« indietro ANATOLE BROYARD, Furoreggiava Kafka. Ricordi del Greenwich Village, postfazione di FRANCESCO ROGNONI, traduzione di Barbara Cingerli e Francesco Rognoni, Milano, Edizioni Bonnard, 2005, pp. 182, €16,00.
Nel 1946, primo anno di pace, quando «tutti stavano riscoprendo i piccoli piace ri», un reduce provinciale di 26 anni, aspirante scrittore che veniva dal quartiere francese di New Orleans, andò a vivere al Greenwich Village. E si sentì gratificato come se stare lì fosse la ricompensa per aver fatto la guerra nel Pacifico. Gli sembrò che il fatiscente Village, ma anche tutta New York, avessero «un’immensa, invitante dolcezza», come la Parigi degli anni venti nelle pagine degli americani ‘esuli’ in Europa.
Al Village cominciò tutto per il reduce: l’educazione alla letteratura, all’arte, ai sentimenti, alla vita. Erano gli anni dell’action painting e del revisionismo in psicoanalisi, era l’epoca in cui Kafka was the rage, «furoreggiava Kafka». È proprio questo il titolo della singolare, godibilissima testimonianza d’amore per il Village e per New York, nella tarda rievocazione del bohémien neworleanese. Si chiamava Anatole Broyard (1920-90) e nella Grande Mela avrebbe fatto strada, divenendo il raffinato e temuto critico letterario, per diciotto anni, del New York Times.
L’ancora ‘innocente’ Anatole iniziò la sua carriera nel Village e nell’establishment letterario-artistico quando incontrò «un’opera d’arte più che una donna», la pittrice astrattista Sheri Donatti e si trasferì (o meglio fu arruolato) da lei. Fu «un andare a letto con l’arte moderna», un’arte che Anatole ancora non capiva. E qui manca lo spazio per citare qualcuna delle smaglianti, divertenti, disincantate e sempre sorprendenti invenzioni di scrittura che gremiscono questo libro molto speciale. «Stare con lei – scrive Broyard di Sheri era come avere un’erezione continua: dopo un po’ fa male. Avevo bisogno d’annoiarmi di tanto in tanto – la noia è il momento della fantasia – ma lei me lo impediva. Diceva che la noia è un’emozione domestica». La ragazza in realtà si chiamava Sheri Martinelli (1918-96), un personaggio che attraversò molti ambienti dell’avanguardia americana. Modella e pittrice astrattista, interprete di film, amica di Bukowski, di Marlon Brando e di altre stelle del tempo, protetta dalla mitica Anaïs Nin, divenne figurativa quando incontrò, nel manicomio di St. Elizabeth, Ezra Pound, di cui fu l’ultima musa (è lei la «Undine» del Canto 91). Ma nei ricordi di Broyard si incontrano altri personaggi: gli insegnanti ai corsi per i reduci della «New School», che erano nientemeno che Meyer Shapiro, Erich Fromm e Rudolf Arnheim, e gli amici, come Dylan Thomas e la moglie Caitlin, lo scrittore Delmore Schwartz, che diventerà protagonista del Dono di Humboldt di Saul Bellow. Nel Village poteva capitare di scontrarsi con un vicino poeta, che si chiamava W.H. Auden, sempre frettoloso e sgambettante con le immancabili espadrillas (accadde a Sheri, in una cartoleria, ed entrambi finirono a gambe all’aria). Giustamente Francesco Rognoni parla nella postfazione di sfacciata purezza e di grazia malandrina, e ricorda il giudizio di un collega di Broyard al New York Times: «Non credo che fosse capace di venir fuori con una sola pagina noiosa». Uscito postumo a cura della moglie, Furoreggiava Kafka si divide in due parti e riserva una sorpresa finale, un dettaglio importante taciuto da Broyard e svelato solo nella postfazione di Rognoni (ne lasciamo la scoperta ai lettori). La seconda parte è «Dopo Sheri», e racconta in modo non meno godibile di molti altri amori letterari e soprattutto carnal-sentimentali dell’autore. Ma si interrompe quando Broyard, colpito dal cancro, abbandonò i ricordi per dedicarsi a mettere su carta la descrizione del proprio male. Non fu questa l’unica interruzione nella vita del nostro. Per anni tutta la New York intellettuale attese il grande romanzo che egli avrebbe dovuto scrivere e che mai uscì. Ci restano, oltre alla raccolta delle sue recensioni, spesso stroncature crudeli, un paio di mirabili racconti divenuti cult, e questo libro-ricordo di un’epoca, della quale Broyard ha contribuito non poco a costruire la leggenda.
Carlo Vita
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