «Mi piace salire ai laghi. / La fissità del pendio / è ostia che glorifica / qualsiasi bagaglio»), tra lo sradicamento delle anonime protagoniste e l’intimità di scoprirsi sorelle di fieno, condividendo le notti sulla stessa paglia, ci portano nel paese al centro dell’Europa, che più di altri può raccontare storie sugli acuti contrasti tra arcaismo autoctono e modernità, radicamento e migrazione (in questi stessi paesaggi si svolgono le storie di asilanti dei nostri giorni raccontate da Fabio Pusterla). I toni del racconto sono quelli della narrazione lirica: «Il vapore nascose il miraggio / nella tana delle volpi. / In quell’anno / nevicò gelo». Gli spazi linguistici sono quelli stretti di metafore di un espressionismo stilistico essenziale («sei la rilegatura delle ossa», «Il valico della montagna / è sudario ad asciugare»), talvolta di spiccata attitudine ‘femminista’ («Santo Antonio da Padova / trova l’equivoco / tra quel guardare obliquo / e il mio candeggiare / il silenzio»), percepibile anche nella disponibilità a una sorta di animismo ‘umiliato’ degli oggetti («i pedali Singer / sono novene che germinano»). Ma se tale repertorio figurale muove dall’interno di percorsi comunque noti della ‘scrittura femminile’, la riuscita del libro tiene anche al fatto che alla voce dell’autore si sovrappone come voce di teatro quella recitante delle protagoniste: «Siamo giovani Penelopi / con vecchi retaggi » (l’effetto è rinforzato dalla posizione dei titoli delle singole poesie in margine, quasi si trattasse di altrettante didascalie di esecuzione). La voce dell’autrice invece, la avvertiamo più forte quando si libera in svolgimenti di una scioltezza ariosa davvero poco italiana e che attribuiremo senz’altro alla vena luso-brasiliana soggiacente alla formazione di questa poesia: «A Elvezia piace cantare. / Ma qui non vale / l’argenteria lirica: / i papaveri sono alti / e le persiane / continuano / ermetiche» (dove si noti il lusitanismo continuano nel senso di ‘restano’).

 

(Fabio Zinelli)


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