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DURS GRÜNBEIN, Della neve ovvero Cartesio in Germania, Einaudi, Torino 2005, pp. 273, €16,00.
 
 In Della neve ovvero Cartesio in Germania, pubblicato da Einaudi nella bella traduzione di Anna Maria Carpi, che del poeta nato a Dresda aveva già curato una scelta di poesie dal titolo A metà partita, Durs Grünbein si espone ad un vero e proprio azzardo poetico, dal momento che si propone di raccontare dall’interno la nascita del razionalismo moderno mettendone in luce, attraverso la figura di Cartesio, l’origine complessa ed ambigua. In un’intervista il poeta ha spiegato chiaramente la ragione della scelta di Cartesio, sottolineando come il colloquio col filosofo abbia significato una via di fuga dall’«asfittica situazione della poesia contemporanea», la possibilità di portare avanti il proprio «auto-isolamento poetico», inteso come condizione necessaria della sua poesia. Cartesio è infatti per Grünbein uno dei filosofi più fraintesi della modernità, a cominciare da Leibniz, che, inaugurando con ciò la tradizione idealistica tedesca, ‘congela’ Cartesio in una posizione unilateralmente e aridamente razionalistica. Il poema punta invece proprio a cogliere l’elemento non razionale della nascita del razionalismo moderno, il momento poetico di questo atto di fondazione. Alla base della fascinazione per la figura di Cartesio sta il tentativo di mostrare la comune origine di pensiero moderno, scienza e poesia, un’unità che è alla base della poetica di Grünbein, così come, secondo la sua ottica, dei due massimi poeti a cui si ispira, Dante e Mandelstam: non a caso – ricorda Grünbein – Mandelstam ha definito Dante come il ‘Cartesio della metafora’.
 Il paesaggio innevato è in tal senso per Grünbein, oltre che un motivo dalla lunga e feconda tradizione, soprattutto nella cultura tedesca, lo sfondo metaforico idea le su cui proiettare le proprie costruzioni poetiche: «La neve è l’elemento che meglio corrisponde al doppio processo cartesiano della tabula rasa, da un lato, e della razionale cristallizzazione del pensiero moderno. La ragione cartesiana dev’essere stata stimolata dall’astrazione delle forme coperte dal manto di neve. Il mondo appare allora al filosofo come pura costruzione geometrica». La dimensione metaforica della neve, che spazia dal sogno all’astrazione, si presta perfettamente a riassumere in un’immagine la coincidenza tra origine del metodo scientifico e spazio della poesia. «Lo stesso Cartesio– aggiunge il poeta – non ha difficoltà ad ammettere che il suo Discorso nasce da visioni e sogni. Due elementi che oggi abbiamo relegato alla psicoanalisi o alla religione, ma che per Cartesio sono all’origine del suo pensiero e decisivi nella sua vita.» Ma la scelta di Grünbein è andata al «Cartesio in Germania» anche perché l’inverno che segnò l’intuizione del principio alla base del pensiero moderno ha luogo nella Germania dilaniata dalla Guerra dei Trent’anni: «tutte le deformazioni del nostro carattere rimontano alla peste di quella guerra religiosa mai davvero debellata nell’anima tedesca ed europea. Il contrappunto di razionalismo cartesiano e guerra religiosa è l’aspetto più attuale del mio poema, nel senso preciso che il modello ‘molecolare’ della Guerra dei Trent’anni, dopo i due conflitti mondiali, è la forma-base dei conflitti religiosi che stiamo ormai vivendo, dai Balcani al terrorismo su scala globale.»
 Se questo è lo sfondo filosofico e poetologico dell’opera, la sua novità e la sua felice riuscita risiedono ovviamente nel come Grünbein realizza questa idea. Della neve è infatti un vero e proprio poema classico dal respiro ampio e al tempo stesso unitario, che sorprende per diverse ragioni, la prima delle quali è di ordine strettamente formale. Si tratta infatti di un’opera molto rigorosa, divisa in 42 canti composti ciascuno da sette strofe che ricordano da vicino la «stanza» tardo-rinascimentale, una strofa con quattro coppie di versi variamenti rimati e chiusa da due versi in rima baciata. Dalla scansione metrica, anche in virtù delle necessarie e benvenute eccezioni, scaturisce in realtà un vero e proprio racconto dalla musicalità estremamente fluida e scorrevole, spesso ironica e corrosivamente comica, sorretta com’è dalle eccezionali doti di versificatore di un poeta come Grünbein, che usa qui il metro giambico dell’alessandrino seicentesco, il verso preferito dal barocco tedesco proprio in virtù del suo respiro ampio e solenne, oltre che della sua estrema duttilità che, secondo Opitz, lo rende così simile alla «freye Rede», al discorso libero. Se questo è lo spirito che anima la ripresa di questo metro da parte di Grünbein, non sorprende che il poeta non rispetti sempre i sei accenti canonici e la cesura a metà verso. Si tratta in ogni caso di particolari formali tutt’altro che secondari, soprattutto in relazione al problema – felicemente e originalmente risolto nella sua traduzione da Anna Maria Carpi – della loro resa in italiano, per la quale la traduttrice sceglie un metro ‘elastico’ fondato, come precisato nella postfazione, sulla giustapposizione di alcuni endecasillabi e di aggregazioni diverse di settenari e quinari.
Nel poema Grünbein ricostruisce due episodi centrali nella vita e nel pensiero di Cartesio: il periodo di intensa meditazione che lo condusse all’intuizione del principio fondamentale della filosofia moderna, il famoso «Cogito, ergo sum» al centro del Discours de la méthode, e la morte, avvenuta a Stoccolma trent’anni dopo in un altro freddissimo inverno, quello del 1649-50. Al primo episodio, che si svolge nel paesaggio innevato della campagna vicino Ulm alla fine del 1619, sono dedicati i primi 31 canti, mentre al gelido inverno trascorso nel palazzo della regina Cristina di Svezia sono dedicati i restanti 11.
Voce fondamentale del poema è, accanto al filosofo, quella del servo Gillot, che fa da contrappunto all’ipocondriaca propensione di Cartesio all’introversione e alla solitudine, mettendo in moto quasi tutte le situazioni del poema, come, per fare un esempio che valga per tutti, nell’incipit, in cui sono mirabilmente condensati sia il tono che l’ambito metaforico del poema: «Monsieur, wacht auf. Es hat geschneit die ganze Nacht. / Soweit das Auge reicht auf einer weißen Fläche, / Schmückt sich das Land mit weißen Kegeln. Es sind Bäume, / Die mit der Winterhand der große Arrangeur / Veredelt hat. Man sagt, Ihr schätzt ihn, seinen Spieltrieb, / Der Türmen Hauben aufsetzt und die Dächer deckt / Mit kalten Daunen. Sein kristallenes Flanell, / Gewebt aus Flocken, polstert faltenlos die Fluren aus, / Bis alle Welt verzaubert ist und tief verschneit – / Ein Foliant mit weißen Seiten, die nur er beschreibt.» («Destatevi, Monsieur. Tutta notte che nevica. / Fin dove arriva l’occhio è bianca la pianura, / è tutta un cono bianco. Sono gli alberi / che il grande arrangiatore con invernale mano ha ingentilito. / Voi apprezzate, dicono, lui e il suo umore ludico / che incappuccia le torri, che gelidi piumini / adagia sopra i tetti. Flanella di cristallo, / una liscia imbottita sopra i campi, / finché la neve è alta e il mondo un incantesimo - / pagine di un in folio su cui lui solo scrive.»)
 Un in-folio, questo, su cui dimostra di saper scrivere anche Grünbein che, nei 3000 versi del suo poema, dipana le sue variazioni sull’immagine-non immagine della neve in modo tanto virtuosistico quanto denso di suggestioni poetiche, filosofiche, scientifiche e culturali sempre capaci di accendere l’intelligenza poetica del lettore.
Gianluca Miglino 

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