« indietro PIERLUIGI PELLINI, In una casa di vetro. Generi e temi del naturalismo europeo, Firenze, Le Monnier, 2004, pp. 264, €17,00.
Che cosa potrebbe aggiungere un nuovo studio critico sul Naturalismo francese alla già folta, e non sempre indispensabile, letteratura sull’argomento? Il comparatista Pierluigi Pellini suggerisce invece nel suo In una casa di vetro. Generi e temi del naturalismo europeo (Le Monnier 2004) nuovi rapporti e nuove prospettive da cui guardare al Naturalismo e agli esiti migliori del nostro Verismo. Sono pochi, infatti, i testi che affrontano in una seria ottica comparatistica lo studio dei capolavori francesi e italiani, e altrettanto esigui sono i lavori che indagano sui legami che i capolavori verghiani stringono con l’amato/odiato Flaubert o persino con il peggior Zola (quello di Le Voeu d’une morte, per intenderci) o, ancora, gli studi che s’interrogano sull’eredità tutta derobertiana raccolta da Tomasi di Lampedusa.
Scandagliando con acribia quasi filologica le ragioni che nel 1874 spingevano Verga a rifiutare in toto l’ideologia sottesa a Madame Bovary e le provocazioni del suo scrittore, e analizzando quelle che di lì a pochi anni lo porteranno ad abbracciare il credo naturalista senza (troppe) remore, Pellini ci restituisce un’ottica dimenticata grazie alla quale ci si avvicina a questi testi senza il timore che il loro fascino e il loro valore venga diminuito dall’individuazione di fonti comuni o contaminazioni.
Seguendo una prospettiva antropologica, narratologica e tematica, lo studioso propone in un unico volume lavori già editi e altri inediti o tradotti per la prima volta dal francese e discute l’immagine architettonica e zoliana della «casa di vetro», rendendo ancor più chiaro il debito che il romanzo novecentesco ha nei confronti della sperimentazione e dell’avanguardia di fine Ottocento. Non senza lasciare in tendere però che la metafora della trasparenza agisce spesso e volentieri a livello stilistico, ma mal si adatta a delineare una poetica chiara e univoca, trasparente appunto, del Naturalismo. Anzi.
Attraverso l’attenta analisi dei plans e degli abbozzi zoliani (sezione che occupa non solo fisicamente la parte centrale del volume), lo studioso ci ridona un’immagine non univoca e monolitica, ma ambigua e contraddittoria del romanzo del secondo Ottocento, prodotto spesso di equilibri precari, risultanti dalla tensione all’immaginario romantico e dall’osservanza di un progetto teorico e delle sue contraintes naturaliste. Pellini ripercorre inoltre le pagine più emblematiche del Mastro-don Gesualdo, dei Viceré, dell’Assommoir, di Germinal e ne evidenzia e discute l’ossessione tutta naturalista per la morte, gli explicit tra la dissacrazione dei topoi romantici e il finale della morte in sordina, il tema ricorrente della follia, l’attenzione quasi morbosa al patologico, il concetto di tipo.
L’opera si configura quindi come una lettura per gli addetti ai lavori ma anche come un invito rivolto a studenti e non specialisti per rivalutare e rileggere l’histoire naturelle et sociale del romanzo naturalista italiano e francese. Una buona occasione per ripercorrere, attraverso una ricostruzione mai scontata e superficiale, le discussioni e le problematiche non ancora risolte su un periodo della storia letteraria europea che reclama il diritto ad analisi e studi seri perché non ha ancora finito di dirci tutto. Il resto – come annuncia l’autore stesso nelle ultime pagine del volume – «sarà per un’altra volta».
Nadia Rosso
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