« indietro NOVELLA TORRE, La preda, Faloppio (CO), LietoColle, 2007, pp. 47, € 10,00.
Il panorama, di questa che è la notevole opera prima della poetessa fiorentina, se non proprio un giardino, è quantomeno il campo, al limite il canneto – costellato di «insetti», soprattutto – nei dintorni di casa, più che una boscaglia o comunque un ambiente ostile, selvatico e distante quale invece parrebbe indurre il titolo; del resto il territorio si sfalda in un «altrove» e «ovunque», e in un «ovunque» e «altrove» rimbalzanti, in un «oltre», «lontano», fino a un «innanzi» il quale, tutto sommato, coincide con «L’accoglienza azzurra della casa». La preda si trova dunque esposta a un’ambivalenza di significato (e ruolo) attivo/passivo, a seconda che il soggetto della battuta di caccia (o del saccheggio) sia un predatore indefinito o chi si sente braccato, l’ostentatore del trofeo oppure l’essere in fuga, vittima sacrificale senza scampo – innescando peraltro così un gioco ossimorico fra l’angoscia evocata dal vocabolo e lo spazio civilizzato e percorribile, non orrido, che la contiene – benché la pregnanza violenta del termine venga via via mitigata nel corso del testo dal sussistere di una terminologia sinonimica fatta di «cerca», di «presa» e di «questua», digradanti poi in una «questura», «censura», «querela», fino alla foneticamente estranea «lagna», accomunabili in una condizione di ‘mendicità’ verso un senso esistenziale in cui l’esercizio poetico funge in parte da bussola, in parte da variabile disorientante: «Fuggire», come una preda, appunto, «verso il confine tagliente / di maturità visibile, dialogica». Soccorrono in questa indagine stilemi riecheggianti non solo gli evidenti Montale e Gozzano rilevati in postfazione da Caterina Bigazzi, ma anche, stanabili proprio come prede, Montale filtrato da Benzoni («spirito palustre» che «si annida nei gorghi dei lucci / si sfa come uno sparo») quando un’angoscia d’accerchiamento porta a diffidare degli ‘astanti’, rincorrendo ricordi che non è poi mica così scontato volerli trattenere; oppure le sabiane «sera che rapida cala» e il «pensiero / della morte che, infine, aiuta a vivere» transumanti nel verso «e alla fine cala, alto che era, il sole» e in un «fruscio d’ossa silenziose, grotta di ferraglie». I componimenti sembrano tanti preludi, esecuzioni con piccole divagazioni e poi al momento dell’atteso sviluppo del tema – guarda caso, la fuga propriamente detta, in termini musicali – è il testo stesso a fuggire, a sottrarsi, lasciando uno stato di sospensione, di attesa, di incompiutezza. Reticenza? Censura? Pudore? «Miracolo arcangelico indomabile vederti / aprire la camicia e mostrarmi / il mormorio del cuore finalmente / oltre la censura dei braccioli sedie libri / si apre la tua pelle forte batte la sveglia / e batte il tempo sotto gli occhi chiusi / per non vederti nudo e la notte / picchia ancora».
(Giuseppe Bertoni)
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