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Le voleur de feu. Bufalino e le ragioni del tradurre, a cura di CETTINA RIZZO, Firenze, Olschki, 2005, €23,00.
 
 Ecco un libro importante. Ben scritta e stimolante, la presente raccolta di saggi riesce perfino a sembrare, pur nella sua accademica veste, attuale, tempestiva, puntuale nell’indagare uno dei filoni maggiori della comparatistica e della teoria della letteratura contemporanea – la traduttologia -, nel corpo vivo di uno scrittore che della traduzione ha fatto una ragione di vita e di scrittura («un’attività strutturante dell’opera letteraria di Bufalino», p. 7). L’approccio filologico-letterario prima che teorico – è significativo che non ci sia una teoria di riferimento trasversale alle cinque autrici – garantisce una ricchezza di informazioni circa i testi e gli autori affrontati, fornendo di fatto gli elementi per leggere e rileggere l’intera produzione letteraria di Bufalino.
 Maria Cristina Pino affronta la versione di Suzanne et le Pacifique di Giraudoux (trad. it. Susanna e il Pacifico, Sellerio 1980), prima occasione per riflettere sullo statuto complesso dell’arte traduttoria di Bufalino, a un tempo lettore innamorato, critico glossatore, esecutore e rifacitore appassionato, cultore della copia e dell’intarsio come strumenti di costruzione di un mondo che non può essere che letterario. Nelle pagine di Giraudoux, Bufalino trova sfogo al suo barocco borrominiano, al punto di ricorrere spesso – sono parole di Maria Cristina Pino – «all’uso di ‘incrémentalisation paraphrastique’, e cioè ad alcuni veri e propri arricchimenti sul piano del significante e/o su quello del significato, non sempre però per rendere meglio il valore semantico di alcuni termini francesi, quanto piuttosto perché preferisce utilizzare un linguaggio personalizzato», coerentemente con quanto accade nelle versioni poetiche, decisamente sbilanciate dalla parte della lingua e della poetica del traduttore (e per questo si può affermare che Bufalino è un traduttore cibliste), e a un tempo stranianti, per via d’una continua tensione al calco personale, all’invenzione linguistica e metrica.
Stefania Squatrito, nell’analizzare l’Histoire d’Alphonse et de Bélasire di Mme de La Fayette, procede anch’essa dall’analisi del testo di partenza inquadrato correttamente nel suo contesto per approdare solo in un secondo momento al confronto tra testo italiano (L’amor geloso, Sellerio 1980) e fonte francese. Tra i fenomeni più rilevanti si segnalano: «la spiccata rielaborazione grafica e tipografica del testo italiano» e le «difformità lessicali e sintattiche che, non limitandosi all’aspetto grafico, intaccano il piano contenutistico» (fenomeno particolarmente evidente nei luoghi romanzeschi più drammatici). Il saggio si conclude con un ragionamento sulla scelta del traduttore e sull’interesse tematico oltre che stilistico per l’opera francese.
Un curioso libro di Bufalino (E. Renan– J. Giraudoux, Due preghiere, a cura di G. B., Sellerio 1981) è l’occasione del terzo saggio: Rossana Curreri, Bufalino traduttore di Renan ovvero infinito interprete di se stesso. L’interesse per Renan e in particolare per una sua opera minore (Preghiera sull’Acropoli) è correlato per Curreri ad affinità biografiche, secondo una logica di ‘immedesimazione’: la passione filologica e traduttoria di Renan e Bufalino, la crisi religiosa culminata con l’abbandono del cristianesimo, il cui vuoto viene colmato dall’esperienza estetica, avvicinano Bufalino a Renan. In conseguenza di ciò, dice Curreri, Bufalino traduce il testo di Renan alla lettera: «la scelta traduttiva di operare un incessante corpo a corpo con il testo è dettata... non solo dalla tradizione di tradurre testi sacri, e di conseguenza quelli ritenuti tali, rispettando il principio di ‘letteralità’ affermato da san Gerolamo, ma si rivela anche indice di una piena affinità di sentimenti religiosi tra i due autori che comunicano a distanza di un secolo».
Alla curatrice Cettina Rizzo spetta l’arduo compito di sviscerare i segreti delle Contrerimes di Paul Jean Toulet, la cui traduzione manoscritta (Le Controrime, pubblicate da Sellerio nel 1981) è conservata negli archivi della Fondazione Bufalino a Comiso. Tra analisi stilistica, metrica e tematica, Rizzo ci introduce così nell’universo poetico dello stesso traduttore: «attraverso la diversa formulazione dell’opera poetica di Toulet appare la visione del mondo di Bufalino, disincantata e schiva ma consapevole e curiosa, sempre aperta alle suggestioni di una riscrittura seguendo l’impulso di una variazione» (p. 146). Universo poetico che, com’è evidente ai lettori del siciliano, esplode a contatto con Les Fleurs du Mal, qui messo sotto la lente d’ingrandimento da Francesca Alessandrello (Bufalino traduttore di Baudelaire: un perfetto esempio di ‘affinità elettiva’). Baudelaire è per Bufalino il reagente che – lo possiamo verificare nel saggio di Daniela Giusto Per Poe: leggere per scrivere – mette in moto uno dei più interessanti ragionamenti sulla traduzione, e quindi sulla scrittura come lettura e rilettura, come creazione di sé e del mondo. La traduzione di Baudelaire è per Bufalino un placebo, terapia per indurre il sonno attraverso la ricostruzione dei testi baudelairiani a partire dalle rime e nel ritmo imposto dalle scelte metriche, e catalizzatore di poesia, un perfetto strumento per riattivare – vincolo metrico-semantico – il nuovo processo creativo che è la traduzione stessa (secondo un’interpretazione che ci porta – come ho avuto occasione di scrivere altrove – in un’area prossima alla letteratura potenziale e alla réglomanie di Raymond Roussel. Le lunghe analisi di Alessandrello ci conducono così al centro della poetica di Bufalino, che qui, nella lettura-scrittura delle Fleurs du Mal, trova uno dei suoi punti di origine e di continuo ritorno.
Claudia Cardone chiude il discorso sulle traduzioni poetiche di Bufalino, affrontando le versioni di sette poesie di Hugo (Le orientali, Sellerio 1985), stavolta non assolutamente isometriche, come nel caso bodleriano: «Bufalino rispetta... l’armatura della poesia ma sfugge volentieri il sincronismo fra suono e senso, concedendosi una certa libertà nella distribuzione dei versi all’interno della strofa» (p. 212). Infine, il pezzo finale dedicato allo splendido volumetto Per Poe (Sellerio 1988), raccolta anomala quanto bufaliniana dei testi bodleriani sul poeta americano, è l’occasione per rafforzare l’idea di un’attività traduttiva tutt’altro che estemporanea e marginale, quanto semmai fondante l’intera poetica di Bufalino.
 
Simone Giusti

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