« indietro MICHELE SOVENTE, Superstiti, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2009, pp. 156, € 16,00.
«Ho cercato il silenzio. / […] / ho tra me e il tumulto / stabilito una distanza / che mi potesse / spostare altrove. / […] / Mille e mille volte / ho chiuso gli occhi / per allontanare le stolte / immagini pubblicitarie. / Ho cercato una presenza umana. // Mi sono fatto sedurre / dalla lontana febbre di vita / delle isole avvolte / da racconti leggendari / […] Spesso la mente / si è lasciata incantare». La difficile ricerca di «una presenza umana» a cui sono dedicati questi versi – sembra banale dirlo – è il tentativo di ragionare sugli elementi di umanità che deve continuamente darsi l’individuo, per «allontanare le stolte / immagini pubblicitarie»: il potere delle comunicazioni di massa. C’è un rischio, dice Sovente. È l’abbandonarsi al disimpegno, quando non resta altro che la «febbre di vita» di cui brucia l’immaginazione. Ma alla fin fine, tutto si volge nello smantellarsi delle apparenze che governano il mondo. «Si spalanca una finestra / mostrando improvvise /crepe nel blu / e un’antenna bianca. / […] Vedo / in fondo alla strada / un uccello dissolversi…». Per comprendere come vada intesa la condizione di ‘superstiti’ a cui richiama il titolo del libro, occorre uno sguardo al processo di massificazione dell’individuo. Sa bene Sovente che all’‘interno’ della massa, e per influenza di questa, la capacità intellettuale del singolo si riduce in misura notevole. In una formula: il pensiero inibito è troppo debole per farsi valere da solo. Ma è compito dell’‘intellettuale’ dare forma al pensiero e proteggerlo, col prezioso strumento della lingua. A questo scopo, la poesia di Sovente col tempo si è evoluta come esperienza addirittura quadrilingue. A cominciare da Cumae (1998), tre elementi: l’italiano, un ‘ritrovato’ e misterioso latino, il dialetto dei Campi Flegrei, formano una triglossia compatta, a cui si è affiancata nell’ultimo periodo la strategia dell’impasto linguistico, con l’aggiunta del francese come quarto elemento. Nel quadro dell’opera, però, questi ultimi esperimenti appaiono laterali; e così pure bisogna dire che l’obiettivo dell’intera operazione non si risolve, come si potrebbe pensare, nella deformazione espressionista. È in gioco, invece, la flessibilità espressiva del soggetto. Perché passare da una lingua all’altra (come si vede nella stesura in lingue diverse di un medesimo tema) significa esercitare il pensiero a mutare liberamente forma. Anzi, non vincolato ad alcuna ‘teoria’, il pensiero qui si vuole completamente sciolto: libero di rifondare le proprie basi. Ma c’è dell’altro. Come dice Eugenio De Signoribus nell’introduzione al volume, Sovente va ancora più a fondo nel denunciare, con impasti linguistici infernali (certo di marca espressionista) la «profonda decomposizione civile e storica» in corso. Ecco un esempio dedicato ai ‘cani’, figura allegorica della perdita di umanità. «[…] / Par les rues les chiens / per itinera canes arravògliano ’i ccóre / attuórno a na prèta / a na bbuatta a n’uósso, perché i cani / sono cani parce que seulement chiens / sont tous les chiens pecché / si cane se chiàmmano chéllo so’ / quia denique canes sunt canes: / nient’ato. Exacte…». Ora, la chiave di volta dell’intera operazione – lo ha dichiarato Sovente – sta nell’uso della lingua ‘morta’ (senza dimenticare l’interesse del poeta napoletano per l’antropologia): «[Il latino è] una lingua magica, esoterica, che pratico per impossessarmi di un’identità nascosta. Esercito le lingue come riti di appartenenza al territorio flegreo». Non sapremmo commentare meglio che ricordando le parole dell’antropologo Ernestode Martino in Sud e magia (1959): «La ideologia della forza magica […] offre un quadro rappresentativo stabile, socializzato e tradizionalizzato nel quale il rischio di alienazione delle singole presenze – è, in pratica, il concetto attorno a cui ruota la poesia di Superstiti riportata all’inizio – si converte in ordine metastorico». In poche parole, l’azione con cui le tecniche magiche «occultano la storicità del divenire» si realizza nella connessione magica tra due elementi: «il mito in quanto exemplum risolutore dell’accadere e il rito in quanto iterazione del mito». E così, Michele Sovente ad esempio scrive: «[…] Sono e non sono l’etrusco / sommerso da altre mappe / sono e non sono / colui che approdò / alle euboiche rive». Ma, dopotutto, a conclusione del libro l’autore ci lascia con due domande davvero sonore. «Chi sarà disposto a aiutarmi a resistere? / Per cosa sarà utile e giusto fare il superstite?».
(Daniele Claudi)
¬ top of page |
|||||
Semicerchio, piazza Leopoldo 9, 50134 Firenze - tel./fax +39 055 495398 |