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MARRY NETTIE E GERTRUDE STEIN,
IMPROBABILE CONNUBIO
di Marina Morbiducci
 
«Questo matrimonio non s’ha da fare»
 
Come Gertrude Stein assumesse il Futurismo, appare chiaro nel suo ‘ritratto’ Marry Nettie, composto a Mallorca nel 1917, appartenente alla sezione «Portraits and Other Short Works»[1]; tuttavia, questo scritto apostrofa qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto al movimento d’avanguardia lanciato da Marinetti.
Siamo nel periodo della guerra. Gertrude e Alice, già in coppia, riparano nell’isola spagnola, dove soggiornano altri vari esponenti del coté culturale contemporaneo internazionale; in quella fase, Stein, come dice in una lettera del marzo 1916 indirizzata all’amico Carl Van Vechten – il quale la esortava a ritornare in America - rispondeva che lì, a Mallorca, stava facendo «so much absorbing literature with such attractive titles»[2], tra cui, appunto Marry Nettie, il cui sottotitolo, «Alright make it a series and call it Marry Nettie» – di tipo autoreferenziale e metaletterario – è un lampante riferimento al carteggio appena citato: all’ipotesi, assai improbabile, di essere pubblicata in serie negli Stati Uniti, come Van Vechten le scriveva, Stein rispondeva lucidamente con ironica consapevolezza, «oh where is the man to publish me in series»[3]. Dunque, come per gran parte degli scritti steiniani, al di là del titolo che potrebbe far presumere una certa direzione o tematica, Marry Nettie è un brano su se stessa, sulle proprie urgenze compositive, le proprie istanze di scrittura idiosincratica, la propria visione estetica. Afferma Marjorie Perloff che «[f]rom a modernist literary perspective, it functions as Stein’s own counter-Futurist manifesto, her very covert and witty proclamation of difference and subversion»[4], il tutto rivolto più ad affermare positivamente la propria poetica, che non per distruggere quella marinettiana: «[i]t would be misleading [...] to assume [...] that Stein was the enemy of Futurism [...]. Nor can we assume that Stein’s oblique upstaging of Marinetti represents the larger resentment she felt toward male artists in general»[5]. Come sottolinea Bonnie Marranca, in quel periodo
 
the air was filled with the talk and art of cubism, futurism, dadaism, surrealism, and the last vestiges of symbolism. It would be a disservice to Stein not to read her in the context of these literary and visual styles, though cubism is the only one she acknowledged as an influence on her work[6];
 
infatti, puntualizza ancora Marranca,
 
[i]f some aspects of […] futurist literary pursuits can be traced in Stein’s work, she was never a member of any movement. They were simply a part of the intellectual milieu of her time […] Her writings were not printed in their [...] avantgarde journals and magazines of the day[7].
 
Siamo dell’avviso che il testo Marry Nettie si ponga come un pre-testo per chiarire, illustrare, sviluppare, una serie di sotto-testi, concernenti la sua scrittura, la sua esistenza, la sua relazione amorosa; giustamente, Perloff ci invita a prendere in considerazione la ‘layeredness’ modernista, ovvero, la tessitura testuale a più strati del brano dove le parole possono essere assunte sotto una visuale decostruzionista ante-litteram – che sopravanza di almeno trent’anni la testualità ancora paratattica del Futurismo: «[w]ords, text suggests, can be torn open and realigned so as to uncover relationships that Marinettian parataxis had tended to ignore»[8].
Ne è esempio stesso il titolo del ‘ritratto’, dove il cognome dell’artista italiano, Marinetti (identico per suono a Marry Nettie) diventa schizofrenicamente diviso, ovvero ‘split open’, aperto, sviscerato, in due distinti gruppi di due sillabe ciascuno, venendo a costituire, nel suo smembramento e successivo raddoppiamento sintagmatico, una vera e propria frase nel modo imperativo: ‘Marry Nettie’ sembrerebbe quasi un invito a ‘Sposare Nettie’ – ma Nettie, se qualche persona è, può solo essere Alice – l’unica che Gertrude vorrebbe come moglie (pur avvisandoci nella prima pagina del testo che «There is no such thing as being good to your wife», 459). Ecco quindi che il roboante vate italiano viene assorbito, annullato, ammansito, nella domesticità e affettività privata della donna-scrittrice americana – connotata dalla ‘triplice marginalità’ d’essere «Jewish, woman, lesbian»[9]:
 
[f]rom a historical perspective, the piece provides us with an image of the boredom and ‘malaise’ experienced by those ‘private’ citizens who tried to escape the realities of wartime France – indeed, in a broader sense, the malaise of any group of people marking time in a comparable situation. And from a personal perspective, Marry Nettie is a ‘about’ a day-to-day relationship, under the strained circumstances of the Mallorcan idyll, of a never-named Gertrude and Alice – a relationship that is loving but also tense, a ‘marriage’ made in the face of the ‘they’ who ‘don’t marry’[10].
 
Sia nel caso del Futurismo, che della relazione personale, questo matrimonio, a quanto pare, «non s’ha da fare».
 
«To the marriage of true minds admit no impediments»
 
Marriage appears in many of the Mallorcan pieces, but it is an empty designation for couples about whom there is little to say. On the island of Mallorca, where nothing happens, there are couples, some single people, and Stein and Toklas, impatient in their unacknowledged marriage. The wartime mood of Mallorca is not pleasant[11].
 
Con una tipica operazione steiniana di slittamento del referente, accompagnato dalla relativa sfaccettatura e quindi polisemica moltiplicazione (cubista?) dell’oggetto osservato, il titolo Marry Nettie = Mari-netti, diventa una pedana elastica che ci catapulta, o immerge, in differenziati strati referenziali a incastro: dal termine decostruito si diramano due principali piani tematici, sequenziali eppure simultanei, tangenti ma mai combacianti, e questi sono l’accenno sia al matrimonio con la compagna Alice (un sogno proibito), sia all’avanguardia futurista (un sogno realizzato: il Manifesto del 1909 non poteva essere sfuggito a Stein che dal 1904 viveva a Montparnasse, avendo fatto del suo salotto in rue de Fleurus un culto per tutti gli artisti e intellettuali circolanti nella Parigi di quegli anni[12]); tuttavia, nell’accostare entrambe i contenuti allusi: l’unione/connubio amoroso con Nettie=Alice e la disgiunzione/distanza programmatica da Marinetti – che conducono il lettore a visualizzare almeno uno dei due – Stein rafforza ulteriormente la sua pratica diversiva, in quanto poi il vero significato sotteso poggia almeno su altri due livelli: quello della rappresentazione della propria quotidianità, gioiosa e godibile (in fondo, come suono, ‘Marry Nettie’ si può anche intendere come ‘Merry Nettie’, ovvero un’individualità felice) – operazione verbale e mentale con cui probabilmente viene esorcizzata la paura del conflitto mondiale – e quello dell’enucleazione della propria cifra stilistica e compositiva, con cui ci si distanzia dall’estetica di altre avanguardie letterarie; negando entrambi i contenuti direttamente allusi dalla formulazione del titolo Marry Nettie, Gertrude Stein mette in pratica il suo sovversivo intento compositivo: riferirsi a qualche fatto o evento evocandolo obliquamente, e soprattutto soltanto attraverso la complicità decodificante del lettore, che deve cooperare a sviscerare il senso trasversale se vuole capire. Stein affida a tali meccanismi decostruttivi il suo programma teorico, ambizioso seppure non altisonante, avviando un progetto di rivoluzione della scrittura che proietta nello spazio della mente veramente delle ‘parole in libertà’; usa allo scopo modalità formali radicalmente decostruttive, poggianti su: vocaboli svuotati, sintassi scardinata, consequenzialità discorsiva eliminata, ripetizione ipnotica; alla fine, troviamo in opera un andamento compositivo tanto più innovativo, marcato ed incisivo, quanto più profondo, intimo, ed irreversibile: eliminando il valore referenziale della lingua, alla fonte medesima della sua significazione convenzionale, Stein compie un’azione anticanonica a partire dalla scaturigine stessa del linguaggio; potremmo dire, nel suo caso, che non si tratti tanto o soltanto di un ‘gendered language’ – sebbene i gender studies si siano in più occasioni appropriati della sua ‘maternità’[13] – ma piuttosto di un ‘en-gendered language’, ovvero un linguaggio creato ex-novo. «Stein’s text can [...] be construed as an antipatriarchal, antiauthoritarian, nonlinear, and oblique lesbian fiction. But in Stein’s case, such specific gender construction, is not the whole story»[14]; inoltre, «[s]he worshipped rational thought and the mind and went out of her way to distance herself from any connection to automatic writing. Consciousness was her theme, not the unconscious»[15].
All’origine, infatti, di qualunque azione di sabotaggio e reinvenzione dei dettami compositivi, grammaticali, semantici e sintattici ereditati, non bisogna mai dimenticare gli studi di psicologia e gli esperimenti di laboratorio che Stein condusse dagli anni 1896 al 1902, prima ad Harvard e poi alla Johns Hopkins a Baltimore: è in questo periodo che, come dice Maria Farland[16], si genera e configura quel ‘brain work’ che in un primo momento la indirizzò agli studi scientifici e poi all’universo artistico-letterario:
 
Stein’s medical training […] provides the models for the descriptive approaches of her fiction […] Stein’s break with literary conventions – and her well known stylistic devices of repetition and abstraction – has its roots within a specific debate in the history of medical sciences[17].
 
Non è un caso che le prime due pubblicazioni di Gertrude Stein – in collaborazione con il collega e amico Leon Solomons, quando la futura scrittrice aveva solo 22 anni – furono appunto due ricerche di psicologia sperimentale pubblicate nella Psychological Review di Harvard e rispettivamente: Normal Motor Automatism (1896), uno studio sulla scrittura automatica, in rapporto ad alcune patologie mentali e Cultivated Motor Automatism: A Study of Character in Its Relation to Attention (1898), dove s’indaga sul ruolo repressivo esercitato dall’attenzione in alcuni soggetti normali; entrambi questi studi rappresentano l’impianto compositivo e l’ispirazione tematica del suo epocale romanzo di novecento pagine, The Making of Americans, pubblicato nel 1925, i cui primi appunti vengono stilati negli anni 1903-1904, allorché Stein si mosse definitivamente dagli Stati Uniti verso l’Europa e Parigi. Come autoironicamente Stein racconta, attraverso la voce di Alice, nella già citata The Autobiography of Alice B. Toklas (1933):
 
She began a study of all the brain tracts […]. These first two years at the medical school Gertrude Stein liked well enough. […] The last two years at the medical school she was bored, frankly openly bored.[…] You don’t know how little I like pathological psychology, and how all medicine bores me. The professor was completely taken aback and that was the end of the medical education of Gertrude Stein[18].
 
Per riprendere ancora l’assunto di Farland,
 
[w]hile it is tempting to see Stein’s defection from medicine to literature as a dramatic crossing of the literature-science divide, we might also see her career change as a shift from one form of ‘brain’ work to another. In her effort to remain in the category of knowledge workers, Stein migrated from science to literature […][19].
 
Stein espatriò verso Parigi; con tale spostamento Stein avrebbe anche importato
 
a set of concepts and categories from the technical milieu she had inhabited for over ten year concepts that formed the basis for abstractionism, her most well-known literary innovation[20].
 
Inoltre,
 
Stein […] wondered what made a word a word. Was it made by the meaning of the word or the word itself. If you looked at something did you see sound, and how did image and sound relate. Though she always preferred facts to symbols, Stein pursued in radical directions the symbolist interest in the relationship of words and sounds and space, along with the disinterest in naming, which led to the beginnings of abstract act[21].
 
«The world of the happy is a happy world»
 
La citazione qui sopra è tratta da Wittgenstein, ed è usata in più di un’occasione da Marjorie Perloff. Ce ne venga consentita un’ulteriore riappropriazione, alla luce dello studio intitolato The Powerlessness of Will, di Lars Hertzberg, vertente sul primo periodo del pensiero di Wittgenstein; quivi Hertzberg riporta dai Taccuini del filosofo degli anni 1914-1916 – quindi dello stesso arco temporale in cui Stein scriveva a Mallorca – alcune idee in nuce, successivamente formulate e sviluppate nel Tractatus Logico-Philosophicus. Continua Hertzberg:
 
In the entry for 11 June, 1916, he [Wittgenstein] asks himself: «What do I know about God and the purpose of life?». In answer to his question, he lists a number of propositions:
I know that this world exists. […]
That something about it is problematic, which we call its meaning.
That this meaning does not lie in it but outside it.
That life is the world.
That my will penetrates the world. […]
I cannot bend the happenings of the world to my will: I am completely
powerless.
I can only make myself independent of the world — and so in a certain
sense master it — by renouncing any influence on happenings[22].
 
È interessante rileggere le parole del filosofo come sostrato ideologico-poetico steiniano; Marjorie Perloff ne tratta diffusamente nel già citato libro; in particolare, con riferimento al testo Marry Nettie, riscontriamo alcune singolari coincidenze di visione con l’assunto espresso da Wittgenstein: «I cannot bend the happenings of the world to my will: I am completely powerless. / I can only make myself independent of the world — and so in a certain sense master it — by renouncing any influence on happenings». Se, da una parte, la volontà energica e virile del Futurismo inneggiava all’esplosivo Zang Tumb Tuuum del 1912 come soluzione estetica ed esistenziale, Stein credeva, senza saperlo, nella Gelassenheit. Pur essendo dotata di grande volontà, e ritenendosi un ‘genio’, non supportava il superomismo; similmente, la sua operazione stilistica è non di invenzione di neologismi, inedite eccentriche giustapposizioni lessicali, espedienti tipografici aberranti, divisione di colonne nella pagina, ingrandimenti di carattere, inserimento di simboli matematici, esilaranti estreme riproduzioni onomatopeiche; al di là dell’inventiva spettacolarità futurista, le cui serate rappresentarono la prima forma di performance ed happening, Stein, smontando la lingua dal di dentro, cercava negli eventi quotidiani, negli oggetti semplici, rivisitati e filtrati con altri occhi, «the essence of what happened»[23].
In Marry Nettie Stein ci fa riesperire quello che lei stessa viveva in quel momento, in quei giorni, nella sua mente e nei suoi gesti. Il riferimento diretto a Marinetti è rinvenibile esclusivamente nella cornice del ‘ritratto”, ovvero nelle prime 13 righe iniziali e nelle 13 finali; nei due paragrafi conclusivi ci possono essere allusioni esplicite, e particolarmente in «Sometimes They Can Finish a Bugle Call», dove Stein dice: «Sometimes they can finish a bugle call when they know it. They have a very good ear. They are not quick to learn. They do not have application» (464): tali osservazioni sulla ‘rumorosità’ di superficie possono intendersi rivolte sia agli spagnoli che ai futuristi, a dire il vero; e in Marry Nettie, il paragrafo successivo, dove insiste sulla decostruzione ripetuta del cognome: «Marry who. Marry Nettie. Which Nettie. My Nettie. Marry whom. Marry Nettie. Marry my Nettie» (464); per il resto, la ricorrente enfasi lungo tutto il testo degli aggettivi ‘happy’, ‘pleased’, ‘pleasant’, ‘pretty’, ‘cool’, del verbo ‘like’, fanno piuttosto pensare ad un desiderio di divago e leggerezza (per rimuovere guerra e tabù), ad un ‘pursuit of happiness’ in un eden terreno:
 
[u]nlike many of her contemporaries, she was more interested in the world as paradise than as wasteland […] Unusually, for her time and milieu, she was absorbed in the study of emotion and beauty and intuition in artistic experience. Stein represented, in her way, a heroic modernism that was still bound to Enlightenment values and even more so to an American optimism[24].
 
«We were so happy. She ought to be a very happy woman. […] We are able to get what we want» (461), proclama Stein nel terzo brano del testo; tra passeggiate nel paese, per acquistare il necessario: « We will go out in the morning. We will go and bring home fish. We will also bring note-books and also three cups. We will see Palma. Shoes are necessary. Shoes with cord at the bottom are white. How can I plan everything» (460); un’occhiata ai giornali: «A Spanish newspaper says that the king went to a place» (461); un rifornimento di cibo: «A large piece. Beets. Figs. Egg plants. Fish.» (461); e poi di nuovo «We walked up and down» (461), la vita trascorre - in coppia (si noti la ripetuta insistenza del pronome ‘We’).
Con le medesima tattica descrittiva diversiva applicata in Tender Buttons (pubblicato nel 1914, con le sue tre sezioni «Objects», «Food», «Rooms») dove gli oggetti, il cibo, le stanze non sono mai descritte referenzialmente, ma rivissute nella proiezione dell’esperienza soggettiva, anche in Marry Nettie, « Spanish Newspaper», «The Count», «Spanish Pens», «Papers», etc. (i riferimenti agli strumenti dello scrivere non sono ovviamente casuali), non sono precisi oggetti, ma suggestioni; le azioni espresse da «We Will Walk After Supper», «We Had an Exciting Day», «Please Be Quick», per esempio - come per i precedenti, si tratta di altri capitoletti in cui si suddivide il ‘ritratto’ – non parlano di quello che annunciano nel titolo; sono istantanee, sì, ma di altri oggetti, come se fossero foto fatte da un obiettivo strabico, forse cubista? È però grazie a tale strabismo visuale, ovvero obliquità referenziale, che comprendiamo come il vero fuoco non sia l’oggetto alla mano, visibile con gli occhi, bensì un altro tipo di esperienza.
 
«Why Are We Pleased”./ “Why Do You Like It»
 
Questi sono altri due titoletti nel brano. Si tratta, tipicamente in Stein, di forme interrogative senza il normale segno d’interpunzione (la punteggiatura è in lei del tutto idiosintratica; non esistono i punti interrogativi, né le virgole, ad esempio) – basta la costruzione interrogativa, basta il ‘Why’, come segnali di domanda. Ecco intrecciarsi nei due titoli in modo lampante il sottotesto erotico. Se esiste autore dove ‘sexuality/textuality’ si sovrappongono, Stein ne è sicuramente esempio:
 
[h]er writing is so sexual, her relationship with Toklas so often quoted and sexually coded, if ever there was a writer for whom textuality is sexuality, it is Stein. But her writing is sexual, not sensual, for it revels in declaration not desire. In more ways than one, her life is an example of the continual search for pleasure: of the text, of the word, of the body, of the world. Stein’s body of work, and truly it is that, is a virtual catalogue of pleasures, enjoying a playful, celebratory lesbian erotics that is a marvel of formal invention[25].
 
Non bisogna dimenticare che nello stesso periodo in cui Stein componeva Marry Nettie, era anche stato appena scritto Lifting Belly[26], il suo ‘peana al pene femminile’ – come in altra sede definito – di cui David M. Owens dice
 
[t]hroughout its fifty pages, much of the poem consists of dialogue and conversational fragments between two lovers. Much of the dialogue is erotic; some is indecipherable pillow talk. Lifting Belly is, however, much more than an anthem of lesbian love. It is a story of lovers existing in a time and place of war. The poem reflects how the war affects their lives […][27].
 
Nel testo Marry Nettie, riteniamo che Stein svolga un’operazione simile, anche se meno esplicita e spinta; in conclusione, supponiamo che Stein si distanzi nettamente dal Futurismo, non tanto criticandolo in modo frontale, ma semplicemente ignorandolo, o meglio ancora, alludendovi indirettamente utilizzando a fini privati il nome stesso del suo carismatico teorizzatore; è per una coincidenza fonetica [e non dimentichiamo la sua dichiarazione: «It is a noise. / Plan / All languages. / By means of swimming. They see English spoken». (460)] che Stein si riappropria del cognome di Mari-netti, per dichiarare il suo amore e desiderio di connubio con Alice:
 
MARRY NETTIE
 
Marry who. Marry Nettie. Which Nettie. My Nettie. Marry whom. Marry Nettie. Marry my Nettie. [...] (464)
 
L’intento è chiaramente ironico, anche se sincero, veicolato da una serie di domande ripetute ad incastro: ‘Marry who’ = chi sposare ? Marry Nettie = sposare Nettie ?, Which Nettie= quale Nettie ? My Nettie= la mia Nettie? Marry Nettie = Marinetti/Sposa Nettie ? Marry my Nettie = Mari-mai-netti/Sposare la mia Nettie. Il cognome di Marinetti viene riappropriato e riassorbito per motivi strettamente personali; ma non dimentichiamo che Stein è scrittrice, ha una sua statura e identità autoriale, come ribadisce subito dopo nel testo, idealmente rispondendo alla lettera di Carl Van Vechten:
 
I was also credited with having partiality for the sun. I am not particular. I do not like to have it said that it is so necessary to hear the next letter. We all wish to go now. Do be certain that we are cool.
 
Oh shut up. (464)
 
Gertrude rassicura l’amico, allontana l’ipotesi di produrre una serie di scritti, conferma di volere andare via dall’isola ma anche di star bene lì. Rimane però sempre il dubbio se lo «Shut up» in chiusura sia riferito all’amico del carteggio, o al collega dell’avanguardia.
 
 
NOTE


[1] Nell’edizione completa delle opere di Gertrude Stein [intitolata Gertrude Stein. Writings, e suddivisa in due volumi –gli anni 1903-1932 nel primo e 1933-1946 nel secondo – per i tipi della Library of America, New York, 1998, curata da Harriet Chessman e Catharine R. Stimpson] Marry Nettie occupa nel primo volume le pagine 459-464 dell’ampia sezione «Portraits and Other Short Stories», contenente testi famosi di vario genere, dal ritratto Ada, alle poesie di Tender Buttons, dal poema erotico Lifting Belly al libretto dell’opera Four Saints in Three Acts; nel citare il testo di Marrie Nettie più avanti ci riferiremo a questa edizione.

[2] Cit. da Ulla E. Dydo, A Stein Reader, Evanston, Northwestern University Press, Evanston 1993, p. 308.

[3] Ibidem.

[4] Marjorie Perloff, Wittgenstein’s Ladder: Poetic Language and the Strangeness of the Ordinary, University of Chicago Press 1996, p. 110.

[5] M. Perloff, op. cit., p. 111.

[6] Bonnie Marranca, «Introduction: Presence of Mind», in Gertrude Stein, Last Operas and Plays, Baltimore, Johns Hopkins University 1995, p. xv.

[7] B. Marranca, op. cit., p. xvi.

[8] M. Perloff, op. cit., p. 110-11.

[9] Come afferma Charles Bernstein in Stein’s Identity, «MFS Modern Fiction Studies», 42, 3 (Fall 1996), pp. 485-488.

[10] M. Perloff, op. cit., p. 111. Le parole citate sono tratte dall’incipit del testo stesso, Marry Nettie, che esordisce come segue: «Principle calling. // They don’t marry» (459).

[11] Ulla E. Dydo, op. cit., p. 308.

[12] Per un godibile resoconto del clima culturale di quel periodo si rimanda alla lettura della nota opera di Gertrude Stein The Autobiography of Alice B. Toklas, pubblicata nel 1933 (qui ci si riferisce all’edizione Penguin Books 1966/2001, Harmondsworth, UK); l’autobiografia rese alla scrittrice Stein un successo immediato e possente. In Italia il testo venne tradotto da Cesare Pavese, per i tipi di Einaudi, già nel 1938.

[13] Sulla collocazione critica di Gertrude Stein, rimane utile la recensione di Catharine Stimpson – apparsa in NOVEL: A Forum on Fiction, Volume 27, Number 3, Spring 1994, pp. 318-321 - sul testo di Ellen E. Berry, Curved Thought and Textual Wandering: Gertrude Stein’s Postmoderninsm, Ann Arbor, Michigan University Press 1992.

[14] M. Perloff, op. cit., p. 111.

[15] B. Marranca, op. cit., p. xvi.

[16] In questo saggio, intitolato Gertrude Stein’s Brain Work, «American Literature», 76, 1 (March 2004), p. 117- 148, Maria Farland sostiene che il punto di partenza dell’interesse di Stein per la mente umana, il suo funzionamento, e di conseguenza, l’uso della lingua, sia rappresentato proprio dagli studi di medicina compiuti ad Harvard e alla Johns Hopkins di Baltimore. Con tale background di studi di medicina, Stein potè concepire e sviluppare nuove modalità di scrittura; la sua formazione scientifica rinforzò la sua innata inclinazione ad osservare e riflettere, piuttosto che ‘memorizing the subject matter’, come il suo professore F. Mall, citato da M. Farland a p. 120 del detto saggio, disse a proposito di Gertrude Stein in quegli anni. Di fatto, le parole di Mall possono essere usate anche per spiegare la poetica steiniana: « [A]nalyzing the object itself is infinitely more valuable than to watch the results exposed by another. Wrestling with the part which is being studied, handling it and viewing it from all sides, and tabulating and classifying the parts worked out, gives us the greatest reward. All this may be accomplished by practical laboratory work». Si rimanda alla lettura del saggio stesso per una più approfondita disamina del tema.

[17] M. Farland, op. cit., p. 118.

[18] Gertrude Stein, The Autobiography of Alice B. Toklas, op. cit., pp. 90-91.

[19] M. Farland, op. cit., p. 125.

[20] M. Farland, op. cit., p. 126.

[21] M. Farland, op. cit., p. XV.

[22] Lars Hertzberg, The Powerlessness of Will. A Theme in Wittgenstein’s EarlyPhilosophy, originariamente scritto nel 1991 e pubblicato nella primavera del 2010, il saggio è presente nel libro intitolato Mot bättre vetande, una raccolta in lingua svedese e inglese, a cura di Mikael Lindfelt, Pamela Slotte and Malena Björkgren, per l’Åbo Akademi Press, consultabile nel sito http://web.abo.fi/fak/hf/filosofi/ Staff/lhertzbe/Text/Powerlessness.pdf, 1-29, p. 1.

[23] What Happened. A Play, del 1913, pubblicato nella raccolta Geography and Plays, nel 1922, appartiene, per dirla con Cyrena N. Pondrom, al gruppo dei testi drammatici dove si celebra ‘the simply different’ (1993). Di questo ‘play’ parla direttamente Stein nel saggio-conferenza Plays del 1935.

[24] B. Marranca, op. cit., p. xvii.

[25] Ibidem.

[26]Gertrude Stein, Lifting Belly (1915-17), in “Portraits and Other Short Stories”, Gertrude Stein. Writings, a cura di H. Chessman e C. R. Stimpson, op. cit., pp. 410-458; il testo è in via di pubblicazione per i tipi di Liberilibri, Macerata, a cura e traduzione di Marina Morbiducci.

[27] David M. Owens, Gertrude Stein’s ‘Lifting Belly’ and the Great War, «MFS Modern Fiction Studies», 44, 3 (Fall 1998), pp. 608-618.


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