« indietro JANE URQUHART, Qualche altro giardino, trad. e cura di LAURA FERRI, Roma, Del Vecchio 2007, pp. 199, € 12,00.
MARGARET AVISON, Cemento e carota selvatica, a cura di LAURA FERRI, Roma, Del Vecchio 2008, pp. 177, € 13,00.
I due volumetti di poesia canadese con testo a fronte curati da Laura Ferri – direttrice del Centro Siena-Toronto – per le edizioni Del Vecchio danno voce ad una tradizione ben radicata della letteratura canadese che sin dagli esordi ha visto protagoniste autrici e ha assunto la poesia quale banco di prova e d’esordio di molti scrittori, anche contemporanei. Jane Urquhart (1949-), infatti, è forse più nota come romanziera al pubblico internazionale, ma si è cimentata prima come poetessa. In particolare, la presente raccolta include due diverse serie di poesie: I Am Walking in the Garden of His Imaginary Palace (1982) e The Little Flowers of Madame de Montespan (1983).
Margaret Avison (1918-2007) è invece stata poetessa per vocazione e le poesie qui presentate, Concrete and Wild Carrot, fanno parte della raccolta Always Now Volume Three (2005), alla cui traduzione hanno contribuito le allieve del Master in Traduzione Letteraria dell’Università di Siena. Per quanto lontane queste due voci possano essere per motivi generazionali, per timbro e per convincimenti (Avison predilige temi etico-religiosi), esse qui si trovano in consonanza per un tema comune: la natura. Celebrata da Avison nei suoi mutamenti minimi o macroscopici dovuti ai cambiamenti climatici repentini e drammatici così tipici del Canada, la natura accompagna piccole scene di vita familiare, la visita di amici, e diventa metafora di vita, come «l’essere formica». Altre liriche sono dialoghi quasi filosofici con teologi e studiosi del Divino, che pure si esprime attraverso portenti naturali. La sua è stata definita poesia metafisica, eppure è molto diversa dalla lirica di una Emily Dickinson, per esempio. La realtà cui attinge e il lessico delle piccole cose sono quelli della nostra contemporaneità e modernità. Si trova poi, nelle poesie della Avison quasi un elogio della vita all’aria aperta, del fuori, del cortile opposto al dentro della casa, della cucina, delle stanze. Come una celebrazione della primavera e dell’estate canadese, che pure devono essere così brevi, in alternanza con il «rigore di 40 sotto zero!».
Sorprende quasi trovare un’apostrofe severa e disincantata ai
Post-moderni:
cioè coloro che (egli disse)
in tutta onestà di cuore
negano ogni certezza eterna: essendo
alla ricerca della verità
plausibile, umilmente
sostituiscono ai simboli antichi
ciò ch’essi affermano come
‘il logocentrico’
Ma Avison è appunto un’attenta osservatrice della realtà culturale del nostro tempo e un’attiva interlocutrice del dibattito teorico che a Toronto trova un’arena privilegiata. La politica e il denaro non mancano di attirare le sue invettive garbate.
Le traduzioni eccellenti di Laura Ferri, attente alla resa di allitterazioni, ripetizioni sonore e termini desueti pur prestando fede alla letteralità, restituiscono anche le visioni frammentate di Jane Urquhart, che come la Avison rompe il verso in modo arbitrario e libero creando cesure di suono e di senso. La natura in questo caso è quella domata e addomesticata, artificiosa, dei giardini del Re Sole, Luigi XIV, percorsi dallo sguardo di Madame de Montespan, sua amante. Divenire altra, immedesimarsi nello sguardo di una donna del passato è metamorfosi facile per un discorso di genere che guarda agli arredi, alle stoffe, agli oggetti con repentini rivolgimenti per cui, per esempio, il Re Sole diviene «l’unica ombra nella stanza». E ancora, guarda alle donne, alle loro bare di vetro:
Conosci le donne
Hanno sostato sulla soglia delle tue
stanze carezzato
i tuoi arazzi
memorizzato il tuo giardino…
L’esperienza coloniale è qui resa attraverso l’incubo del Re, che assume torme di abbattitori per estirpare gli alberi delle foreste della Nuova Francia, ma la Terre Sauvage, dura, nasconde il grande scudo canadese di roccia, e il rombo di tuono si rivela in tutta la sua potenza:
Viene a trovarsi sulla cascata. Rimane sbalordito. Manca completamente di simmetria, nondimeno è più vasta di ogni altro gioco d’acqua che egli abbia mai visto. […]
E poi scivola sulla roccia bagnata. Gli cadono scettro e tunica e manto nelle acque vorticose. E precipita giù. Sente di essere proprio il vero centro di una fontana. Cade URLANDO.
La settimana seguente elimina dal suo vocabolario la parola gloria, per sempre.
Il verso diviene quasi prosa, ma non perde il ritmo proprio della lirica. La versatilità della poesia di Urquhart si declina non solo nella misura variabile del verso, ma anche nelle metafore che spesso si riferiscono alla scrittura, al segno grafico, il disegno nel cielo di uccelli in volo, parole «come perline sul marmo / in cerca di più libere destinazioni / parole».
I giardini del Re, progettati, fatti e rifatti dall’ossessionante desiderio di disegnare la natura, ma anche dalla penna della poetessa, sono natura in forma di poesia, non meno artificiali e artificiosi di quelli regali. Lo sguardo della donna si sostituisce al desiderio del Re e anela a quel divino potere di nominare e creare insieme. Il giardino poetico come quello reale pone la cortigiana/poetessa sullo stesso piano del Re: anche lei crea e riordina la natura selvaggia in rime ordinate, in cesure e passaggi che disegnano la pagina a immagine e somiglianza del nitore dei giardini di Versailles. La penna non è come la vanga, come per Seamus Heaney; qui la penna è la matita del progettista giardiniere che mira ad un’arte estetizzante, rarefatta, controllata, non selvaggia.
Forse al lettore italiano, oltre alla pregevole traduzione, avrebbe giovato una prefazione più esaustiva su queste opere poetiche delle due scrittrici, che vanno inserite nell’ambito della cultura e della produzione poetica così ricca in Canada.
(Carmen Concilio)
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