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PERFORMANCE FUTURISTA:
LE SERATE
di Ann-Katrin Günzel
 
Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti dà vita al Futurismo come arte-azione con un manifesto, in un ‘atto performativo’, con il quale intende avviare un rinnovamento totale che dall’Italia si propaghi nel mondo. In «Prime battaglie futuriste», nel 1915, scrive: «Il mio sangue italiano balzò più forte quando le mie labbra inventarono ad alta voce la parola Futurismo. Era la nuova formula dell’arte-azione e una legge d’igiene mentale»[1]. Da allora in avanti verranno rinnovate, oltre alla poesia, anche le altre discipline artistiche e l’attenzione verrà rivolta alle nuove tecnologie – la televisione, la radio, il telegrafo – e ai nuovi mezzi di trasporto come l’automobile, il treno e l’aereo. L’esigenza è quella di muoversi al passo con l’industrializzazione e di adattarsi alle circostanze del tempo, dominate da nuovi fattori quali il dinamismo, la velocità e il concetto di simultaneità nell’arte. Sono soprattutto le famose serate, organizzate con regolarità dai futuristi tra il 1910 e il 1922 a dare, come è noto, visibilità al rinnovamento e al cambiamento nel campo dell’arte e della cultura da loro avviati, al superamento di tutti i confini ancora esistenti tra le diverse espressioni artistiche, e all’idea di un’arte-azione. Le diverse discipline artistiche e l’interazione sociale vengono ora fuse dando origine ad eventi basati sulla comunicazione diretta. Vedremo in seguito come le serate futuriste presentassero già allora le caratteristiche principali di quella che sarebbe poi divenuta l’arte della performance.
 
Performance art
Il termine performance art rappresenta per lo più un concetto generico che può valere per ogni forma di arte-azione, e comprende quindi lo happening, l’evento Fluxus e altre modalità di rappresentazione artistica[2]. Tale termine generico deve essere adottato anche per le serate futuriste giacché queste sono da associare alla corrente dell’arte-azione senza, tuttavia, poter essere categorizzate con precisione[3].
L’indeterminatezza delle serate e l’impossibilità di un’attribuzione precisa a un genere definito sono già caratteristiche che le collegano alla performance art perché anch’essa di difficile definizione, come constata Rose Lee Goldberg: «By its very nature, performance defies precise or easy definition beyond the simple declaration that it is live art by artists. Any stricter definition would immediately negate the possibility of performance itself»[4]. Ogni tentativo di categorizzazione delle serate è pertanto destinato a fallire, e delle attribuzioni possono avvenire solo per singoli elementi estrapolati. Il termine inglese to perform significa ‘rappresentare qualcosa’, e questo già rende difficile delle possibili interpretazioni. Sebbene però la performance art sussuma generi diversi come lo happening, l’evento Fluxus, la body art, la pièce teatrale o il teatro danza, possiamo identificare alcuni suoi elementi tipici: l’accento posto sull’azione dell’artista, che spesso implica un’interazione sociale; l’unità di autore e opera; il carattere effimero e non ripetibile dell’azione che accade hic et nunc e che ne fa un avvenimento reale (non fittizio) in un luogo reale (non un palcoscenico); l’intermedialità; l’improvvisazione e il suo carattere di evento piuttosto che opera, solitamente in assenza di un testo scritto. La tradizionale opera-oggetto – l’artefatto – viene sostituita dall’avvenimento o dall’evento. L’autenticità e la presenza fisica sono caratteristiche molto importanti nella performance art. Secondo Erika Fischer-Lichte la performance si definisce attraverso «la messa in atto, la rappresentazione e il passare stesso del tempo presente»[5]. L’azione artistica dà origine a uno spazio performativo che non può essere compreso in termini geometrici, ma che è fugace e transitorio. Questo spazio determina il rapporto fra il soggetto che compie l’azione e il pubblico, struttura la percezione e ha il carattere di evento. In questo modo si può giungere alla definizione di uno spazio di tensione interpersonale come nella performance Imponderabilia (1977) di Marina Abramovic e Ulay; oppure di uno spazio vuoto come quello creato dall’assenza fisica di Wolfgang Flatz durante la documenta 6 (1977); si può avere uno spazio politico come nelle azioni di Joseph Beuys; oppure uno spazio poetico come quello generato dalla poesia audiovisiva di Gerhard Rühm. Ma già mezzo secolo prima i futuristi avevano creato uno spazio dinamico d’esperienza, in cui i protagonisti dell’azione e il pubblico interagivano.
 
Le serate futuriste
Dal 1910 in poi i futuristi organizzano serate in tutti i grandi teatri d’Italia per trasmettere le loro idee a un pubblico più vasto possibile. Nel 1915 Filippo Tommaso Marinetti scrive che il 90% degli italiani va a teatro, mentre solo il 10% legge libri. Per raggiungere le masse ritiene quindi indispensabile entrare nei teatri. Passare per i palcoscenici italiani rappresentava anche l’unica possibilità di cambiamento radicale delle tecniche di mediazione per raggiungere direttamente la strada: «scendere nelle vie, dar l’assalto ai teatri e introdurre il pugno nella lotta artistica»[6]. L’obiettivo principale è l’occupazione di un luogo pubblico.
Nei primi anni del Futurismo non viene messa in scena alcuna opera futurista, ma più che altro se ne illustra l’ideologia tramite la poesia, la proclamazione di manifesti e l’esternazione di idee politiche. Si tratta di declamazioni che si susseguono in sequenze lineari e, nel collegare arte e vita, manifestano il modo futurista di concepire l’esistenza coinvolgendo il pubblico per indurlo alla partecipazione per mezzo di shock e provocazioni. Le forti reazioni e i contrasti violenti che esplodono nelle platee sono risultati del tutto voluti. Nel 1911 Marinetti scrive il manifesto La voluttà d’esser fischiati, nel quale si vanta del disprezzo del pubblico e chiede di essere fischiato in special modo dal pubblico indifferente che di solito si recava alle prime solo per confrontarsi su acconciature e abbigliamento. Per Marinetti il disprezzo è la prova che si era riusciti a creare qualche cosa di nuovo e di mai visto prima sul palcoscenico – un’assoluta originalità novatrice. Di fatto, per mezzo delle loro serate, i futuristi avviano il processo di rottura e di dissoluzione del concetto di opera d’arte, a favore dell’azione o dell’evento; contribuiscono inoltre ad annullare definitivamente la linea di separazione tra autore e opera e, tramite l’invito alla protesta, anche il confine tra il soggetto in azione e il pubblico dando origine ad un processo dinamico, al quale entrambe le parti partecipano, che segna l’inizio della performance art. Solo in seguito alla spettacolare e scandalosa serata del dicembre 1913 al Teatro Verdi di Firenze, durante la quale il pubblico con il suo tumulto di proteste si rivelò il vero organizzatore dell’evento mentre i futuristi venivano degradati a pura quinta scenica, Marinetti decide i cambiare strategia. «Bestiale e dannosa sotto tutti i punti di vista. Ho la nausea solo nel parlarne», commenta in una lettera a Papini[7].
Da allora in poi le serate hanno luogo negli spazi delle Gallerie Sprovieri di Roma e Napoli, fondate nel 1913. Le Gallerie fungono da base per l’arte-azione dei futuristi: qui l’idea della mescolanza delle arti può svilupparsi in modo ideale e per la prima volta viene eseguita un’azione artistica, non più concepita solo come manifestazione politica e provocazione del pubblico, ma come unità strutturale di diverse rappresentazioni, come quella del teatro di varietà. La dinamica dei diversi eventi simultanei si estende all’ambiente, e di conseguenza al pubblico, che assume un ruolo fondamentale così coinvolto in un turbine di avvenimenti. Come base teorica si fa riferimento al manifesto del Teatro di Varietà (1913) nel quale viene descritta l’intenzione di far confluire il tumulto in una partecipazione costruttiva e di esprimere una nuova sensibilità: «Il varietà è oggi il crogiuolo in cui ribollono gli elementi di una sensibilità nuova, che si prepara». Frammentazione e simultaneità sono parte integrante di questa struttura, così come lo è la partecipazione del pubblico: «l’azione si svolge ad un tempo sul palcoscenico, nei palchi e nella platea»[8]. È soprattutto la commistione di discipline artistiche propria del varietà, l’intermedialità quindi, a essere presa a modello per le serate nelle Gallerie Sprovieri.
Gli spazi delle gallerie non erano adatti a un pubblico numeroso come quello dei teatri, ma avevano il vantaggio di poter essere adattati in modo individuale alle esigenze delle diverse manifestazioni. La separazione fra palcoscenico e platea poteva essere così automaticamente revocata tanto quanto quella ideale fra attori e spettatori, e le rappresentazioni erano eseguite e concepite seguendo una struttura che favorisse un’esperienza collettiva. Vennero definiti nuovi parametri linguistici, musicali e pittorici, così che suoni, rumori, gesti, movimenti, odori, oggetti di materiali diversi ed esperienze visive di testi e lingua confluissero tutti in una sintesi nuova in cui l’esperienza di un momento autentico assumesse un’importanza fondamentale. Invece di mettere in scena un’opera letteraria si realizzano allora azioni improvvisate, durante le quali si stabilisce un’unità artista/attore e opera/evento. In tal modo i futuristi sottolineano l’unicità della rappresentazione, con l’hic et nunc come categoria centrale.
Due esempi di performance futurista sono Piedigrotta di Francesco Cangiullo e Discussione di due critici Sudanesi di Giacomo Balla. Tutte e due le rappresentazioni vennero eseguite a partire dal 1914 nelle Gallerie Sprovieri. La prima aveva una durata di circa trenta minuti e si basava sulla festa di Piedigrotta, che si celebra ogni anno nel mese di settembre a Napoli. Nei giornali del tempo è documentato che i futuristi ricrearono una situazione autentica, simile a quella della festa reale. Discussione dei due critici Sudanesi era probabilmente uno sketch molto breve che Balla aveva annotato sul suo taccuino. Si trattava di una ‘conversazione’ onomatopoetica, con associazioni astratte e atmosferiche, ironica e con probabili riferimenti alla critica dell’arte. Come nel caso di Piedigrotta, si trattava di un’improvvisazione di genere assolutamente nuovo, una forma d’arte fuori dai canoni prestabiliti e un evento autentico che mirava a coinvolgere il pubblico.
La nuova forma di arte-azione viene ulteriormente sviluppata con il Teatro sintetico, che nasce nel 1914[9]. Il Teatro sintetico è caratterizzato da pezzi brevi, definiti «brevissimi». In pochi minuti, con poche parole e per mezzo di gesti singolari, vengono rese sinteticamente innumerevoli situazioni, idee, percezioni e simboli. «Siamo convinti che meccanicamente, a forza di brevità, si possa giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista», si legge nel manifesto del Teatro futurista sintetico (1915). Decisiva per i futuristi è la nuova sensibilità che accompagna la vita quotidiana dell’epoca contemporanea, determinata da impressioni veloci, in continuo mutamento. Da questa esigenza crescente di un momento costitutivo di una realtà risultano esperimenti innovativi, con opere che mettono in scena aspetti della modernità frammentaria senza compromessi e senza ricorrere alle convenzioni del teatro. Fra queste citiamo Non c’è un cane e Detonazione, due ‘sintesi’ di Francesco Cangiullo. Nella prima si sarebbe dovuto levare il sipario e un cane avrebbe dovuto attraversare il palcoscenico per portare l’espressione italiana ad absurdum. Tuttavia non vi fu modo di convincere il cane ad attraversare il palcoscenico e così il palco venne lasciato vuoto e il significato dell’espressione venne trasformato nella realtà dei fatti. In Detonazione, invece, il dramma era ridotto al minimo: ad un colpo di pistola. Si trattava di una tautologia scenica, volta a distruggere l’illusionismo teatrale[10]. Se nel dramma tradizionale il colpo d’arma da fuoco segnava il punto culminante della vicenda, i futuristi ne fecero una sintesi, un momento o evento reale senza alcun significato aggiunto. La riduzione estrema può essere letta in entrambe le sintesi come un rifiuto totale del messaggio.
In quasi tutte le opere del Teatro sintetico il pubblico viene integrato nella struttura dell’evento e indotto a partecipare. In alcune opere è contenuto un invito specifico alla partecipazione attiva, come ad esempio nell’opera Luce! di Cangiullo. La sala rimane al buio anche a sipario levato. Dopo tre minuti si sente una voce gridare Luce! e il pubblico (al quale si sono mischiati alcuni futuristi) si associa in coro alle grida fino a quando la luce non viene accesa. I giornali dell’epoca documentano il grado di accettazione di queste innovazioni da parte del pubblico, che reagiva con clamore e allegria.
Agli esperimenti sintetici segue, dal 1916 al 1921, il Teatro della Sorpresa, con un netto aumento delle innovazioni. Idee originali e sorprese vengono prodotte appositamente per colpire il pubblico/i partecipanti integrando, dal punto di vista dei contenuti, quanto già sperimentato in strutture nuove e ampliando il programma. L’intenzione è ora quella di spostare l’evento dalle sale dei teatri alla «piazza stradale», cioè nello spazio pubblico. La maggior parte delle sorprese era già stata menzionata nei manifesti precedenti, come ad esempio la «preparazione accurata di alcune poltrone a vischio» oppure la «vendita della stessa poltrona a molti acquirenti». Nell’opera grottesca Musica da Toilette di Filippo Tommaso Marinetti e Gianni Calderone un attore spolvera la tastiera di un pianoforte con due eleganti scarpine dorate da signora infilate sui pedali, le lucida con una pezzuola di lana e sfrega con uno spazzolino i denti del pianoforte. Queste sintesi teatrali non erano innovative in sé, ma rappresentavano la continuazione del Teatro sintetico. Inoltre esisteva ormai una compagnia che rappresentava il programma. Le novità più importanti erano le tavole tattili, composte di diversi materiali, che il pubblico poteva toccare con le mani per compiere un viaggio ideale utilizzando il senso del tatto. I futuristi raggiungono così l’obiettivo di realizzare un’azione allargata, che per mezzo di diverse gag e di sorprese, dell’invito alla partecipazione, l’allargamento dello spazio e la rottura dei limiti fra platea e palcoscenico, dà origine a una forma di varietà auspicata nel manifesto del Teatro di Varietà. L’impiego di una compagnia di teatro faceva però già presagire che il gruppo dei futuristi si sarebbe sciolto e che i singoli artisti avrebbero intrapreso strade personali[11]. L’azionismo di Marinetti si sposta invece sulle manifestazioni politiche. La storia dell’arte-azione s’interrompe qui, per rinascere nel movimento del Dadaismo e trovare una definizione nella performance art della seconda metà del XX secolo.
 
Conclusione
In tutte le loro svariate forme, le serate rappresentano un mezzo attraverso il quale afferrare il senso del nuovo mondo moderno. Il loro obiettivo è quello di stabilire una comunicazione diretta con il pubblico, incentrata sulla partecipazione, l’interazione e un processo dinamico. I futuristi hanno decretato per primi l’unità di autore e attore, decisiva per l’arte-azione. Secondo questo principio i ruoli teatrali non esistevano più, l’azione si svolgeva nel presente e aveva carattere effimero. Come nella maggior parte delle performance e degli eventi che seguirono, le azioni futuriste non si basavano su testi scritti, ma su alcuni semplici e brevi appunti[12]. Facevano riferimento all’attualità utilizzando strutturalmente la dinamica e la simultaneità degli avvenimenti quotidiani. Per quanto riguarda il contenuto, rimanevano autoreferenziali. Lo spazio statico si dissolveva nella simultaneità degli eventi e delle azioni e il risultato era uno spazio performativo.
Sono proprio questi i criteri che diventeranno sostanziali per gli happening e le azioni del successivo movimento di arte-azione, soprattutto per quanto riguarda gli eventi Fluxus. Anche l’intermedialità, che dagli anni Sessanta in poi diventa una caratteristica centrale dell’azione artistica, era stata uno degli obiettivi dei futuristi. Tuttavia l’impiego delle nuove tecnologie e dei media rimase inizialmente fine a sé stesso e soltanto nelle correnti artistiche successive si comincia a farne un uso più consapevole[13]. I concetti di ‘autenticità’ e di ‘presenza’, caratteristiche importanti della performance art, si possono però già trovare nell’arte-azione futurista, particolarmente nelle sintesi.
Solo negli anni Sessanta si assiste a un vero ritorno all’arte-azione e le diverse discipline artistiche vengono incorporate dagli artisti nella nuova categoria. George Maciunas, fondatore del movimento Fluxus, nomina nel suo Diagramma dello sviluppo storico di Fluxus (1973) tanto il Teatro sintetico, e in particolare «Detonazione» e «Le Basi», quanto il Teatro della Sorpresa come precursori degli eventi Fluxus. Egli vede inoltre nella simultaneità, nella concretezza e nella partecipazione del pubblico - elementi introdotti per la prima volta in un contesto artistico dai futuristi nelle loro azioni - un contributo importante al movimento Fluxus. Vi sono vari paralleli strutturali tra le sintesi dei futuristi e gli eventi Fluxus: vi è una simile concentrazione su processi verbali o visivi e, a volte, su di un singolo gesto. Maciunas riteneva che la brevità degli eventi fosse un fattore determinante e che questa particolarità segnasse la differenza principale tra gli eventi e gli happening, da lui chiamato «teatro barocco» per la mancanza d’improvvisazione che li rende, a suo dire, troppo prevedibili[14].
Alcuni esempi: in un suo evento intitolato One for Violin Solo (1961), Nam June Paik distrugge un violino, per dimostrare il distacco dalla musica tradizionale; George Brecht, invece, in Solo for Violin, Viola, Cello or Contrabass (1962) lucida lo strumento (paragonabile alla sintesi Musica da toilette) e in Word Event „Exit“ (che si rifà alla sintesi Luce!) affigge un segnale con la scritta Exit sopra una porta. La partecipazione del pubblico a queste azioni era paragonabile a quella delle serate futuriste, come anche gli eccessi e gli atti di violenza. A volte interveniva la polizia e arrestava gli artisti. Negli anni Sessanta la combinazione di vita e arte era ancora considerata come una provocazione e la mancanza di un’opera materiale tangibile era ritenuta elemento squalificante persino nel contesto dell’arte.
Gli artisti dell’arte-azione non sono interessati a portare avanti un’ideologia o a comunicare un determinato messaggio, ma piuttosto a creare uno spazio di azione e di pensiero. Per questo motivo l’ideologia bellicosa e l’atteggiamento futurista di glorificazione della modernità non si ritrova in nessuno dei movimenti successivi. Tuttavia, nei loro aspetti essenziali le strutture formali della performance art sono già presenti nelle serate ed è perciò opportuno parlare di performance futurista.
Nel 2009, in varie occasioni è stato posto l’accento sull’aspetto performativo del futurismo: oltre a riproporre innumerevoli rappresentazioni delle originarie serate futuriste, si sono anche viste delle nuove azioni, che hanno messo in rilievo l’aspetto innovativo della serata come forma d’arte, tracciando dei paralleli con i movimenti della performance art del XX. secolo. La mostra 100 Years (Version # 1), presso la Julia Stoschek Collection di Düsseldorf, ha documentato cento anni di storia della performance, a cominciare proprio dal Futurismo. Lo scopo principale della Performance-Biennale Performa 09 a New York è stato invece quello di cancellare il confine tra le discipline artistiche, mostrando un ampio spettro di arte intermediale e mettendo così in evidenza il maggior punto di contatto tra le serate futuriste e performance art.
 
 
NOTE


[1] F.T. Marinetti, «Prime battaglie futuriste», in Teoria e Invenzione futurista, a cura di Luciano De Maria, Milano, Mondadori 1968, p. 201.

[2] Purtroppo in italiano non ho trovato un termine corrispondente alla Aktionskunst tedesca, che è paragonabile al termine inglese performance art e contiene diversi generi come lo happening, la performance, ecc. Utilizzerò quindi l’espressione arte-azione. Giovanni Lista ha proposto arte-vivente, termine forse più adatto (Giovanni Lista, «Francesco Cangiullo e la teatralità futurista», in Marinetti e il Futurismo a Napoli, a cura di Matteo D’Ambrosio, Napoli, Biblioteca Nazionale di Napoli 1993, S. 91).

[3] I mancati riferimenti alla serate futuriste negli studi sul Futurismo e nelle storia del teatro costituiscono una lacuna fino al 1971 quando viene finalmente pubblicato il testo Futurist Performance di Michael Kirby, New York, in cui si analizzano le diverse forme di rappresentazione scenica dei futuristi. Alcuni anni più tardi si pubblicano i volumi Il teatro futurista italiano, di Lia Lapini, Milano, 1977 e La realtà attrezzata. Scena e spettacolo dei futuristi di Paolo Fossati, Torino, 1977. Nel 1979 esce l’importantissimo testo di Rose Lee Goldberg, From Futurism to the present, Londra, 1979. Seguono negli anni ‘80 Il teatro del tempo futurista di Mario Verdone (Roma, 1988), nel quale le serate sono per la prima volta descritte come una nuova forma di teatro, «un antenato dello happening», e La scène futuriste di Giovanni Lista (Parigi, 1989). Lista definisce intenzionalmente performance le serate, rifiutando il termine happening impiegato da Mario Verdone.

[4] Rose Lee Goldberg, Performance Art. From Futurism to the Present, Londra, Thames and Hudson 1995, p. 9.

[5] Erika Fischer-Lichte, Ästhetik des Performativen, Francoforte sul Meno, Suhrkamp 2004, p. 161.

[6] .T. Marinetti, «Prime battaglie futuriste», in Teoria e invenzione futurista, a cura di Luciano de Maria, Milano, Mondadori 1968, p. 201.

[7] Lettera di Marinetti a Papini, 16 dicembre 1913 (Archivio Papini, Fondazione Primo Conti, Fiesole), pubblicato da G.Berghaus, Italian futurist theatre, Oxford, University Press 1998, p. 127.

[8] F. T. Marinetti, Il Teatro di Varietà, pubblicato su «Lacerba» (1 ottobre 1913).

[9] 9 Le singole forme di rappresentazione non si alternavano in modo cronologico, ma s’incrociavano. Nel 1914 venivano ancora organizzate delle serate, ormai più propaganda politica e scandalo che nuove forme d’arte-azione, mentre già iniziava l’attività nelle Gallerie Sprovieri. Anche gli inizi del Teatro sintetico risalgono al 1913, data in cui Marinetti crea la sua opera Elettricittà. Vedi anche Ann-KatrinGünzel, Eine frühe Aktionskunst: Die Entwicklung der arte-azione im italienischen Futurismus zwischen 1910 und 1922, Francoforte sul Meno, Peter Lang 2005.

[10] Vedi anche: Giovanni Lista, «Francesco Cangiullo e la teatralità futurista», in Marinetti e il Futurismo a Napoli, a cura di Matteo D’Ambrosio, Napoli, 1993, p. 94.

[11] Cangiullo, uno dei protagonisti dell’arte-azione futurista e, insieme a Balla, grande innovatore delle azioni per le serate, si distaccò dal Futurismo nel 1924. Russolo comincia a sviluppare il suo intonarumori, con il quale girerà l’Europa. Balla e Depero invece inventano mondi meccanici fantastici dai quali prendevano ispirazione per dei progetti per il cabaret.

[12] Thomas Dreher, Performance Art nach 1945. Aktionskunst-theater und Intermedia, Monaco, Wilhelm Fink 2001, p. 19.

[13] Benché i futuristi auspicassero nei loro manifesti che si facesse uso delle nuove macchine e dei nuovi mezzi di comunicazione nell’arte (vedi ad esempio il manifesto L’arte meccanica (1922), nel quale si parlava dell’utilizzo estetico di telefono, radio e film, e il manifesto Teatro totale (1933), nel quale veniva esaltata la multimedialità. Questi desideri rimasero nella maggior parte dei casi delle visioni utopiche.

[14] E. Williams, Mr. Fluxus. Ein Gemeinschaftsportrait von Georges Maciunas 1931-1978, a cura di Ute e Michael Berger, Wiesbaden, Harlekin Art 1996, p. 42.


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