« indietro PIER CARLO APOLINARI, Ascoltando lo Stabat Mater, in «Opera Nuova». Rivista internazionale di scritture, 2010, 2, con una nota di Giovanni Bardazzi.
Dichiarato fin dal titolo, dove si asserisce l’occasione – i retroscena di un processo indotto, quello che porta a elaborare un canto sull’ascolto musicale dello Stabat –, l’argomento della corona di sonetti presentata dal ticinese Apolinari nel secondo numero di «Opera Nuova», è identificabile con la passio di chi rimane in vita, la cadenzata pena di ogni mater (o creatura) dolorosa. Se il tema sacro può suggerire un plausibile raffronto con la recente esperienza di Aldo Nove, il poemetto Maria, nonché con precedenti sommi (penso ai drammi mariani di Claudel), la cognizione del dolore di una Mater Dei è qui raffigurabile solo a motivo della terrena sua esperibilità, imprescindibile limite umano. Scelta metrica (non nuova all’autore, come sottolinea Bardazzi nella Noterella, ai suoi sonetti intrisi, come il pane, di quotidiano bisogno, spesso occasione per ragionare tra sé e sé di poesia), e numero dei componimenti ne dichiarano la natura di ‘colloquio’ familiare, tra confessioni foscoliane ed interiori sintonie con umbrae myricee. Sacralità jacoponica che si riduce pertanto a una più dicibile desolazione tutta antropica, misurata nell’ambito ristretto della vita parentale, forse accostabile in ciò all’analoga esperienza di canto di Patrizia Valduga, le cadenzate quartine di un monologo filiale come Requiem. Proclamato interlocutore di un dialogo che ha per tema l’immanenza del dolore, il Leopardi delle meste interpellanze alla natura, le cui questiones esistenziali divengono enunciabili solo attraverso una loro conversione in dimesse domande pascoliane, dove anche l’espressione figurata assume veste di metafora fitomorfa, od uccellina, quasi l’imperturbabile agire di natura fosse realtà più del dovuto dura da accettare e dunque o ingenuamente tollerata solo se intesa come opera ‘giusta’ di rinnovo generazionale («O pel bene del nuovo uccidi il vecchio?»), ovvero ammessa solo nell’impossibilità di comportarsi davvero troppo fidentemente, come evangelici passeri (e pascoliani, osserva Bardazzi) in attesa di una provvida farina, macinata dal «lubecchio» di un Dio padre, e agli uomini donata.
(Francesca Latini)
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