« indietro PREMESSA
di Patrizio Ceccagnoli
Sebbene fosse in me il travaglio più rapido che non la conoscenza: stendevo erbe ai piedi dei grandi (col nome dorato) e finivo anch’io nella cassapanca dei bevitori. Mase con luce candore pregavo i grandi di dirmi dov’era l’ora del candore, essi rispondevano non era il caso di
allontanarsi da loro. La luce perciò si spegneva quasi e l’ora fissava il suo pugnale (la lancietta pericolosa dell’orologio) su della mia testa
avida d'inviti
Amelia Rosselli, Variazioni belliche
Nel canone privato di Eugenio Montale, il poeta canonico per eccellenza del Novecento italiano, l’avanguardia sarebbe stata assente. Intervistato nel 1964, il futuro Nobel concluse con una battuta un giudizio quantomeno limitativo sulle reali possibilità di rinnovamento delle avanguardie: «È un vecchio argomento, ma una letteratura che comincia con Dante e Petrarca comincia male, male per quelli che vengono dopo, naturalmente». [1]. Il rapporto con la tradizione, quel rapporto che per Montale è compromesso all’origine, può anche essere descritto coi versi visionari e sgrammaticamente anticanonici di Amelia Rosselli, citata in esergo. Una lettura metaletteraria del componimento della poetessa poliglotta propone tale rapporto nei termini problematici di una ricerca di innocenza, di un «candore», che è un tempo originario lontano dai ‘grandi’, i great/grown-ups, les grandes personnes di un ricorrente conflitto generazionale fatto di ‘inviti’ed esclusioni.
La dialettica fra tradizione e innovazione, in cui si in serisce la formazione di ogni canone, è forse stata nel Novecento italiano particolarmente intensa [2], anche senza considerare la specificità di uno schiacciante patrimonio secolare a cui rimanda Montale e già violentemente rigettato dai futuristi, poi rigettati da Montale. Intorno alla vexata quaestio, sempre nuova e sempre diversa, dei canoni letterari, del loro ruolo e della loro formazione, sono incentrati i saggi che seguono, nati originariamente come interventi per un Simposio, intitolato «Canoni assenti» e dedicato alla poesia italiana contemporanea in una prospettiva comparatistica che ha previsto un allargamento della discussione anche all’ambito anglosassone e francese. L’evento è stato organizzato dal Dipartimento di Italiano della Columbia University di New York, diretto da Paolo Valesio, al cui saggio incipitario si rimanda per la lettura della dichiarazione programmatica con un’esplicita trattazione dei temi e degli intenti del Simposio medesimo. Si è partiti dall’idea di un’‘assenza’ che non implica una volontà di eliminazione del canone quanto piuttosto la constatazione di una lacuna; una lacuna che, d’altra parte, non determina necessariamente dei rimpianti ma che semmai registra un vuoto e la difficoltà di riconoscersi in nuovi canoni del contemporaneo.
Negli intenti degli organizzatori, la prospettiva del Simposio è stata quella di una critica che una volta si sarebbe chiamata ‘militante’ e ad essa ci si è indirizzati: le scelte di un redattore di rivista, di un antologista, di un traduttore e simili hanno sempre implicazioni canoniche, anche se non si irrigidiscono nel senso più istituzionale e monumentale di ‘canone’; ecco perché questo simposio si è proposto di dare voce prevalentemente a coloro che si occupano di riviste e antologie poetiche. Ognuno dei partecipanti è stato così invitato a svolgere un intervento che si ponesse non come una dissertazione astratta bensì come una relazione su lavori in corso o conclusi da poco, comunque con un concreto rimando al proprio ruolo di ‘addetti ai lavori’, per così dire. Per simili ragioni, ogni giornata di studio è stata quindi conclusa da due serie di letture poetiche (in tre lingue: italiano, inglese e francese) con due dozzine di autori reclutati tra i conferenzieri ed altri intervenuti. È appena necessario avvertire che l’ampiezza e la natura del tema prescelto presupponevano a priori la rinuncia ad ogni pretesa di esaustività, e che il gruppo dei congressisti è rappresentativo ma non completo rispetto allo sconfinato panorama di riviste e antologie poetiche in Italia e negli Stati Uniti. Alcuni degli interventi sono stati rielaborati per la presente pubblicazione (mentre per motivi indipendenti dalla volontà dei curatori sono venuti a mancare in questa sede l’attesa relazione del Pulitzer Prize Richard Howard e quella di Nancy Kuhl). I testi appaiono in una delle due lingue del Simposio, l’italiano e l’inglese, rispecchiando per lo più fedelmente il modo in cui furono effettivamente presentati. L’ordine stesso degli interventi riproduce quello del programma originario, fedele ad una comunque relativa quanto spesso labile distinzione di ruoli con cui i relatori sono stati raggruppati: editori e redattori di riviste, curatori di antologie e traduttori, critici e in molti casi scrittori, tutti i partecipanti al Simposio si sono in realtà distinti in molteplici ruoli. È similmente impossibile riassumere se non in maniera parziale l’originalità e la pluralità dei metodi e delle prospettive esibiti dai vari partecipanti: Paolo Valesio, vero ideatore dell’evento e co-curatore degli Atti, ha incastonato i propri assunti teorici in un’abile rilettura della ballata medievale For de la bella bella cayba; Franco Buffoni ha saputo animare un acceso dibattito difendendo l’autonomia dei due mestieri, quello di critico e quello di poeta; Daniele Piccini si è espresso a favore di un’idea non normativa e dogmatica di canone in un ampio tentativo di sistemazione della poesia italiana del Novecento; Carlo Alberto Sitta ha individuato nei due concetti antagonistici di analogia e anomalia i principi di due separati canoni novecenteschi; Francesco Stella ha discusso la devolution della poesia contemporanea a vantaggio di altri media unitamente al problema della perdita del mandato sociale del poeta e alla crisi che ne deriva; partendo da uno spunto au tobiografico, Alberto Bertoni ha concluso il suo intervento con l’esempio concreto di una nuova proposta di canone suggerendo tre esempi di poesia civile del secondo Novecento: quella di Nelo Risi, di Gianni D’Elia e di Giancarlo Sissa; analizzando la specificità della situazione americana rispetto al modello eurocentrico, Richard Deming si è schierato a favore di una desacralizzazione del canone nel contesto di una economia globale dove è discusso il ruolo dell’editoria partendo dall’analisi concreta di due antologie statunitensi; Lucia Re ha proposto una radicale ridefinizione del canone poetico italiano attraverso il caso esemplare di Amelia Rosselli; con finalità anti-istituzionali, Davide Rondoni, da poeta qual è, ha ripensato il canone attraverso la metafora della passerella per arrivare al mare; Antonella Francini si è soffermata sul ruolo delle antologie mediante l’attenta descrizione di otto volumi di poesia americana usciti in Italia tra il 2002 e il 2006; Jean-Jacques Poucel, infine, ha affrontato la questione del canone sul versante dell’iper-contemporaneo francese sottolineando l’importanza dell’avvento della Revue de Littérature Générale.
Il Convegno «Canoni assenti» si è tenuto a New York nel Teatro dell’Italian Academy for Advanced Studies in America il 27-28 ottobre 2006. Nel licenziarne gli Atti un particolare ringraziamento va al Direttore dell’Academy, David Freedberg, e a tutti i suoi collaboratori per la generosa ed elegante ospitalità. La stessa gratitudine va alla Redazione di «Semicerchio» per aver accettato di ospitarci tra le sue pagine. Un pensiero ugualmente riconoscente va quindi rivolto a tutti i nostri sponsor: la rivista «Italian Poetry Review» (IPR), il Center for Comparative Literature and Society della Columbia University, l’Istituto Italiano di Cultura di NewYork, la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University e, infine, l’associazione Crossroads. A tutti i partecipanti (i conferenzieri, i poeti, i moderatori e i contro-relatori) va il nostro ringraziamento più cordiale. Ma da ultimo, in qualità di co-curatore, mi preme ricordare non solo PaoloValesio e Teodolinda Barolini ma tutti i colleghi del Comitato organizzativo del Convegno: Gian Maria Annovi, Steve Baker, Rebecca Bauman, Juliet Nusbaum e Saskia Ziolkowski, senza la cui dedizione nulla sarebbe stato possibile realizzare.
Nel mio canone privatissimo quanto ininfluente degli explicit letterari, ho sempre riserbato un posto certo al finale delle Città invisibili di Italo Calvino. Non so bene se la città senza forma possa rappresentare un corrispettivo troppo negativo dell’assenza di canoni, della caoticità della situazione presente quale sembra emergere dai vari contributi qui raccolti e che non pare limitata al solo ambito italiano. Ma continuo a conservare una fiducia ottimistica sul ruolo della letteratura e delle sue molteplici manifestazioni. Continuo ad aver fede anche nei canoni non come strumento egemonico di sopraffazione ma come inevitabile mezzo per adempiere la funzione del critico che è poi quella politica, estetica e selettiva, di chi si trova nell’«inferno dei viventi»: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
NOTE
1 Eugenio Montale, Il profeta dell’apocalisse [Intervista di Corrado Stajano, 1964], in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori (I Meridiani) 1996, p. 1640.
2 Cfr. Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, Torino, Einaudi 2000, p. IX.
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